Questa volta non funziona nemmeno la formula magica del “ce lo chiede l’Europa”. Così anche Mario Draghi ha dovuto piegarsi e fare retromarcia sulla liberalizzazione delle concessioni demaniali marittime, meglio note come balneari. Una partita che va avanti da 15 anni.
La proroga delle concessioni al 2033 approvata dal Conte I
Pier Luigi Bersani, all’epoca delle lenzuolate, dovette frenare di fronte al muro eretto dai titolari degli stabilimenti balneari. Stessa sorte toccò a Mario Monti, arrivato a Palazzo Chigi per rivoluzionare il Paese, ma che archiviò il progetto, accettando che le cose andassero avanti come prima. Tuttora c’è una sola vincitrice: la potentissima lobby dei balneari, di quelle aziende che detengono la concessione per gli stabilimenti, macinando nel complesso miliardi di euro di fatturato. Una potenza di fuoco che da destra a sinistra, può contare su una vasta schiera di deputati e senatori pronti a difendere i loro interessi. «La questione è che i parlamentari nei collegi sono in difficoltà rispetto alle richieste delle imprese dei balneari. Sono comunque voti», spiegano a Tag43. Così hanno dovuto sfidare Draghi sull’applicazione della direttiva europea Bolkestein, risalente al 2006, che prescrive la messa a gara dei servizi, compresi quelli balneari appunto. Le imprese italiane del settore hanno quindi la legge dalla loro parte, visto che c’è una proroga delle concessioni fino al 2033. La norma è stata approvata dal governo gialloverde, guidato da Giuseppe Conte, sotto l’impulso dell’allora ministro leghista Gian Marco Centinaio. Nei prossimi giorni è comunque atteso un passaggio fondamentale: la sentenza del Consiglio di Stato, dopo che la vicenda è finita in un contenzioso al Tar tra amministrazioni locali e concessionari.
Per i balneari un giro d’affari di circa 15 miliardi l’anno
Ma di cosa si parla nel dettaglio? Di quelle migliaia di imprese che gestiscono stabilimenti, lidi e relative attività che vanno dalla ristorazione all’animazione. Sono “i padroni delle spiagge”, insomma, che chiedono il conto ai bagnanti per ombrelloni e sdraio. Ecco qualche numero: «Nel 2019, su un totale di 29.689 concessioni demaniali marittime (aventi qualunque finalità), ben 21.581 erano soggette a un canone inferiore a euro 2.500. Per lo stesso anno, l’ammontare complessivo dei canoni concessori è stato pari a 115 milioni di euro», ha scritto l’Antitrust nel bollettino di marzo 2021, in cui sollecitava, per l’ennesima volta, una liberalizzazione. Con il nuovo anno, tuttavia, c’è stata una novità: l’introduzione della soglia minima di 2.500 euro per il canone. La sproporzione rispetto agli incassi resta significativa. Il giro di affari, secondo una stima di Nomisma, è di circa 15 miliardi di euro all’anno per le imprese che operano nel settore.
In Liguria, Emilia-Romagna e Campania quasi il 70 per cento delle spiagge è occupato da stabilimenti
La lobby è solida e strutturata, con un elemento particolare: il radicamento territoriale. Sì, perché alcune zone sono particolarmente sensibili al tema. Il rapporto Spiagge 2021 di Legambiente racconta come ci siano aree letteralmente dominate dagli stabilimenti. «Si può stimare che meno di metà delle spiagge del Paese sia liberamente accessibile e fruibile per fare un bagno», sottolinea l’associazione ambientalista. «Ma in alcune Regioni», prosegue lo studio, «troviamo dei veri e propri record, come in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70 per cento delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari». In questo quadro «cresce il numero di stabilimenti al Sud e in particolare in Sicilia, con un aumento di quasi 200 nuovi stabilimenti in tre anni». Per dire: si va dal 92 per cento di spiagge occupate da lidi a Laigueglia, in Liguria, al 66,5 per cento di Mondello, in Sicilia. Ed è proprio dove abbondano gli stabilimenti, che emergono le figure più importanti per la lobby dei balneari.
Le sigle di riferimento dei balneari
Una delle principali sigle di riferimento è il Sib, il sindacato dei balneari, legato alla Confcommercio, che rappresenta 10 mila imprese del settore. Il leader è il pugliese Antonio Capacchione, avvocato di 62 anni, che nel 2018 ha raccolto l’eredità di Riccardo Borgo. Sebbene sia poco noto al grande pubblico, Capacchione ha buoni uffici con i vertici della Lega. Dialoga con l’attuale ministro del Turismo, Massimo Garavaglia e ha rapporti con il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Ma il vero referente è Centinaio, non a caso estensore della norma che ha previsto la proroga delle concessioni fino al 2033. Il numero due di Capacchione in Sib-Confcommercio è invece il ligure Enrico Schiappapietra. Assobalneari, branca di Federturismo-Confindustria, è un’altra organizzazione chiave. Alla guida, dal 2011 c’è un altro ligure (ma lombardo di nascita) Fabrizio Licordari, 58 anni. Fin dall’inizio del mandato, Licordari ha annunciato di volersi battere contro la direttiva Bolkstein. Al suo fianco, come vice, è insediato Luca Maimone. La Cna balneari è un altro perno per tutelare gli interessi del settore. Al comando, dal 2017, c’è la pesarese Sabina Cardinali, già presidente di Fidimpresa. La lobby dei balneari ha poi un suo house organ, molto attento nel seguire gli interessi del settore. Il giornale online Mondo balneare, testata registrata presso il Tribunale di San Marino e puntualmente aggiornata, che è pure una rivista pubblicata con cadenza annuale. Sul portale vengono messe insieme tutte le voci della rappresentanza del comparto, senza distinzione di sigle. Il direttore responsabile del giornale, dal 2010, è Mauro Oddone, che peraltro non risulta iscritto all’Ordine dei giornalisti.
Chi nel centrodestra combatte la direttiva Bolkenstein
Fin qui la struttura interna. Ma la capacità di queste organizzazioni è quella di far pesare la loro forza nelle Istituzioni. Il centrodestra è da sempre lo scudo della corporazione. Lega e Fratelli d’Italia, a cominciare dai leader Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sono infatti i supremi garanti degli interessi della lobby balneare. Due deputati, legati a Giorgia Meloni, come il toscano Riccardo Zucconi e la calabrese Wanda Ferro, sono i pretoriani contro la direttiva Bolkstein e quindi della messa a gara delle concessioni. Del resto svolgono un compito semplice: seguire la linea del partito. Ma anche in Forza Italia ci sono i pasdaran anti-liberalizzazione, con buona pace dell’etichetta di “liberali” di cui si vantano i berlusconiani. Uno dei più tenaci sostenitori della lobby è il senatore di lungo corso Maurizio Gasparri che ai tempi del governo Monti fu in primissima linea per ottenere una prima proroga delle concessioni. Gasparri, di recente, e un altro senatore, il toscano Massimo Mallegni, hanno scritto una lettera rivolta agli imprenditori del settore: «Difendiamo le imprese balneari per nostra libera convinzione e continueremo a farlo», è la sintesi del contenuto. La deputata Deborah Bergamini, attuale sottosegretaria (con delega ai Rapporti con il Parlamento), è un’altra pervicace avversaria della direttiva europea. È stata lei a firmare un emendamento nel 2018 che andava a favore della proroga delle concessioni.
Anche alcuni dem e renziani al fianco della “lobby” dei balneari
Ma la questione non riguarda solo la destra, anche nel Partito democratico c’è chi fa scudo alla lobby. Il deputato della Versilia, Umberto Buratti, si è impegnato a «escludere le spiagge da Bolkestein», chiedendo «una riforma organica». Il suo corregionale, il deputato dem livornese Andrea Romano, scandì lo scorso anno in diretta a L’Aria che tira: «Pretendere di azzerare tutte le concessioni è uno schiaffo ai tanti piccoli imprenditori, a cui non si può dire da un giorno all’altro ‘ve ne andate’». Il suo obiettivo era di valutare sulla base dei fatturati delle singole realtà. Parole che aprirono la polemica con Carlo Calenda, decisamente a favore dell’applicazione della Bolkstein. Ma il dibattito va oltre la Toscana. Piero De Luca, deputato del Pd figlio del presidente della Regione Campania, ad aprile 2020 definiva la proroga delle concessione «un risultato importante che tiene conto delle esigenze rappresentate anche a me direttamente da tanti operatori di un comparto che contribuisce in modo determinante all’economia turistica italiana e della Campania». E che dire di Italia viva, altro partito che si erge a paladino del liberalismo? Anche i seguaci di Matteo Renzi si schierano al fianco della lobby, come testimoniano le parole del deputato romagnolo Marco Di Maio: «L’orizzonte temporale preso a riferimento, cioè 15 anni, non è un favore o un privilegio, ma serve in questo momento per dare certezza agli operatori del settore». A chiudere il quadro c’è il Movimento 5 Stelle che ha avallato, durante il primo governo Conte, la proroga firmata da Centinaio. Tuttavia, oggi il deputato, Sergio Battelli, da sempre a favore della liberalizzazione, inizia a fare proseliti. «Le gare sono il punto di arrivo. Lavoriamo su principi e criteri delle gare ma questo caos normativo deve finire», ha ripetuto nei giorni scorsi, annunciando battaglia a colpi di emendamenti. Ma allo stato deve accontentarsi di quella che Draghi ha definito operazione trasparenza. Che sembra un’operazione per salvarsi dal naufragio.