La prevalenza del cretino, di Fruttero & Lucentini (1985), cui seguì Il cretino in sintesi (2002), dimostrano che la figura antropologica del “cretino” conosce sempre nuove incarnazioni e “i suoi corsi e ricorsi rappresentano una sfida costante al pensiero speculativo”, come scrivono i due autori. E oggi, a che punto siamo? I cretini sono tornati? Prendendo ispirazione da F&L, Tag43 tenta di aggiornare quelle due insuperabili raccolte con una carrellata di ritratti sull’ottusità contemporanea. E dopo il cretino in politica, ecco come riconoscere il cretino nel giornalismo.
La subdola retorica del parlar chiaro
Non è che noi giornalisti siamo cretini H24, capita di esserlo a giorni alterni, qualche volta un po’ di più o un po’ di meno, dipende. È vero che la cretinaggine è insita nelle persone, e in alcune mette radici profonde, tuttavia non si manifesta sempre con la stessa intensità. Questo da un lato rincuora, dall’altro preoccupa perché si è portati a scambiare il giornalista cretino per un genio il lunedì e viceversa il martedì, perdendo la bussola. Un celebre direttore, ormai deceduto da anni ma da sempre l’epitome del “grande”, tanto da essere additato ancora oggi come un esempio da seguire, era conosciuto per un tic: nei suoi fondi sul Giornale dava spesso dell’imbecille a questo e a quello. Era un toscanaccio e, insieme a quell’altra osannata inviata trasferitasi dal Chianti a New York, avevano inaugurato nei loro articoli la retorica del “parlar chiaro“. Il parlar chiaro è quanto di più subdolo possa esistere nella scrittura perché dà la stura ai più vieti luoghi comuni, porta alla bocca di chi scrive quello che ha in pancia e, si sa, sarebbe meglio non rigurgitare in pubblico un cibo che magari si è digerito male. Scrivere in modo limpido è tutt’altra cosa dal parlar chiaro, che provoca sempre, in coloro che hanno sulla lingua quel che hanno nel cuore, il commento stantìo: «guarda come gliele canta!». Nascono da qui il qualunquismo, la faciloneria, le reazioni d’istinto, la demagogia, l’ammirazione per chi ha l’ardire di elargire opinioni in modo risoluto e deciso.

La fama costruita sul ribollire degli stomaci dei lettori
I così detti “grandi” giornalisti sono talmente presi da sé stessi che non hanno mai un dubbio e usano il tono assertivo come una specialità. Dare dell’imbecille a chi non la pensava come loro veniva naturale a quei due “maledetti toscani”, che sul ribollire sordo degli stomaci dei lettori andavano costruendo la loro fama. Perché qualunque impressione personale, per esempio sull’Islam, proclamata però ad alta voce e con rabbia e orgoglio in aggiunta, sembrava una verità incontestabile. Il modo di scrivere che si uniforma a semplicità e naturalezza è distante dall’affettazione dello stile di quei due campioni che cadevano anche su altre, piccole meschinità quotidiane, alimentando il mito di sé stessi, guardandosi bene dal correggere il conclamato e temuto pessimo carattere ma, anzi, elevandolo a paradigma della loro sincerità, intelligenza, anticonformismo.

Dare dell’imbecille all’avversario è rimasta caratteristica di un certo giornalismo di destra
Ecco: il cretino che li corteggiava era tutt’uno con il cretinismo di farsi corteggiare e così, mentre fomentavano la loro personale leggenda, i giovani come me che allora volevano diventare giornalisti cercavano modelli alternativi a quel professionismo che ci sembrava già allora molto provinciale, studiando semmai Tiziano Terzani, Luigi Pintor, Giorgio Bocca. Dare dell’imbecille negli articoli di fondo è rimasta, anche oggi, una peculiarità del giornalismo di destra, popolato, ohibò, da una schiera di tromboni senza peli sulla lingua. Noi giornalisti cretini ci ritroviamo poi su Twitter, dove il limite all’uso delle parole dà la mazzata finale al nostro pensiero debole.