Una richiesta congiunta per reclamare l’inclusione della rumba congolese nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco. Questa l’ultima mossa di Kinshasa e Brazzaville, capitali della Repubblica Democratica del Congo e della Repubblica del Congo, intenzionate a ribadire il valore simbolico e politico dello stile musicale.
Rumba, molto più che musica
Se ottenesse il placet dell’Unesco (che dovrebbe comunicare la sua decisione definitiva a novembre), la Rumba Lingala si inserirebbe in un elenco di beni, materiali e non, che, da sempre, esaltano l’identità culturale dei popoli del mondo e, soprattutto, le peculiarità. Come dimostrato dalle scelte che l’organizzazione ha fatto in passato, accogliendo nella lista la tradizionale sauna finlandese, i sistemi di irrigazione adoperati negli Emirati Arabi Uniti, il cibo locale smerciato dai venditori ambulanti per le strade di Singapore. «Guardando alla rumba moderna, è facile notare quanto noi congolesi abbiamo contribuito all’evoluzione del genere e a far sì che ottenesse sempre più visibilità», ha spiegato al Guardian il cantante Manda Chante, «E lo abbiamo fatto senza mai allontanarci dal modello dei grandi nomi del passato». Tra questi, l’autorità massima rimane, anche a distanza di anni, Le Grand Kallé, l’autore del celebre Independence Cha Cha, diventato l’inno dei movimenti africani anti-coloniali. Che, spesso, si ritrovavano a utilizzarlo per convincere i politici a mettere da parte le differenze e a prendere decisioni per il bene comune. Quel pezzo ha cambiato le sorti di un Paese: lanciato a Bruxelles nel 1960, fu la colonna sonora del percorso di liberazione del Congo dal giogo belga. In quattro mesi, la nazione riuscì ad affrancarsi, proclamando successivamente la nascita della Repubblica Democratica. Nello stesso anno, sulla riva opposta del fiume, la Repubblica del Congo otteneva l’indipendenza dalla Francia.
Tamburi e melting pot, l’origine della Rumba
Nata nel XIX secolo a Cuba dal melting pot dei tamburi degli schiavi africani con i suoni dei colonizzatori spagnoli, è solo nel XX secolo che l’Africa si è riappropriata a tutti gli effetti della rumba, trovando nel Congo il terreno fertile per innovarla senza farle perdere l’essenza. Oggi, rimane uno degli evergreen del panorama musicale africano e sono diversi i movimenti e i comitati che, giorno per giorno, si attivano per tenerne in vita la tradizione. Soprattutto tra le generazioni più giovani. «Quando i nostri antenati sono stati portati nelle Americhe, hanno creato la rumba per non dimenticare la loro storia, le loro origini, la loro memoria», ha aggiunto Catherine Kathungu Furaha, il ministro della Cultura della Repubblica Democratica, «Anche il nome lo suggerisce. Deriva dall’antico ‘nkumba’, ombelico, e si riferisce proprio a quella danza nata nell’antico regno del Congo. È nostra. Pretendiamo un riconoscimento ufficiale che lo attesti. È la nostra identità».