Cop27, le ombre sull’Egitto tra obiettivi climatici e diritti civili
Perché fare la conferenza globale sul clima proprio a Sharm el-Sheikh, in quell'Egitto che non rispetta i target su emissioni di gas serra e usa la repressione contro gli attivisti e in generale calpesta i diritti civili? Le contraddizioni dell'evento, che vede il ritorno dell'Italia nel Paese di al-Sisi per la prima volta dopo la morte di Regeni.
Tutti a Sharm el-Sheikh, ma non è una vacanza, anzi. Da domenica si parla di clima, tema bollente in tutti i sensi, visto che secondo l’Onu gli ultimi otto anni sono stati gli anni più caldi di sempre registrati sul Pianeta. Forse però ne si sta discutendo nel posto sbagliato, cioè quell’Egitto poco incline a raggiungere obiettivi climatici, per non parlare poi della situazione dei diritti umani nel Paese: temi più strettamente legati di quello che si pensi. Insomma non il miglior viatico per trovare un accordo efficace, come notato dall’emittente tedesca Deutsche Welle. Sul tavolo della conferenza globale sul clima Cop27 ci sono argomenti delicati anche perché mai trattati prima: si comincia a ragionare sui risarcimenti che dovranno sborsare i Paesi più inquinanti, e sono stati introdotti i concetti di «perdite» e «danni». Del resto le nazioni industrializzate che hanno prosperato per due secoli a spese del mondo hanno ripetutamente bloccato gli sforzi per aggiungere queste tematiche all’agenda, temendo di andare incontro a richieste di miliardi di dollari di indennizzo nei confronti degli Stati più poveri. Ora ci siamo, nonostante la cattiva reputazione dei padroni di casa egiziani.

L’Egitto è il secondo produttore di gas in Africa
Secondo il NewClimate Institute, gli obiettivi delle emissioni dell’Egitto sono «deludenti». Come concordato alla conferenza del 2021 a Glasgow, i Paesi dovevano presentare dei target climatici rivisti e migliorati entro il vertice di quest’anno. L’Egitto è stato uno dei primi a presentare i suoi nuovi piani, sebbene non fossero molto ambiziosi: non solo non puntava a raggiungere le “emissioni zero”, ma anzi le ha aumentate. C’è anche da dire che gli egiziani contribuiscono solo per lo 0,6 per cento alle emissioni annue mondiali di gas serra: la Cina, gli Stati Uniti e l’Unione europea insieme sono responsabili di più della metà. Ma il Paese è comunque il secondo produttore di gas in Africa ed è suo circa un terzo del consumo totale del continente. Eppure la produzione di petrolio e gas è destinata a crescere enormemente nei prossimi anni, sia per l’autoconsumo che per l’esportazione verso l’Ue.

Violenta repressione e carcere per chi si oppone al governo
Come se non bastasse, l’Egitto è anche da tempo nel mirino delle critiche per la repressione in corso e l’incarcerazione di massa di membri della società civile, oltre che per le violazioni dei diritti umani. Chiunque si azzardi a criticare il governo può aspettarsi intimidazioni e problemi nella vita professionale o in quella dei componenti della sua famiglia. Si può finire in carcere anche solo per un post su Facebook. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi è salito al potere nel 2013 e dal 2014 guida il Paese con il classico pugno di ferro. La discussione pubblica e la critica sono consentite solo per certi argomenti, e la produzione di gas è tra quelli considerati tabù. Lo stesso vale quando si parla di edilizia e turismo, entrambi settori importanti per l’economia. Secondo Richard Pearshouse di Human Rights Watch i diritti umani e la giustizia climatica sono indissolubilmente collegati l’uno con l’altro: «Quello che la comunità internazionale sta affrontando è questo vero dilemma su come ci impegniamo nelle politiche climatiche globali, ma davvero lo vogliamo fare in un Paese dove c’è una dura repressione contro la società civile?».

Sullo sfondo, per l’Italia, le vicende di Giulio Regeni e Patrick Zaki
In vista della Cop27, l’organizzazione non governativa ha già attirato l’attenzione sui numerosi esponenti dell’opposizione e sugli attivisti finiti nelle carceri egiziane, mentre sono pronte a esplodere diverse proteste nel Paese. Il tema dei diritti dovrebbe stare molto a cuore anche all’Italia: quello di Sharm el-Sheikh è non solo il primo summit internazionale a cui partecipa da capo del governo Giorgia Meloni, ma anche il primo incontro bilaterale strutturato di un premier italiano con al-Sisi dai tempi del brutale assassinio di Giulio Regeni al Cairo, mentre sullo sfondo è ancora aperta la vicenda di Patrick Zaki.

Forti piogge e inondazioni sempre più gravi
E pensare che l’Egitto avrebbe diverse convincenti ragioni per fare tutto il possibile per adattarsi alla crisi climatica e limitare il riscaldamento globale. Circa il 95 per cento degli oltre 100 milioni di suoi abitanti vive nel delta del Nilo, una regione altamente a rischio per l’impatto del cambiamento climatico. Da tempo si sta verificando una diminuzione della frequenza delle precipitazioni, con lunghi periodi di siccità. L’acqua sta diventando sempre più scarsa e le temperature stanno aumentando. Allo stesso tempo, le forti piogge e le inondazioni stanno diventando sempre più frequenti e più gravi: insomma piove poco, ma quando piove fa grossi danni. Gran parte del delta del Nilo è pianeggiante e si trova a soli 2 metri sul livello del mare. Se i mari si alzano come previsto, milioni di case saranno spazzate via, insieme a infrastrutture pubbliche, strade, forniture elettriche. Terreno fertile viene perso a causa della salinizzazione e dell’erosione. L’acqua salata sta invadendo gli affluenti del Nilo e i laghi d’acqua dolce. È qualcosa di particolarmente problematico, visto che l’80 per cento della terra arabile totale dell’Egitto si trova proprio lì, sul delta del Nilo. Già nel 2030 la produzione alimentare qui diminuirà di almeno un terzo.
Il potenziale per solare ed eolico c’è, ma le rinnovabili latitano
Ahmed El Droubi di Greenpeace Medio Oriente e Nord Africa spiega come manchi una strategia alla base e ci si affidi solo a singole iniziative: «La consapevolezza sugli impatti climatici è molto carente in molti ambienti di governo. Non è considerata prioritaria. Questa è una sfida enorme da affrontare». Nonostante l’incredibile potenziale di energia solare ed eolica in Egitto, le rinnovabili rappresentano attualmente solo un decimo della fornitura di elettricità del Paese. Una quota che è destinata a salire al 42 per centro entro il 2035. Ambizioni, tuttavia, che resteranno valide soltanto se gli Stati più ricchi forniranno un sostegno finanziario significativo. E qui si torna al punto di partenza: quanto sono davvero disposti a pagare Usa, Cina ed Europa?