Oltre a diventare un caso politico, oltreché giudiziario, la vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico abruzzese condannato prima a 10 anni per aver gambizzato, nel 2012, l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, e poi mentre era in carcere ad altri 20 anni per l’attentato del 2006 contro la Scuola carabinieri di Fossano ha, con forza, riacceso i riflettori sull’esistenza del movimento anarchico. O, meglio, sui movimenti anarchici. Perché si tratta di una galassia molto composita e variegata, sia dal punto di vista organizzativo che operativo. Allo stesso Cospito, per dire, possiamo ricollegarne almeno tre: il Kn03, (la formula chimica del nitrato di potassio, uno degli elementi per creare un fumogeno), dal nome di un foglio anarchico rivoluzionario di cui Cospito era redattore; la FAI, Federazione anarchica informale, movimento composto da vari gruppi dediti all’intimidazione armata rivoluzionaria e ritenuto dagli inquirenti un’associazione a delinquere con finalità di terrorismo, e il Fri: Fronte rivoluzionario internazionale. Stiamo parlando, secondo l’Antiterrorismo, di un’organizzazione complessiva di poche centinaia di persone, a cui si aggiunge, di volta in volta, nelle varie manifestazioni, un numero imprecisato di simpatizzanti. L’azione più recente del movimento è stata, il 2 dicembre scorso, l’incendio dell’auto della prima consigliera dell’ambasciata italiana ad Atene Susanna Schlein. Attacco rivendicato da un gruppo che si è autodefinito “Il Carlo Giuliani Revenge Nuclei”, il quale ha riferito di aver agito a sostegno di Cospito, in sciopero della fame da ottobre contro il regime del 41bis.

Dalla Lugano bella ai No-Tav
Una cosa è certa, non siamo ormai più nell’epoca tutto sommato romantica, quella, per così dire, degli anarchici d’altri tempi, dei Gori o dei Malatesta, di quelli che cantavano Addio Lugano bella. Almeno dal 2003, anno considerato un po’ uno spartiacque, quando, a Bologna, due piccoli ordigni fanno esplodere due cassonetti sotto la casa di Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea, e due giorni dopo, un libro bomba scoppia all’interno dell’abitazione. Da allora prende avvio una vera e propria escalation di azioni violente (per esempio due pacchi bomba esplosi nelle ambasciate romane della Svizzera e del Cile nel 2010), mentre globalizzazione e temi di attualità alimentano sempre più l’ideale, e soprattutto la prassi, antagonista, dall’Alta Velocità (TAV) ai centri di identificazione per gli immigrati. A questo microcosmo violento, tuttavia, si contrappone un ambito ben più pacifico e teoricamente – cioè culturalmente – ben più solido, basti pensare a riviste che sopravvivono ancora oggi a cento anni dalla fondazione, per esempio Umanità Nuova, creata da Enrico Malatesta nel 1920 e legata alla Federazione Anarchica Italiana e alle edizioni Zero, o A-Rivista Anarchica, che ha chiuso i battenti (2020) solo dopo la morte del suo animatore, Paolo Finzi, tra l’altro amico di Fabrizio de André, o la casa editrice Elèuthera, la realtà culturale più affermata del settore, con un catalogo ricco di centinaia di titoli.
Le due anime dell’anarchia
A ben vedere, nulla di nuovo sotto il sole. Sin dalla sua nascita, il movimento anarchico ha costantemente riproposto, sostanzialmente, una dicotomia che lo ha attraversato dai tempi delle sue prime teorizzazioni e manifestazioni, quando, a partire dalla prima metà del XIX secolo, alla corrente pacifista e idealista nata sulla scorta dell’elaborazione filosofica di Proudhon – che riprendeva autori come Tommaso Moro, illuministi come Condillac, Rousseau, Diderto e Godwin, e poi sviluppata da Bakunin e altri, tra cui l’anarchico cattolico Lev Tolstoj – si contrapponeva un filone più combattivo e dedito all’insurrezionalismo rivoluzionario, e che, nato dall’anarco-comunista Kropotkin, ha influenzato le frange più estremiste. Le quali, tra l’altro, hanno dato vita a molteplici e celebri attentati, da quello, fallito, di Giovanni Passannante a Umberto I (1878) a quello di Sante Caserio, che uccise il presidente francese Carnot (1984), da quello, anch’esso fallito, di Pietro Acciarito, sempre contro Umberto I (1897) a quello di Luigi Lucheni, che il 10 settembre 1989 uccise l’imperatrice Elisabetta di Baviera. Per chiudere con il più famoso, quello di Gaetano Bresci che, nel luglio del 1900, a Monza, uccise Umberto I, per vendicare le centinaia di morti massacrati, a Milano, dal generale Bava Beccaris. Senza dimenticare i falliti attentati contro Mussolini di Gino Lucetti (a Porta Pia, nel 1926) e la tragica fine di Anteo Zamboni (sempre nel 1926). Il 15enne figlio di anarchici venne incolpato di aver esploso un colpo di pistola contro il Duce e per questo trucidato dai fascisti in strada.

Dagli all’anarchico: il caso Pinelli
In Italia, gli anarchici, sono tornati in voga in tempi più recenti, ancorché confinati ormai al secolo scorso, all’indomani della strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), che costò la vita a 17 persone, e provocò 88 feriti. Allora, gli inquirenti percorsero immediatamente proprio la cosiddetta pista anarchica, arrestando prima Pietro Valpreda e quindi Giuseppe Pinelli. Sappiamo come andarono le cose: Valpreda, arrestato sulla base di una improbabile testimonianza di un tassista, venne assolto (non senza polemiche e colpi di scena) definitivamente nel 1987. Al ferroviere anarchico andò peggio. Come noto, tre giorni dopo la strage, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, Pinelli precipitò (la versione ufficiale parlò di un malore) dal quarto piano della questura dove era stato convocato. Ne fece le spese, per tutti, il commissario Luigi Calabresi che, al termine di una feroce campagna d’odio scatenata dall’area extraparlamentare di sinistra, in particolare da Lotta Continua che lo accusava di essere il responsabile della morte dell’anarchico, venne ucciso nei pressi della sua abitazione milanese il 17 maggio 1972.

Piazza Fontana, la pista anarchica e Feltrinelli
Aldo Giannuli che si è molto dedicato, negli ultimi decenni, ad alcune delle questioni più controverse della nostra storia (vicenda Moro, Gladio, servizi segreti deviati e così via) ha, di recente – dicembre 2021 – ripreso il tema della pista anarchica per la strage di piazza Fontana, sostenendo, grazie alle memorie dei protagonisti e alla documentazione da lui consultata negli archivi, come non si fosse trattato di una tesi estemporanea, bensì costruita ad arte dalla polizia ben prima del 12 dicembre. Valpreda, solo per fare un esempio, era entrato nel mirino e “attenzionato” dalla polizia dal settembre precedente; agli anarchici erano stati attribuiti alcuni attentati compiuti in Svizzera nel gennaio del 1969, gli attentati di aprile, dello stesso anno, al Tribunale e alla Fiera di Milano, e, allo stesso Pinelli, quelli ad alcuni treni nell’estate. In più, mentre la polizia perseguiva questa pista, i carabinieri si dicevano certi che il mandante della strage fosse Giangiacomo Feltrinelli, diventato irreperibile una settimana prima di Piazza Fontana. E, per giustificare il legame dell’editore, notoriamente comunista e marxista, col mondo anarchico, non trovarono di meglio che enfatizzare il rapporto con i coniugi Corradini, anarchici (ma ormai lontani dal movimento), e suoi coinquilini. Feltrinelli, tra l’altro, dopo un arresto in Bolivia nel 1967 per fiancheggiamento ai ribelli di Che Guevara, nel 1968 aveva – per questioni di “opportunità” – dovuto vendere (a Sindona) la quota, lascito del padre, detenuta con il Vaticano nella Banca Privata Finanziaria. Perdendo, di fatto, una certa “protezione”. Giannuli separa le due vicende, ma sostiene anche come le due “congiure” potessero aver trovato nella pista anarchica una sintesi molto gradita a inquirenti e politici. Pista che, come si sa, col procedere delle indagini si rivelerà del tutto fuorviante.