Ispirandosi al libro uscito nel 1985 La prevalenza del cretino, di Fruttero & Lucentini, Tag43 tenta di aggiornare l’insuperabile raccolta con una carrellata di ritratti sull’ottusità contemporanea.
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Il cretino di sinistra non è più il comunista proustiano di Fruttero & Lucentini, quello che voleva indietro il vecchio imperialismo, il bianco cattivo e il colono sfruttatore, un mondo dove sia facile distinguere tra il bene e il male, tra l’amico e il nemico. Oggi il marxista immaginario guarda con ottusa simpatia il populismo dei grillini, perché dicono sciocchezze che la massa comprende e resta sedotto, per esempio, dal putinismo di un Alessandro Di Battista, perché fa fatica a credere che la Russia abbia smesso di essere comunista. E infatti lo è ancora, in modo antico, nostalgico, mentre quei neoliberisti degli ucraini guardano all’Europa, non vogliono più gli stipendi da fame dei russi e preferiscono un presidente che si fa fotografare su Vogue a una mummia che cammina.

L’ostinazione di certi campioni dell’inclusività
I cortocircuiti che lo confondono sono infiniti per il cretino di sinistra (e anche per Di Battista, che non sa più chi è e, alla ricerca disperata di un’identità, qualunque essa sia, si sintonizza ora su Nicola Fratoianni ora sul professor Alessandro Orsini): prendiamo la schwa. «Se una persona non è né maschio né femmina ma è altro», dice il cretino di sinistra, non puoi dire «tu sei bello» o «tu sei bella», devi dire «tu sei bell*». La schwa viene usata quindi in articoli o libri rivolti – supponiamo – a migliaia di persone, delle quali solo una percentuale bassissima, probabilmente vicina allo zero virgola, si considera «altro», si trova cioè «in transizione» da donna a uomo o viceversa; uno stato tuttavia temporaneo, perché i transgender binari non vedono l’ora di essere riconosciuti nel sesso che hanno scelto e che non è quello che la natura ha loro assegnato: non vedono cioè l’ora di smettere di essere “definiti” con la schwa.

Ancora più infinitesimale la percentuale delle persone transgender non-binarie, che non si considerano cioè né uomini né donne, senza identificarsi in nessuno dei due sessi. È nella speciosità con cui il rabdomante di sinistra va alla ricerca di queste mosche bianche e si incaponisce a proteggere quell’altra minoranza che aspirerebbe a un’integrazione rapida, e che sorvolerebbe probabilmente volentieri su un periodo da dimenticare, cercando di accorciarlo il più possibile, che si manifesta l’ostinazione di questi campioni dell’inclusività.
L’ossessione per i termini «élite» e «superiorità morale»
Raccontano austeri docenti universitari di discussioni infinite nei consigli di facoltà sulla targhetta da apporre alle porte dei cessi, per accontentare più che altro un principio, perché di “altri” nella maggioranza delle scuole italiane, non se ne vede nemmeno uno: pochi sono anche i transgender binari, che desiderano comunque essere riconosciuti nel sesso che hanno scelto. In linea di massima il cretino di sinistra 2.0 tende a scambiare la lotta di genere per la lotta di classe, cadendo nel più riconoscibile dei trabocchetti tesi dal nuovo capitalismo digitale che, rispolverando solfe vecchie come il cucco, rilancia il corporativismo: donne contro uomini, gay contro etero, bianchi contro neri perché il divide et impera non ha mai smesso, nella storia, di dare i suoi succulenti frutti a chi comanda. Microdimensionando poi la lotta di genere su queste community iper specializzate, il cretino di sinistra sembra equivocare definitivamente sul termine élite, che insieme al concetto di «superiorità morale» lo ossessiona da sempre.

Chi sottolinea le contraddizioni è accusato di essere di destra
Il fatto è che a metterlo di fronte a queste contraddizioni il cretino di sinistra ti accusa di essere di destra e forse ha ragione, perché l’intelligenza a volte alberga dove meno te lo aspetti, basta rileggersi L’oppio degli intellettuali di Raymond Aron o La cultura del piagnisteo di Robert Hughes che la destra si è lasciata scappare, consegnando di fatto questi due acuti reazionari, morti da tempo, alla sofisticatezza delle disquisizioni dei sinistri. Molti di destra hanno recentemente gridato allo scandalo perché nei libri di Roald Dahl, un famoso autore di storie per bambini, sono stati tolti alcuni aggettivi come «grasso» e «brutto», perché bisogna insegnare a non offendere nessuno fin dalla più tenera età. In questo modo hanno fatto sembrare immediatamente di sinistra questi antipatici censori, a fronte della licenza di offendere reclamata dai reazionari bulli, provocando il cortocircuito pasticcione, dove non si capisce più chi sia di destra e chi di sinistra, di cui si diceva all’inizio.

Un rimpallo infinito di ostracismi e di liste di proscrizione
La cancel culture è un rimpallo infinito di ostracismi e di liste di proscrizione tra destra e sinistra, fino a generare – anche tra i supposti intelligenti – quella confusione che tanto piace a Mark Zuckerberg e a Elon Musk, più a loro agio a speculare sul Nasdaq, tutte le volte che su Facebook, Instagram e Twitter volano stracci su questioni risibili come queste. Il cretino di sinistra ha poi una declinazione al femminile che ha una sua specificità giustamente rivendicata, ma alla quale anche Fruttero & Lucentini dedicarono un capitolo a parte, consapevoli che il rischio che si corre a sfiorare le donne, anche se con un fiore, è alto e abbisogna di approfondimento.