La crisi di Credit Suisse, mio padre e la fine della storia con Allegra: il racconto della settimana

La mia storia con Allegra dopo una serie infinita di tira e molla finì definitivamente in concomitanza con la chiusura del mio conto al Credit Suisse, dopo che ricevetti la telefonata del mio personal banker che, glaciale, mi comunicava di restituire carte di credito e libretto di assegni poiché non ero più un cliente gradito. Il racconto della settimana.

La crisi di Credit Suisse, mio padre e la fine della storia con Allegra: il racconto della settimana

Seduti ai tavolini della Piccola Cucina, un minuscolo ristorante in viale Piave, nel bel mezzo della cena Allegra mi chiede: «Andre, chi è tuo padre?». «Adesso non ho nessuna voglia di parlane, piccola», dico. «Non vorrei rovinarmi la cena». Il sommelier nel frattempo ha aperto una bottiglia di vino francese, uno Chablis credo, e noi, interrompendo la conversazione, guardiamo attentamente i suoi gesti distogliendo lo sguardo l’uno dall’altra. Poi Allegra riattacca: «Ho cercato sue notizie su internet e non ho trovato niente…». «Su, dài», le rispondo stupito, «Lo hai fatto veramente?». «Sì», dice, «Non parli mai di lui. Perché?». «Perché lo odio», dico, sporgendomi verso di lei e poi comincio. «Bella, mio padre oltre ad avermi abbandonato quando avevo 12 anni, spedendomi prima in collegio e poi a casa di mia nonna, ha rubato tutti i soldi che mi aveva lasciato mia madre lasciandomi totalmente senza una lira. In poche parole mi ha rovinato la vita. Non trovi notizie su di lui perché per rifarsi una reputazione all’estero ha pagato un’agenzia che cancellasse tutto quello che ha fatto prima del 1992. Diritto all’oblio lo chiamano. C’è gente pagata per farlo. Tra i clienti spesso ci sono banchieri condannati per riciclaggio, corruttori, trafficanti di droga, uomini dello spettacolo accusati di molestie sessuali, professionisti coinvolti in frodi finanziarie internazionali. Ci sono imprenditori con un passato controverso. Ci sono riciclatori di denaro sporco. Vuoi che vada avanti?». Faccio una pausa di riflessione. «Alle», dico dolcemente. «Abbiamo già i nostri problemi tra di noi, che bisogno c’è di tirare in mezzo anche mio padre? Ripeto, non roviniamoci la serata». «Ma io voglio saperne di più di te. Mi tieni fuori da tutto», risponde affannosamente lei.
Poi cambiamo discorsi, mangiamo cibi che non ricordo e beviamo tre bottiglie di vino francese, una dopo l’altra.

«Bella, mio padre oltre ad avermi abbandonato quando avevo 12 anni, spedendomi prima in collegio e poi a casa di mia nonna, ha rubato tutti i soldi che mi aveva lasciato mia madre lasciandomi totalmente senza una lira. In poche parole mi ha rovinato la vita. Non trovi notizie su di lui perché per rifarsi una reputazione all’estero ha pagato un’agenzia che cancellasse tutto quello che ha fatto prima del 1992. Diritto all’oblio lo chiamano»

Più tardi siamo a casa mia. Dopo una vestizione spassionata succhio dolcemente il seno destro di Allegra, siamo entrambi ubriachi fradici. Roteo la lingua sul capezzolo destro, poi passo al sinistro e dopo un po’ scendo giù ed inizio a leccargliela delicatamente. Quando la giro prima di prenderla da dietro ho una specie di capogiro che comunque non mi impedisce di penetrarla, aggiungendo colpo dopo colpo una certa intensità, prima di eiaculare e crollarle addosso esausto. La mattina dopo sono sdraiato sul letto di camera mia in via Tiepolo. Sul pavimento un caos indescrivibile: ci sono cd dappertutto, una bottiglia mezza vuota di rum Pampero e dei residui di coca-cola in minuscole bottigliette di vetro di fianco ad un paio di converse bucate. Dallo stereo Bang & Olufsen, l’unico oggetto di valore della casa, escono le note di un vecchio disco dei Beastie Boys che mi ha masterizzato qualche mese fa il drugo Fede. Mi tolgo i boxer, prendo un asciugamano ed esco sulle scale diretto verso il bagno perché ho assoluto bisogno di farmi una doccia. Mi strofino i capelli con l’asciugamano, me lo lego in vita e torno in camera. Comincio a rivestirmi. Allegra, ancora arrovigliata tra le lenzuola bianche del mio letto, sta fumando una sigaretta e guarda in tele un video su MTV con il volume a zero, credo sia Rock It dei Gorillaz. «Mi chiami più tardi?», chiede. «Forse». Mi allaccio i jeans e mi giro per andarmene, poi aggiungo: «Chiudi la porta quando esci». «Buona giornata». La guardo per un attimo. «Anche a te». Esco dalla stanza e faccio per chiudere la porta. «Andre?». Mi fermo senza girarmi. «Sì?». «Niente».

Mezz’ora più tardi sto attraversando a piedi via Festa del Perdono con il mio zaino da liceale Eastpak che contiene i libri di filosofia e mentre passeggio mi specchio nelle vetrine dei bar e mi trovo sostanzialmente molto figo con indosso la camicia di Tommy Hilfiger, i miei jeans sdruciti e il cappotto di lana inglese Aquascutum che tengo aperto sul petto. Entro in università e mi dirigo verso il chiostro dove incontro Silvione, già con un gigantesco joint alla Bob Marley acceso fra le labbra, e prima di andare a lezione scambiamo pareri su un nuovo ristorante trendy che ha appena aperto in via Solferino e sulla serata di venerdì alla Banque dove sono da poco diventato resident. Poi di colpo, mentre esco dall’università incrocio lo sguardo di una ragazza carina che mi sorride nascondendosi dietro a uno sbadiglio, è già tardo pomeriggio ed il cielo si sta facendo buio. Prima di tornare a casa passo allo sportello bancomat del Credit Suisse in Via Santa Margherita a prelevare qualche centinaio di euro e quando leggo il mio estratto conto quasi mi viene un colpo nonostante da qualche giorno una grossa somma di denaro sia stata trasferita dalla Banca Cesare Ponti dove, su un libretto di risparmio a mio nome, era rimasta l’ultima tranche dei soldi che ancora mi doveva mio padre. Tornato a casa apro la finestra perché l’aria è irrespirabile e mentre ascolto a tutto volume un pezzo di Fatboy Slim rispondo al telefono a una chiamata di Allegra. Mi dice di essere a letto nuda e di sentire la mia mancanza. Io inizio a girare per la stanza nervoso mentre la ascolto e, senza staccarmi dal telefono, inizio a curiosare in una vecchia scatola di scarpe piena zeppa di fotografie. Io e Allegra a Tenerife sdraiati a bordo piscina al Country Club di fianco a casa sua; noi due a casa di Dodo a Capodanno; un paio di istantanee di noi due sulla spiaggia di Ibiza; altre due foto di noi ad una festa al Rotary Club in una villa in via Mozart a Milano; una di Allegra giovanissima con i capelli corti e una cresta punk viola fuori dal Leonardo. Trovo anche una mia foto con il drugo Fede, al Far Out di Ios, entrambi con gli occhiali da sole, probabilmente scattata da DFA durante l’estate del 1998. Ci sono anche altre foto nella scatola, tipo un sacco di mia madre o di me da piccolo, ma non ce la faccio proprio a guardarle, così chiudo la scatola, la metto via e inizio a rollarmi una canna d’erba, sempre con il telefono stretto tra orecchio e spalla. Accendo MTV senz’audio, tiro dallo spino e soffio fuori il fumo. Allegra continua a parlare, mi dice che le piaccio ancora e che anche se non ci siamo visti per quattro mesi di fila non vuol dire che sia finita.

L’altro giorno un cliente del bar mi ha chiesto: «Perché ambienti le tue storie nei tuoi racconti in un ambiente di ricchi?». Un po’ stupito, con indosso il grembiule dopo una breve esitazione gli ho risposto: «Perché così racconto la storia della mia famiglia. Perché è un gesto quasi catartico per aprirmi, e aprirsi è stato curativo, hombre. Lo ha detto anche Paris Hilton»

Il giorno dopo siamo a cena uno di fronte all’altra seduti ai tavolini del Mandarin 2, un ristorante cinese di miei amici dietro Piazza Piola. La osservo mentre sorseggia un bicchiere di vino bianco e mentre sfoglio il menu guardo dal dietro le tende del locale le macchine che passano su via Garofalo, cominciando a pensare che forse sto facendo un errore. «Da dove arrivi?». «Ero fuori con i ragazzi», rispondo. «Con Dodo e Rupert». «Cosa avete fatto di bello?». «Perché?». «Dai, non incazzarti subito. Sono solo curiosa». Sospiro, perché in realtà non abbiamo fatto assolutamente niente. Tergiverso. Poi prendo il menu e lo depongo di nuovo sul tavolo senza aprirlo. «Come vanno gli esami all’università?», chiede Allegra. «Senti, che domande mi fai?», poi distolgo lo sguardo e la ignoro. È un errore. All’improvviso lei mi guarda, poggia il bicchiere di vino sul tavolo, mi guarda dritto negli occhi. «Andre, sei mai stato innamorato di me?». Non rispondo, distolgo di nuovo lo sguardo. «Ti ho chiesto se sei mai stato innamorato di me?».
Ricordo la prima volta che abbiamo fatto l’amore, a casa sua a Tenerife, il suo corpo abbronzato e sudato contro le lenzuola bianche, fresche. «Lascia perdere, Alle», le dico.
«Avanti, rispondi». Non dico niente. «È così difficile rispondere?». La guardo fisso. «Sì o no?». «Perché?». «Maledizione, Andre», sospira lei. «Dimmi la verità». «Che cazzo vuoi che dica, si può sapere?». «La verità», dice lei, alzando la voce. «No», dico io, mentendo. «Non sono mai stato innamorato di te». Mi metto quasi a ridere. «Grazie. Lo volevo sapere. Punto. Finita la discussione». Un altro sorso dal bicchiere di vino. «E tu? Sei mai stata innamorata di me?», domando, anche se ormai non me ne importa più niente. Lei tace. Poi dice: «C’è stato un momento in cui ero innamorata pazza di te. Mi sarei perfino trasferita nella tua minuscola stanza in via Tiepolo piuttosto di stare con te. Nell’ “attico”, come lo chiami tu». Abbassa gli occhi, poi continua: «Ma era come non ci fossi. Non c’eri mai. Sei sempre stato distante. Oh merda, tutta questa conversazione non ha senso». Tace. «Sei stata tu a iniziarla», le dico. «Ti è mai importato qualcosa di me?». Non rispondo, abbasso nuovamente gli occhi sul menu «Ti è mai importato qualcosa di me, Andre?», ripete. «No, e di nessun altro. Non voglio attaccarmi a niente, a nessuno. Non ho voglia di soffrire ancora. Non ce la faccio». Alla fine Allegra si alza, prende la sua borsa di Valextra e fa: «Ci vediamo, Andre». «Dove vai, baby?». All’improvviso non voglio lasciarla andare, il cuore mi batte all’impazzata. L’immagine successiva è una ripresa di me che la guardo uscire dal ristorante. Poi arriva Tsuni, il proprietario del Mandarin, che mi chiede: «Andre, tutto ok?». Alzo gli occhi, mi sforzo di rispondere. «Sì, Tsu, tutto ok».

Rischio fallimento per la banca svizzera Credit Suisse
Credit Suisse a rischio fallimento (Getty Images).

La mia storia con Allegra dopo una serie infinita di tira e molla che è durata anni è finita definitivamente quasi in concomitanza con la chiusura del mio conto corrente al Credit Suisse, dopo che un pomeriggio ricevetti la telefonata del mio personal banker Stefano Ebestein che, glaciale, mi comunicava di restituire carte di credito e libretto di assegni poiché non ero più un cliente gradito alla banca. All’epoca il mio saldo era solamente di 10 mila euro e non aveva più senso secondo loro che rimanessi fra i loro correntisti. Leggendo i titoli sui giornali questa settimana riguardanti il crollo delle borse per causa di Credit Suisse ho pensato a quei giorni distorti e ho deciso di parlarne perché come dice Paris Hilton «aprirsi è stato curativo». L’altro giorno un cliente del bar che non vedevo da parecchio tempo mentre servivo i piatti a tavola all’ora di pranzo mi ha chiesto: «Perché ambienti le tue storie nei tuoi racconti in un ambiente di ricchi?». Un po’ stupito, con indosso il grembiule dopo una breve esitazione gli ho risposto: «Perché è l’ambiente da cui provengo. Perché così racconto la storia della mia famiglia. Perché è un gesto quasi catartico per aprirmi, e aprirsi è stato curativo, hombre. Lo ha detto anche Paris Hilton, non lo leggi il Corriere della Sera?».