Una bandiera nera a Kabul

Redazione
27/08/2021

Costola di Daesh nel Khorasan, ha sferrato numerosi attacchi sia in Afghanistan sia in Asia centrale. Chi sono i leader e su quale network di alleanze può contare l'Isis K, il gruppo che ha rivendicato gli attentati all'aeroporto.

Una bandiera nera a Kabul

Gli attacchi suicidi che il 26 agosto hanno ucciso almeno 170 persone (ma il bilancio sale drammaticamente col passare delle ore) di cui 13 marines Usa – all’aeroporto di Kabul sono stati rivendicati dalla costola regionale del sedicente Stato Islamico: l’Isis K.

L’ostilità di Isis K contro i talebani

Un attacco sferrato probabilmente contro i talebani che, poco dopo aver preso il controllo della prigione della capitale afghana, avevano giustiziato il loro leader Omar Khorasani che vi era detenuto. Daesh ha così rialzato la testa dopo la sconfitta dell’ottobre 2017 a Raqqa, in Siria, quando la città che era stata loro roccaforte venne riconquistata dalle Forze siriane.

Nascita e affiliazioni dell’Isis K

L‘Isis K è una propaggine di Daesh che agisce in Afghanistan e ha la sua base nella provincia orientale del Khorasan, l’antico nome persiano del territorio che dall’Iran abbraccia anche Afghanistan e Pakistan. È stata fondata all’inizio del 2015 quando Hafiz Saeed Khan, pakistano affiliato al gruppo Ttp (attivo in Pakistan), venne scelto come guida giurando fedeltà Abu Bakr al-Baghdadi. Ne fanno parte miliziani delusi dai talebani e contrari a ogni accordo con Kabul (tra cui i gruppi Tehrik-e Taliban Pakistan e quel che resta dell’Islamic Movement of Uzbekistan, Imu) e membri del Ttp. Negli anni poi Isis K ha reclutato molti giovani nelle moschee e nelle madrasse pakistane, attraendo molti jihadisti centro asiatici in fuga dalla Siria. L’Isis K ha firmato diversi attacchi a Kabul, contro, soprattutto, la minoranza sciita hazara. Ma anche una serie di attentati in Pakistan, in Kazakstan, Kirghizistan e in Uzbekistan. Gli Stan dell’ex Urss che rendono questo gruppo pericoloso sia per la Russia che per la Cina. Non a caso Mosca e Pechino hanno accettato di avviare fin da subito un dialogo con i talebani. Nel 2020 un’attentato al reparto maternità dell’ospedale di Kabul gestito da Medici senza frontiere causò 24 morti, per lo più donne e bambini. Secondo l’intelligence Usa, nel periodo di massima forza Isis K poteva contare su 2-3 mila combattenti, oggi dovrebbero essere ridotti a 1500. Grazie alle entrate del narcotraffico Isis K negli ultimi due anni ha rialzato la testa, estendendo il suo controllo alle province di Nangarhar, Kunar, Nuristan e Badakhshan. Nel 2017, l’allora presidente Donald Trump ordinò di attaccare le grotte utilizzate come basi dal gruppo nell’Afghanistan orientale sganciando la GBU-43/B, definita “la madre di tutte le bombe”, il più potente ordigno convenzionale dell’arsenale Usa.

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Gli attentati all’aeroporto di Kabul sono stati rivendicati da Isis K. cellula di Daesh del Khorasan (Getty Images)

I leader di Isis-K

In sei anni di vita, il gruppo ha avuto sette leader molti dei quali uccisi nelle azioni anti-terrorismo degli Usa. Il primo capo, Hafiz Saeed Khan, ex membro dei talebani pakistani, fu ucciso in un attacco aereo nel luglio 2016 nella provincia di Nangarhar. Stessa sorte per Abdul Hasib nell’aprile 2017, Abu Sayed pochi mesi dopo, l’11 luglio 2017, e Abu Saad Orakzai il 25 agosto 2018. Omar Khorasani, detenuto a Kabul, è stato giustiziato dai talebani il 15 agosto. L’attuale leader, Shahab al-Muhajir, è a capo del gruppo da quando il suo predecessore fu arrestato nell’aprile 2020.

I rapporti di Isis K con talebani e Al Qaeda

Ufficialmente, talebani e Stato islamico sono nemici. Alcuni analisti dell’intelligence, tuttavia, indicano collegamenti tra l’Isis-K e l’ala più radicale e violenta dei talebani, la rete Haqqani, accusata di fornire aiuti logistici allo Stato Islamico. Non solo. Tra i leader dell’Isis-K ci sono stati ex membri della rete Haqqani ma anche di Al Qaeda. Se l’obiettivo dei talebani è fondare un Emirato islamico, in Afghanistan, il sedicente Stato islamico punta ancora a realizzare un califfato transnazionale.

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L’aeroporto di Kabul dopo gli attentati che hanno ucciso almeno 100 persone rivendicati da Isis-K (Getty Images).

Gli avvertimenti degli Usa

Fin dalla formazione del gruppo, gli Stati Uniti lo hanno colpito con attacchi aerei sulle montagne di Tora Bora, che oltre un decennio prima erano state uno dei nascondigli del leader di al Qaeda Osama bin Laden. Gli Usa avevano indicato il gruppo come una grave minaccia per i civili afghani, e mentre cominciavano le operazioni di evacuazione avevano lanciato l’allarme su un’imminente minaccia terroristica proprio contro l’aeroporto di Kabul. «Ogni giorno in cui restiamo in Afghanistan è un altro giorno in cui sappiamo che l’Isis-K sta cercando di prendere di mira l’aeroporto e attaccare sia le forze statunitensi che quelle alleate e civili innocenti», aveva detto il presidente Joe Biden il 24 agosto. Le forze Usa temono nuovi attentati nell’aeroporto, dove di fatto si sta combattendo la guerra per il controllo di Kabul. Lo ha confermato il generale Frank McKenzie, capo dello Us Central Command. «Stiamo facendo tutto quello che possiamo per essere preparati», ha dichiarato, sottolineando che è in corso uno scambio di informazioni con i talebani. Proprio gli studenti coranici avrebbero evitato altri attacchi.