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Pd, correnti spaccate e partite politiche dietro la corsa al Nazareno

Davanti al possibile derby emiliano tra Bonaccini e Schlein, le anime dem si posizionano e si spaccano. Tra i silenzi dei Zingaretti Boys e di Orlando, pesano le partite per l’autonomia differenziata e il Jobs Act. Mentre il king maker Bettini perde quota. Lo scenario.

14 Dicembre 2022 17:5914 Dicembre 2022 18:02 Paola Alagia
Pd, correnti spaccate e partite politiche dietro la corsa al Nazareno

Tre candidature al momento sul tavolo, un derby emiliano quasi certo, tanti big ancora indecisi e diverse incognite all’orizzonte. Con le sempreverdi correnti in movimento: è il congresso Pd, bellezza. I nomi in campo, si sa, sono quelli di Stefano Bonaccini, Elly Schlein e l’underdog (parafrasando Giorgia Meloni) Paola De Micheli. Tra passi indietro (quello del sindaco di Firenze Dario Nardella che alla fine ha rinunciato alla corsa e ha ufficializzato il suo sostegno a Bonaccini, anzi ne guiderà la campagna) e ripensamenti (quello del sindaco di Pesaro Matteo Ricci, con buona pace del suo principale sponsor e cioè Goffredo Bettini), una delle poche certezze, quindi, è che il futuro inquilino del Nazareno calerà a Roma da terra emiliano-romagnola. Anche se alla fine l’ex orlandiano ed europarlamentare spezzino Brando Benifei decidesse di tentare la scalata al partito. «È difficile che riesca a riaprire il risiko dei posizionamenti», dicono infatti fonti dem a Tag43. Il promotore di CoraggioPd, l’assemblea di attivisti, amministratori e dirigenti dem under 40, tuttavia, ci sta ancora pensando e vuole prendersi tutto il tempo a disposizione, visto che la deadline per le candidature è il 27 gennaio.

Pd: Bonaccini-Schlein, il possibile derby emiliano per la segreteria
Stefano Bonaccini ed Elly Schlein (da Fb).

Possibile gap tra voto degli iscritti e voto delle primarie

Comunque, guardando a oggi, quella che appare quasi certa è una sfida tra Bonaccini e Schlein, col primo in testa nei sondaggi. Ed è qui che, però, già si prefigura all’orizzonte anche la prima grande incognita di questo congresso: la possibilità di un gap tra il voto degli iscritti e il successivo voto delle primarie: «È da mettere in conto», fa notare un esponente dem di lungo corso, «che il primo turno se lo aggiudichi Bonaccini ma il secondo, soprattutto perché parliamo di un voto aperto, lo vinca Schlein». E, in effetti, fonti ai piani alti del Nazareno non la liquidano affatto come ipotesi remota.

LEGGI ANCHE: Bologna e sinistra, dalle Sardine al derby Bonaccini-Schlein

La mappa delle correnti e le spaccature interne

Intanto, la corsa verso i gazebo sta scomponendo e ricomponendo gli equilibri di potere all’interno del partito. I capicorrente non hanno perso tempo a schierarsi. E così il tanto atteso congresso della rifondazione, l’assise che doveva partire dalle idee, è subito diventato il solito caravanserraglio di cordate. Con qualche sorpresa, però. Se non meraviglia affatto l’appoggio compatto a Bonaccini da parte della corrente di Base riformista capeggiata da Lorenzo Guerini, a suscitare stupore è l’appoggio a Schlein di Dario Franceschini che guida Areadem. «In genere pondera fino all’ultimo le sue scelte, fino a che non ha quasi la certezza di aver azzeccato quella giusta», commenta un suo collega di partito. «Ecco perché stavolta la sua decisione ha spiazzato molti». Ma non tutti: «Dario che parla di ‘stagione della radicalità’ e di Schlein come ‘una sveglia’ ricorda molto quando si lasciò piacevolmente impressionare nel 2009 da una giovanissima Debora Serracchiani. Anche stavolta si sarà fatto bene i suoi calcoli». Comunque sia, la corrente non lo segue in massa. A cominciare da Piero Fassino in Piemonte e dall’europarlamentare campana Pina Picierno, più orientati a sostenere il governatore dell’Emilia-Romagna, mentre ci sta ancora pensando un altro franceschiniano doc come il segretario regionale del Pd Lazio Bruno Astorre. Quanto a Luigi Zanda, infine, la sua presa di posizione a favore di Letizia Moratti in Lombardia non lascerebbe presagire, sul piano nazionale, un allineamento a Franceschini nell’appoggio alla giovane outsider.

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Dario Franceschini e la moglie Michela Di Biase (Getty Images).

Il silenzio di Zingaretti e di Orlando

Ma se Franceschini va dritto come un treno, altri capi corrente e big restano ancora alla finestra. Fatta eccezione per il segretario uscente Enrico Letta, che non si pronuncia per mantenere un ruolo di garante del congresso, gli zingarettiani o comunque i dem vicini al governatore del Lazio sono rimasti senza bussola: nessun input dal presidente uscente. Di sicuro simpatizza per Elly Schlein, ma non ha proferito parola. Sempre rimanendo nell’area di sinistra del Pd, a parte Giuseppe Provenzano che si è schierato per la paladina di OccupyPd, c’è Andrea Orlando che ancora temporeggia. D’altronde, l’ex ministro del Lavoro ha detto chiaramente che aspetta le idee e solo dopo sceglierà la piattaforma programmatica che ritiene più vicina al suo sentire. Ha parlato di «consonanza di toni e accenti» con Elly, ma nulla più. Certo, una riflessione Orlando la starà facendo in queste ore, visto che la sua proposta di modifica alla manovra per cancellare il Jobs act ha raggranellato diverse sottoscrizioni, soprattutto nella sinistra dem, ma non la firma di Schlein. Insomma, se era una prova d’esame, la pasionaria emiliana non l’ha superata.

Elezioni, Letta alle prese con il fronte del Sud
Il vicesegretario Pd Peppe Provenzano (da Fb).

La partita politica si intreccia con la corsa al Nazareno

La contingenza politica, infatti, entra eccome nelle dinamiche congressuali. Vale per la manovra, ma vale anche per la tribolata e tanto invisa autonomia differenziata. Banco di prova difficile stavolta più per Bonaccini, da sempre vicino ai colleghi leghisti e adesso invece costretto a correggere il tiro. Del resto, il sostegno di due governatori di peso del Sud come Vincenzo De Luca (Campania) e Michele Emiliano (Puglia) appare cruciale. Di qui la virata più moderata sulla riforma da parte del numero uno dell’Emilia Romagna, sposando la linea di difesa dei Lea, cara ai due presidenti di Regione. Sarà stato pragmatismo o opportunismo, come dicono i detrattori, ma l’ex comunista di Campogalliano un segnale l’ha dato. Vedremo se basterà. Più difficile che l’avvicinamento gli riesca con un altro big pugliese come Francesco Boccia, tra l’altro molto legato allo stesso Emiliano. Secondo i rumor, l’ex ministro agli Affari regionali potrebbe appoggiare Schlein non foss’altro per le prospettive di un più facile dialogo con il M5s di cui Boccia continua a essere instancabile sponsor. Le loro strade insomma potrebbero clamorosamente dividersi. Un destino non dissimile da quello che attende il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e un suo fedelissimo come il deputato Claudio Mancini. Il primo cittadino nei giorni scorsi, infatti, pur ammettendo che entrambi i candidati in corsa per la segreteria «esprimono cose giuste», ha comunque sottolineato che «Il Pd è un partito di governo e deve avere una forte responsabilità» e che «da questo punto di vista Bonaccini ha una certa solidità». Mancini, che era impegnato al fianco di Matteo Ricci, invece, potrebbe virare su Schlein.

Pd, correnti spaccate e partite politiche dietro la corsa al Nazareno
Goffredo Bettini (Getty Images).

Il king maker Goffredo Bettini in secondo piano

Il sindaco di Pesaro dunque resta una incognita. La verità è che, da Orlando a Provenzano, passando per Boccia e lo stesso Mancini, sono rimasti tutti orfani di Matteo Ricci. Sul suo nome avevano investito in tanti nella sinistra dem. E soprattutto, come detto, aveva puntato Goffredo Bettini. Ma stavolta il king maker del partito ha sbagliato i suoi calcoli. Segno dei tempi? Chissà. Di sicuro, e questa è un’altra novità, lo storico dirigente e fondatore del Pd non rientra neppure nei 100 del comitato impegnato a riscrivere l’identità del partito. Una cosa è certa, come si vede già dai diversi posizionamenti, questa corsa ai gazebo è destinata a cambiare un po’ la geografia del Pd. Senza cancellare, è ovvio, le correnti contro le quali a ogni congresso dem che si rispetti si scagliano sempre ‘gattopardianamente’ tutti gli aspiranti candidati. Un proposito velleitario d’indipendenza al quale non si sono sottratti, naturalmente, neanche Bonaccini e Schlein. Sempre che, invece, alla fine della fiera non si profili una scissione. L’incognita, per non dire lo spauracchio, aleggia al Nazareno. D’altronde, le parole del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, quel «se vince Schlein potrei lasciare il Pd», sono un perfetto memento mori. Altro che se lo sono…

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