Hélène Barre, 35 anni, ha perso il senso dell’olfatto quando si è ammalata di Covid-19 a novembre, una condizione nota come anosmia. La sua lenta guarigione è stata rallentata da alcuni inquietanti effetti indesiderati: le noccioline odoravano di gamberetti, il prosciutto crudo di burro, il riso sembrava Nutella. Senza considerare che, per ore, sentiva un inesistente e fastidiosissimo odore di bruciato. Sintomi di per sé preoccupanti per chiunque, ma la signora Barre è un’enologa, esperta di vini e di vinificazione. La sua carriera, il suo sostentamento, la sua passione dipendono tutti da una cosa: la capacità di annusare. La sua storia, e quella di molti altri professionisti francesi, è raccontata in un lungo articolo del New York Times.
«È il nostro strumento di lavoro, il nostro modo per capire i problemi», ha affermato la signora Barre, che lavora in una cooperativa vinicola a Limoux, una città nel sud-ovest della Francia. «Lo usiamo per descrivere il vino, ma anche per analizzarlo e criticarlo». Non poter sentire gli odori, o confonderli, «è come togliere la cazzuola a un muratore: frustrante e snervante».
L’effetto del Covid sui sommelier
Per milioni di persone in tutto il mondo, l’anosmia è diventata un segno rivelatore di Covid-19, spesso legata anche alla perdita del gusto. Tuttavia, rispetto ai sintomi più gravi è vissuta come un inconveniente minore, anche se fastidioso. Ma per professionisti come la signora Barre, l’olfatto non è un senso trascurabile. Per sommelier, profumieri, enologi e altri professionisti, la capacità di sentire gli odori è un’abilità affinata in molti anni, che permette di identificare sfumature come le note di agrumi in un profumo, o analizzare il bouquet di un Bordeaux maturo.

Se però arriva il Covid a portare via tutto, la paura di non poter più svolgere il proprio lavoro diventa opprimente. Un sondaggio dell’anno scorso di Oenologues de France, un sindacato di esperti di vino, ha rilevato che quasi il 40 per cento di chi, tra i suoi membri, ha preso il coronavirus, è stato colpito da alterazioni di gusto e olfatto che hanno influito sul lavoro. «Molti non ammettono di aver avuto problemi perché temono di danneggiare la loro immagine professionale», ha detto alla testata americana Sophie Pallas, direttrice esecutiva del sindacato. «Non abbiamo ancora strumenti di misurazione precisi, ed è complicato certificare che tutte le abilità siano state del tutto ristabilite».
Il Covid e il settore dei profumi
I timori che il Covid possa distruggere carriere sono particolarmente alti nel mondo della profumeria, dove i profumieri – chiamati in Francia nez, “nasi” – lavorano per mesi, se non addirittura per anni, per selezionare e dosare i componenti chimici di una fragranza. «È terrificante, come un pianista che perde le dita», ha detto Calice Becker, una creatrice di profumi francese che ha creato diversi prodotti di punta, tra cui J’adore di Dior, e che ora è direttore di una scuola di profumeria per l’azienda svizzera Givaudan.

Professionisti con l’anosmia possono ancora comporre la formula per una fragranza, ha continuato Becker, perché per esperienza conoscono gli odori e come questi interagiscono tra di loro. Un meccanismo simile a quello che ha permesso a Beethoven di continuare a comporre musica anche negli ultimi anni della sua vita, nonostante fosse sordo. Allo stesso modo, i sommelier sanno istintivamente quali vini e cibi si abbinano bene. Ma Philippe Faure-Brac, il capo dell’unione francese dei sommelier, ha affermato che l’anosmia ha reso più difficile lavorare con gli chef su abbinamenti nuovi o più sottili; peggio, chi ne soffre non riesce a riconoscere i vini che sanno di tappo.
Covid, i pregiudizi dei professionisti su chi si ammala
La perdita di olfatto può provocare anche una situazione sgradevole tra colleghi. Mathilde Ollivier, 33 anni, enologa e consulente per i produttori di vino nella Valle della Loira, ha avuto l’anosmia ed è riuscita a tornare a lavoro solamente dopo diverse settimane. Un collega enologo, però, era sconcertato dal fatto che avesse raccontato ai suoi clienti della sua malattia «imbarazzante». Secondo un altro, Ollivier non avrebbe dovuto raccontare la sua esperienza alla stampa locale, come ha invece fatto. Per lei, però, parlarne era requisito fondamentale per mantenere la fiducia con i propri clienti. «Dobbiamo parlarne», ha detto, per rompere il tabù.