Straniere in casa propria
In Corea del Sud sempre più single scelgono una moglie vietnamita, filippina o nepalese incentivati economicamente dal governo. Spesso però l'integrazione è difficile. Ecco tre storie di rivalsa.
In Corea del Sud sposarsi è una vera e propria responsabilità sociale. Tanto che se non si trova l’anima gemella in patria, è il governo a dare una mano ai single. Oltre 35 governi municipali offrono infatti aiuti economici – gli incentivi vanno dai 3 ai 10 milioni di won (da 2.355 a 7.850 euro) – a chi sposa donne straniere. L’obiettivo è presto detto: arrestare il declino della popolazione delle campagne e arginare l’esodo verso le grandi città.
Le mogli migranti, così vengono definite, spesso però non sono soddisfatte e si sentono discriminate dalla società che dovrebbe accoglierle. Ma, tra difficoltà e le sofferenze, c’è chi riesce a prendersi il proprio spazio, sfatando i preconcetti. È il caso di Kim Hana, nepalese sposata con un coreano. La 31enne, ottenuta la cittadinanza, è riuscita a costruirsi una vita senza rinunciare alle ambizioni professionali, diventando una poliziotta (nello specifico, un ufficiale della divisione che si occupa di affari esteri). «Ci sono persone che pensano io non possa far bene il mio lavoro perché non sono nata qui ma non ho proprio tempo di badare a queste cose», ha raccontato alla Bbc. «Quando indosso la mia uniforme e porto con me la pistola, penso che nessuno badi al fatto che io non abbia l’aspetto di una coreana».
Dalle campagne del Vietnam alla battaglia in difesa dei lavoratori immigrati
Il numero di donne che negli ultimi anni si è trasferito nel Paese per sposare uomini del posto è raddoppiato: si è passati dalle 120 mila del 2007 a quasi le 290 mila del 2019. Tuttavia, nonostante gli esempi positivi, in molti sostengono che non si tratti altro che di commercio di esseri umani e che le ragazze vengano ordinate online come merci per essere spedite al destinatario anche contro la loro volontà. Anche queste convinzioni generano, soprattutto nei confronti delle vietnamite, discriminazioni e preconcetti. Eppure Won Ok Kum è riuscita a distruggerli. Da un’infanzia nelle campagne del Vietnam è arrivata a una laurea magistrale in diritto amministrativo e addirittura al titolo di sindaco onorario di Seul. Proprio grazie al suo matrimonio con un coreano, Won è riuscita a dare una mano ai lavoratori immigrati. «In Vietnam non avrei mai pensato di poter riuscire a cambiare le cose, ma fare scarcerare un gruppo di lavoratori vietnamiti ingiustamente arrestati per uno sciopero mi ha aperto gli occhi, e ho realizzato che in Corea del Sud si può avviare un cambiamento importantissimo». Ovviamente gli ostacoli non sono mancati. Le frecciate sono quasi all’ordine del giorno, ma lei va avanti dritta per la sua strada.
Dopo un matrimonio fallito, la nuova vita: aiutare le altre mogli migranti
Quando Kyla è arrivata nella capitale coreana dalle Filippine, nel 1999, non parlava la lingua e non riusciva a comunicare col compagno. Il matrimonio, combinato dalla Unification Church di Manila, non ebbe affatto il lieto fine sperato. Dopo qualche anno, sono arrivate la separazione e una durissima battaglia legale per ottenere dal marito alcolizzato il sostegno economico per lei e i tre figli. Rimasta senza alcun reddito, la 24enne si è rimboccata le maniche e ha iniziato a lavorare come insegnante, facendo turni massacranti e, spesso, portando a casa pochi spiccioli. Sicuramente non sufficienti a crescere i bambini e pagare le bollette. Oggi, Kyla mette a disposizione la sua esperienza aiutando le ‘mogli migranti’. E lo fa rivolgendo la propria opera di sensibilizzazione anche gli uomini. «Da un po’ di tempo, i ragazzi coreani vengono finalmente educati al significato di famiglia multiculturale. Fino a qualche anno fa, era davvero un optional».