Perché Kim Jong-un può essere una minaccia anche per la Cina
Il messaggio di pace e collaborazione inviato da Xi Jinping a Kim Jong-un non deve trarre in inganno. La Corea del Nord, sebbene dipenda economicamente dalla Cina, potrebbe rappresentare una minaccia anche per l'unico alleato che le è rimasto. Ecco perché.
Lavorare insieme per «la pace, la stabilità, lo sviluppo e la prosperità della regione e del mondo». Xi Jinping ha teso la mano a Kim Jong-un, spiegandogli, in un messaggio al miele, che la Cina è disposta a collaborare con la Corea del Nord in un momento particolare, in cui «i cambiamenti nel mondo, nei tempi e nella storia stanno avvenendo in modi senza precedenti». Pechino – rispondendo alle congratulazioni inviate da Kim dopo la rielezione di Xi – ha così riconfermato il suo sostegno a Pyongyang, mentre quest’ultima sta continuando a condurre test missilistici a un ritmo record. Ed è forse anche e soprattutto per questo che il presidente cinese ha attivato la leva diplomatica nel tentativo di alleggerire la pressione generata dal turbolento comportamento di Kim. Solo lo scorso 18 novembre il governo nordcoreano aveva testato il suo più potente missile balistico intercontinentale (ICBM), dotato di una portata in grado di colpire gli Stati Uniti, ultimo di una serie di lanci che potrebbe anticipare il settimo test nucleare del Paese.
Da decenni Pechino è l’ancora di salvezza di Pyongyang
Una escalation che non lascia indifferente Pechino. Come ipotizzato dalla ricerca Thinking About the Unthinkable: Examining North Korea’s Military Threat to China realizzata dalla RAND Corporation, la continua militarizzazione della Corea del Nord può rappresentare, almeno in linea teorica, una futura minaccia anche per la Cina. E questo nonostante la Repubblica Popolare sia il più importante alleato internazionale di Pyongyang e gli fornisca un’ancora di salvezza economica fondamentale, date le sanzioni internazionali che, ormai da anni, pendono sul regno eremita. In questo scacchiere però entrano anche gli Stati Uniti. Già, perché a margine del G20 di Bali è andato in scena l’attesissimo incontro tra Xi e Joe Biden, e i due presidenti, tra gli altri temi toccati, hanno affrontato il nodo nordcoreano. In particolare, Washington ha chiesto alla controparte cinese di usare la sua influenza per frenare l’impeto di Kim. Il leader nordcoreano non si è tuttavia lasciato intimidire dalla situazione e, come se niente fosse, pochi giorni dopo il bilaterale Xi-Biden, ha lanciato l’ICBM minacciando il governo americano.

Le possibili fratture tra Cina e Corea del Nord
La collaborazione tra la la Corea del Nord e la Cina dura da oltre 70 anni. C’è chi sostiene che i due Paesi siano “alleati di sangue”, ma le fondamenta dell’alleanza sono fragili. Pechino ha più volte ribadito che non consentirà la guerra o il caos nella penisola coreana e che non aiuterà Pyongyang nel caso in cui Kim dovesse scatenare un conflitto con Seul. Ma in futuro? Che cosa potrebbe succedere quando la Corea del Nord, andando avanti di questo passo, sarà riuscita ad accumulare 100 o 200 testate nucleari? E ancora: quali saranno le conseguenze di un possibile attacco nordcoreano contro Seul? La Cina quasi certamente interverrebbe per garantire i propri interessi nazionali. A sua volta Kim potrebbe leggere ogni intervento cinese come una minaccia esistenziale, arrivando al punto di, si legge nella ricerca RAND, «intraprendere una forte azione militare contro la Cina». Dotata di un più arsenale convenzionale nemmeno paragonabile a quello di Pechino, Pyongyang sarebbe costretta a utilizzare armi nucleari. Una minaccia più volte smentita eppure non da escludersi completamente.

Kim, l’alleato imbarazzante di Xi
Le relazioni tra Cina e Corea del Nord infatti sono molto meno lineari di quanto non si possa pensare. I destini delle due nazioni sono rimasti legati a doppio filo fino agli Anni 90. Poi, e a maggior ragione in seguito alla volontà di Pechino di aprirsi all’economia globale, la vicinanza al regime dei Kim è iniziata a essere fonte di crescenti imbarazzi. Il motivo è semplice: per la Cina è difficile, se non impossibile, presentarsi come “potenza responsabile” e, al contempo, avallare le azioni e reazioni della Corea del Nord. Il risultato è che, a oggi, l’unica utilità di Pyongyang agli occhi di Xi Jinping è data dalla sua posizione strategica. Un cuscinetto in grado di creare una barriera tra i confini della Repubblica Popolare Cinese e le forze statunitensi in stanza in Corea del Sud. La Cina potrebbe effettivamente usare la clava nordcoreana per intimidire gli Stati Uniti. Ma Kim Jong Un non solo non è come i suoi predecessori, ma non è nemmeno più un giovane leader appena arrivato al potere, influenzabile dall’esterno e desideroso di obbedire al vicino. La sensazione è che, per Xi, Kim sia sempre più una variabile impazzita che non una risorsa da usare in suo favore, un fardello più che un vantaggio strategico. Sia chiaro: il governo cinese non intende entrare a gamba tesa sul Nord e continua a non voler infierire. Lo dimostra, ad esempio, la mancata firma di Pechino alla dichiarazione proposta dagli Stati Uniti per condannare i lanci missilistici della Corea del Nord. In futuro però la situazione potrebbe cambiare.