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Covid, perché non siamo preparati a una nuova ondata

Smantellamento degli hub vaccinali e delle Usca. Tagli alla sanità. Piani per la scuola rimasti sulla carta. Sono passati due anni e mezzo dall’inizio del Covid, i contagi sono in preoccupante risalita e no, non ne siamo usciti migliori.

5 Luglio 2022 18:24 Ulisse Spinnato Vega
Covid, cosa non abbiamo ancora imparato dalla pandemia

«Ne usciremo migliori», azzardava qualcuno nei periodi più bui della pandemia. Intanto non ne siamo ancora usciti e soprattutto appare davvero arduo sostenere, adesso, che il nostro sistema sanitario e il sistema Paese in generale abbiano appreso una qualche lezione dal Covid. Eppure, il primo insegnamento di cui fare tesoro sarebbe connesso al deficit dei servizi assistenziali di prossimità: tutto il peso dell’emergenza è finito sul groppone di pronto soccorso e ospedali che sono subito andati in affanno. Ora il Pnrr ridisegna completamente l’assetto della medicina territoriale, ma le croniche carenze di personale rischiano di confinare i buoni propositi nel limbo delle chimere, a partire dalle incognite su una figura chiave come l’Infermiere di famiglia.

Il Sistema sanitario non pare pronto ad affrontare una possibile sesta ondata

Nel frattempo il virus ha ripreso a picchiare, infischiandosene per la prima volta da quando esiste anche dell’estate. Il presidente dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), Giorgio Palù, ha smorzato l’allarme su una possibile recrudescenza delle polmoniti legate a Omicron 5, ma intanto le persone ricoverate in terapia intensiva erano ieri 303, 12 in più di domenica, e i pazienti con sintomi nei reparti ordinari hanno toccato quota 7.648, 436 in più rispetto a due giorni fa. I vaccini in grado di scudarci anche contro Ba.5 arriveranno a settembre-ottobre, ma il Servizio sanitario nazionale non pare pronto ad affrontare una sesta ondata. I grandi hub vaccinali che eravamo ormai abituati a vedere nelle fasi più dure della pandemia sono stati in gran parte smantellati. Il sistema punta su una maggiore capillarità nella distribuzione dei nuovi vaccini, facendo leva su farmacie, aziende sanitarie e sui medici di medicina generale. Non a caso, per esempio, la giunta regionale del Piemonte ha da poco prorogato al 15 settembre la somministrazione dei preparati anti Covid nelle farmacie.

Covid, dosa non abbiamo ancora imparato dalla pandemia
Il pronto soccorso di Cremona (Getty Images).

Perché è stato un errore smantellare le Usca

Tuttavia, proprio le sigle dei medici di famiglia sono sul piede di guerra e uno di loro si sfoga, dietro anonimato, con Tag43: «Hanno smantellato le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale, ndr) e ora vogliono caricare tutto sulle nostre spalle. Peccato che i medici delle Usca andassero a casa dei malati Covid in due, mentre si ritiene che il medico di medicina generale possa fare tutto da solo. Ma noi dobbiamo tenere aperto lo studio, controllare i nostri assistiti, fare i tamponi e i vaccini in ambulatorio e poi pure andare a casa dei pazienti positivi? Pensano che abbiamo il dono dell’ubiquità? Come sempre vogliono fare le nozze con i fichi secchi e ora ci chiedono anche di sopperire alle Usca». Insomma, la nuova campagna di vaccinazione non parte con le migliori premesse, tanto che già in molti prevedono un tasso di adesione nettamente più basso rispetto agli oltre nove italiani over12 su 10 che hanno fatto le prime due dosi e gli oltre otto su 10 che si sono sottoposti pure alla terza iniezione.

Medici sul piede di guerra

Proprio le Usca sono uno dei tasti dolenti in questa fase di impennata dei contagi. Le unità speciali avevano giocato un ruolo importante nella lotta alla pandemia, soprattutto in alcune aree del Paese, eppure il 30 giugno scorso sono cessati, in molte Regioni, gli incarichi ai medici in esse impiegati. La musica è sempre la stessa: i nuovi contratti contemplano un incremento delle mansioni e una riduzione dei compensi, rendendo naturalmente poco attraente l’attività. Malumori e proteste dilagano in tutto il Paese e i camici bianchi di medicina generale sono in prima linea. La Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale) in Friuli Venezia-Giulia ha chiesto di prorogare le Usca fino al 31 dicembre, mentre a Pisa il segretario provinciale Luca Puccetti ha rincarato: le Unità speciali «cessano l’attività mentre il bando delle Asl per reclutare i medici che dovrebbero vicariarle, ossia le Uca, le Unità di continuità assistenziale, in molti casi è andato deserto per l’inadeguatezza della proposta economica e per la confusione dei ruoli e dei compiti assistenziali». «Come risultato, i pazienti affetti da Covid in molti casi potranno essere monitorati solo a distanza e sarà spesso necessario il ricovero. I pazienti positivi ricoverati», ha previsto Puccetti, «non potranno invece essere dimessi se non quando si saranno negativizzati, poiché mancano i medici per far funzionare le strutture intermedie che fino ad oggi hanno accolto tali pazienti, e quindi i reparti ospedalieri entreranno in grave sofferenza». In Molise si è mossa poi Cittadinanzattiva contro la mancata proroga del servizio delle Usca dal primo luglio: «Rischia di creare un vuoto assistenziale», per cui l’associazione chiede di sapere «se in ragione della cessazione del servizio, siano state attivate tutte le procedure atte a riorganizzare il lavoro dei medici di base, del Servizio 118 e dei Pronto soccorso che ormai devono far fronte a tutte le incombenze di gestione dei pazienti Covid, visti gli aumenti degli ultimi giorni».

Covid, dosa non abbiamo ancora imparato dalla pandemia
Il ministro della Salute Roberto Speranza (Getty Images).

Scuola: eterno tasto dolente

Infine c’è il tasto dolente della scuola: dopo le polemiche e le giravolte sulle mascherine per gli esami, si ragiona adesso su come ricominciare dopo l’estate. Così, se il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ha previsto che non serviranno i dispositivi di protezione al ritorno tra i banchi e punta sui sistemi di aerazione, i presidi di Roma e Lazio lamentano i soliti ritardi: «Aerazione? Non sono arrivate né le annunciate linee guida né i fondi».

La Sanità tra tagli e carenza di personale

Più in generale, il ministro della Salute, Roberto Speranza, aveva promesso solennemente che con la pandemia si sarebbe chiusa la stagione dei tagli in sanità. Eppure il Def segnala che la spesa per il Ssn andrà in discesa rispetto al Pil fino al 6,2 per cento del 2025 (da 7,4 per cento del 2020, primo anno del Covid), mentre poi il valore dovrebbe risalire fino al 7,3, ma solo nel 2050 e rimanere stabile al 7,4 nel 2060 e al 7,3 nel 2070. In sostanza, nel prossimo triennio assisteremo a un calo medio annuo dello 0,6 per cento degli esborsi sanitari, mentre la ricchezza nominale è attesa in crescita del 3,8 per cento nello stesso arco temporale. Inoltre, c’è il problema della carenza di personale, mentre quello che resta è invecchiato e sfibrato (un vulnus comune, invero, un po’ a tutta la Pa). Basti dire che nel 2001 l’età media dei lavoratori del comparto era 43,5 anni, mentre oggi è arrivata a 49,8. Secondo i sindacati, per di più, mancano all’appello circa 50-60 mila medici e una cifra tra 70 mila e 160 mila infermieri, a seconda dei parametri di calcolo presi a riferimento. Anni di austerity, blocco della contrattazione e del turnover hanno reso le condizioni di lavoro sempre più difficili e le buste paga sempre più magre; dunque le professioni sanitarie sono poco attrattive per i giovani (carenza che riguarda pure i medici di famiglia). Un nodo, questo, che le semplificazioni, le lente stabilizzazioni dei precari reclutati durante l’ultimo biennio e le fast track sui concorsi non sembrano ad oggi in grado di risolvere.

Tag:Covid
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