Ispirandosi al libro uscito nel 1985 La prevalenza del cretino, di Fruttero & Lucentini, Tag43 tenta di aggiornare l’insuperabile raccolta con una carrellata di ritratti sull’ottusità contemporanea.
Già pubblicati:
- Breve guida per riconoscere il cretino in politica
- Il giornalismo e l’inganno del parlar chiaro
- Fenomenologia del cretino in azienda, vera piaga del business
Il ritratto del perfetto cretino sui social si avvale di un modello molto attendibile: me stesso. Sono dappertutto, su Facebook, Instagram, Twitter, TikTok, Clubhouse, Telegram, Whatsapp, Mastodon, ChatGPT: cerco di convincermi che lo faccio perché sono un consulente di marketing e devo perciò conoscere gli strumenti del comunicare, per onorare il maestro McLuhan. In realtà sono schiavo dell’algoritmo, come tutti, perché Zuckerberg & Co. hanno inventato un sistema per arricchirsi che solo puntando sulla dabbenaggine dei provinciali di tutto il mondo uniti poteva sperare nell’esito che è riuscito a ottenere.

La Ferragni imprenditrice digitale, noi invece i nuovi operai
Anche Wanna Marchi, nel suo piccolo, aveva capito che bisogna fare il minimo, perché c’è sempre qualcuno che lavora per te, se resta affascinato dalla promessa di un cuore o di uno scioglipancia. Quelli intelligenti, come Chiara Ferragni, usano i social per fare soldi, diventando imprenditori digitali. Noialtri invece siamo i nuovi operai, che ogni mattina si alzano e contribuiscono, scrivendo o fotografando qualcosa e postandola, alla catena di montaggio globale che vede ognuno avvitare il suo tondino, per nutrire la voracità senza limiti della macchina. È sempre una questione di soldi, ma Zuckerberg è stato abilissimo a farci credere che i social siano un suo gentile omaggio, che non siano cioè prodotti commerciali da cui lui trae profitto come, che so, un paio di Nike o una Coca Cola: noi gli abbiamo creduto, continuando a restituirgli gratuitamente, senza essere retribuiti, pensieri parole e immagini, i famigerati “contenuti” senza i quali la fragile architettura costruita nella Silicon Valley crollerebbe.

Sentirsi in colpa per non aver ancora postato niente di fondamentale
«Non hai ancora twittato!», ti redarguisce il passerotto celeste al mattino, quando già ti senti in colpa per non aver elaborato niente di fondamentale per rispondere alla domanda di Facebook «a cosa stai pensando?» che compare appena apri il tuo profilo. Per un paio di sneaker siamo abituati a pagare, sui social ci sembra invece di ricevere come per miracolo la sensazionale opportunità di far conoscere il nostro pensiero alla bolla, quelle decine o centinaia o migliaia di persone, sempre le stesse, cui la timeline mostra le foto, i video e le sciocchezze varie che scriviamo. Su Facebook c’è questa gara a chi ce l’ha più lungo: io che sono in una echo chamber di (supposti) intelligenti, mi ritrovo a volte invischiato in discussioni competitive, interrogativi epocali («se un giorno Sereni diventerà per altri quel che è per noi Zanzotto», per esempio), sentendomi perfino a volte in dovere di rispondere.

La dopamina di ricevere un “mi piace” dalle persone che stimiamo
Da autentico cretino anch’io cedo alla debolezza di incollare qui i miei articoli, che non ne avrebbero bisogno perché escono altrove, controllando di continuo se Natalia Aspesi o Omar Di Monopoli, che stimo, hanno per caso messo “mi piace“: tanto basta alla dopamina che mi gratifica per sedare il mio sistema di rinforzo intermittente positivo sul quale Zuckerberg ha basato la sua fortuna. Solo sui social infatti, io posso vedere se i miei amici hanno letto e apprezzato quanto ho pubblicato, risolvendo il social dilemma che mi attanaglia, come accade a tutti quelli che postano: sarò abbastanza intelligente/cool/ironico/sarcastico/oscuro/intelligibile/enigmatico da meritarmi il like di quelli che snobisticamente seguo, per ottenere un briciolo della loro attenzione?

Una nuova forma di comunicazione che molti usano per dare il “buongiornissimo”…
Alcuni cretini di livello credono di prendere le distanze dai social oggettivizzandoli, nominandoli cioè con l’aggiunta di un articolo determinativo: «l’internet», «il Twitter», «l’Instagram», «il Facebook». Pare che materializzando questa nuvola astratta e indicandola come se fosse una cosa, si abbia l’illusione di dominarla, perché il dubbio di essere delle magnifiche prede di un potere sfuggente è invece fortissimo. Il cretino social addicted si dà delle ragioni, la più perniciosa delle quali è «sarebbe assurdo non utilizzare questa nuova forma di comunicazione, visto che ce l’abbiamo»: se la utilizzi per dare il “buongiornissimo“, come fanno molti, non fai male a nessuno, è quando cominci a straparlare perché qualcuno più carogna di te ti fa credere che sei un genio che l’internet decolla e lo Zuckerberg guadagna.

I politici e la giovanilistica avventatezza dei loro collaboratori
Il cretino è un gran frequentatore dei profili degli intelligenti, perché filosoficamente attratto dagli abissi dell’animo umano ma anche, più terra terra, per farsi due risate. Imperdibili sono perciò i profili dei politici, perché assumono sempre un social media manager giovanissimo che, incurante per giovanilistica avventatezza della sua propria cretinaggine, la riversa sui Salvini, sulle Meloni, sui La Russa, sui Bonaccini, che si fidano, facendo fare loro delle figure barbine. Molti cretini, tra i quali io stesso, hanno cominciato ad accorgersi del tempo infinito che si perde sui social ed è da questo momento che Meta ha iniziato a rallentare, ha smesso di essere tra le prime 10 società quotate al mondo e sul Nasdaq ha avvertito i primi scricchiolii. Ma, tranquilli, è tutto programmato: siamo vicini a essere cotti a puntino per pagare finalmente l’Instagram, il Twitter e il Facebook, smettendo finalmente di fare i furbi sbraitando «se è gratis, il prodotto sei tu!». La massa non ne potrà più fare a meno e pagherà in silenzio, come l’abbonamento a Netflix e a Dazn, mentre le élite torneranno a laurearsi a Boston, a giocare a tennis e a visitare Art Basel, cose che, a dire il vero e mi correggo, non hanno mai smesso di fare.