da Dagospia
Il giro delle nomine Rai si è risolto come il gioco dell’ortolano: il cetriolo, gira gira, è finito al leader più debole, cioè Giuseppe Conte. Con il più prevedibile dei risultati: riattizzare la faida interna al Movimento 5 stelle. Per mesi raccontata da Dagospia, la contrapposizione Di Maio-Conte ora è esplosa nella sua virulenza. Lo certifica con durezza Marco Travaglio nel suo articolo sul Fatto quotidiano: «Conte, oltreché dalla sua correttezza che lo rende inabile a certi giochetti, è stato indebolito dalle contromanovre di Di Maio, che ha avallato le nomine antigrilline, mentre le destre difendevano i loro avamposti».
Beppe Grillo scarica Giuseppe Conte sul dossier nomine Rai
Nel saloon grillino Peppiniello Appulo è accerchiato ed è finito nel posto peggiore: quello dove fischiano le pallottole. Logorato da Di Maio e avversato dai gruppi parlamentari legati all’ex bibitaro, Conte ha pianto (telefonicamente) sulla spalla di Beppe Grillo, l’unico in grado di fargli da scudo. L'”Elevato” non s’è sciolto davanti al pianto greco del suo amministratore delegato, anzi se n’è lavato le mani: «La questione Rai non mi interessa, fate voi». Amen. Nella prosa politica, è una porta sbattuta in faccia. Neanche una parola di conforto dopo l’umiliazione ricevuta dal tandem Draghi-Fuortes. Grillo, da garante del Movimento, tace e osserva: lascia che la leadership già sbrindellata di Conte si usuri definitivamente per cambiare cavallo. Tanto in scuderia già scalpita una inviperita Virginia Raggi. I contiani di complemento, che hanno il viso gonfio per i ceffoni ricevuti da Draghi, sono costretti a incassare in silenzio. Anche perché quando Conte parla, come quando ha annunciato la sospensione delle presenze grilline nelle trasmissioni Rai, viene smentito dopo 24 ore: oggi il suo fedelissimo vicepresidente Mario Turco era al Tg2 delle 13.
Letta mostra i muscoli e dice no al proporzionale
L’Avvocato di Padre Pio non può lasciare la maggioranza, senza spalancare una gravissima crisi di partito, di governo e di Sistema. Ha, per ora, le mani legate. Ma il voto per eleggere il prossimo presidente della Repubblica si avvicina. Quale migliore occasione per consumare una possibile vendetta? Soprattutto perché nel caos attuale, dove nessun partito ha un candidato credibile da proporre agli altri, ogni contromossa può essere devastante. Alla presentazione del libro di Bruno Vespa, Giorgia Meloni e Enrico Letta si sono trovati d’accordo sul no alla legge proporzionale. Agli “addetti ai livori” quella del segretario del Pd è sembrata una tattica. Difendere il maggioritario è un modo per mostrare i muscoli, per ostentare la sicurezza che la (inesistente) coalizione di centrosinistra possa vincere le elezioni. Dire sì al proporzionale avrebbe certificato la difficoltà a costruire un fronte riformista ampio e solido e una implicita ammissione di andare verso la sconfitta. Della serie: non abbiamo i voti per vincere, andiamo alle urne e poi cerchiamo intese per un governo con chi ci sta. Mentre con il maggioritario le alleanze vanno costruite e annunciate prima del voto.
Movimenti al centro e occhi puntati su Renzi
Nell’area “liberal-moderata-forchettona” si sgomita e si scalpita per ricavare uno strapuntino all’affollata mensa del Centro. Calenda, pezzi di Forza Italia, Brugnaro, Toti, +Europa: un assembramento lombrosiano nel ripostiglio elettorale centrista che, per ora, ha più azionisti che voti. E tutti loro hanno lo sguardo rivolto alla Leopolda renziana del prossimo weekend. Cosa dirà Renzi si sa già. È quello che ha ripetuto in loop su ogni frequenza radio-tv. Le sue invettive anti-grilline, anti-pm, anti-Travaglio e via sentenziando sono arcinote. Quello che i “centrini” vogliono testare è la sua capacità di attrarre. Renzi può essere un socio utile per la “Cosa” centrista? Dopo gli scandali, dalla fondazione Open ai rapporti con Bin Salman, Matteuccio ha ancora qualche carta da giocare sulla scena nazionale o la sua leadership è finita nel carrello dei bolliti? Chi ci sarà in platea ad ascoltarlo? E ad applaudirlo? Chissà.
E Giorgia Meloni si smarca da Salvini e Berlusconi
Ps: Se il centrosinistra piange, il centrodestra non ride. Giorgia Meloni è sempre più lontana da Berlusconi ma anche da Salvini, dopo aver letto le dichiarazioni di Orban e Marine Le Pen che vogliono il “Capitone” alla guida della coalizione di sovranisti in Italia. Col cazzo, avrà pensato la “Ducetta”. E infatti ha ripreso a smarcarsi chiedendo al Cav di farsi da parte nella corsa al Quirinale.