Verrebbe da dire, siamo alle solite. Anche se le solite non sono poi sempre state così solite. Arriva la Festa del Primo Maggio, dedicata alle lavoratrici e ai lavoratori, e con la Festa del Primo Maggio arriva il Concertone di Piazza San Giovanni a Roma, quello organizzato dai sindacati riuniti, almeno le Tre Sorelle, e trasmesso in diretta da Mamma Rai, e col Concertone del Primo Maggio arrivano schiamazzi e polemiche per il cast.
L’impronta della iCompany di Massimo Bonelli
Se una volta a essere oggetto di strali più o meno velenosi erano i soliti noti, quei nomi che sembravano, a chi non è uso magari frequentare locali o piazze dove la musica si suona dal vivo nel resto dell’anno, vivere solo lì e solo in quello specifico giorno – penso ai Modena City Ramblers, alla Bandabardò, a Teresa De Sio, accusati, neanche troppo velatamente, di fare musica troppo politicizzata e anche troppo distante dalla contemporaneità – oggi la faccenda è del tutto diversa. Da che a prendere le redini del Concertone, d’ora in poi lo chiameremo sinteticamente così, (dal 2015) è stata la iCompany di Massimo Bonelli (che ha ideato e coordina anche Casa Siae a Sanremo) infatti, il cast si è sempre più avvicinato alla musica che gira intorno, quella ascoltata dai giovani e anche dai giovanissimi, quella in voga su Spotify, perdendo del tutto ogni qualsivoglia venatura politica. Ricorderete tutti le tante polemiche per il passaggio di Sfera Ebbasta, a esibire Rolex e soldi su un palco che in passato aveva visto e sentito discorsi magari un po’ didascalici, ma che avevano i diritti dei lavoratori come focus, e di esempi così se ne potrebbero fare tanti. Nota è anche la polemica, portata avanti impavidamente da chi scrive queste parole, per la quasi totale assenza di nomi femminili, anzi, la totale assenza, nella edizione del 2019, della serie chi dovrebbe difendere chi viene discriminato lì a discriminare.

Nessuna soluzione di continuità tra piazza San Giovanni e l’Ariston
Di fatto oggi il Concertone assomiglia incredibilmente al Festival di Sanremo, versione Amadeus, che a sua volta assomiglia incredibilmente al Premio Tenco, un tempo contraltare radicale della kermesse della città dei fiori, via via, fino a Power Hits Estate, versione moderna del Festivalbar. Come se qualcuno, i nomi sono facilmente reperibili, avesse optato per omologare tutto: Mr Rain o Lazza che passano con naturalezza da un contesto all’altro, senza dover neanche indossare abiti diversi, fare discorsi diversi, tutto insomma è uguale a se stesso. Ovviamente qualcuno, molto cautamente, avrà chiesto ragione di questa sovrapposizione abbastanza inquietante. Per capirci nel 2023 i nomi che sono transitati dall’Ariston e che passeranno sul palco di Piazza San Giovanni sono 12: Lazza, Coma_Cose, Emma ospite di Lazza nella serata dei duetti, Tananai, Ariete, Mr Rain, Mara Sattei, Baustelle ospiti dei Coma_Cose nella serate dei duetti, Levante, BNKR44 ospiti di Sethu nella serata dei duetti, Rose Villain ospite di Rosa Chemical, Leo Gasmann. Se poi consideriamo che nelle ultime edizioni da Sanremo erano passati anche Francesco Gabbani, Piero Pelù, Aiello, Gaia e Fulminacci, insomma capite bene come si tratti di pura sovraesposizione. Un bel cast, intendiamoci, sempre che il dichiarare che è bello un cast con dentro Emma o Rocco Hunt non sia perseguibile penalmente, ma che nulla sembra avere a che fare con i temi che quel luogo dovrebbe ospitare, e che soprattutto rischia di diventare una dependance dell’Ariston, a sua volta sempre più vicino allo spirito che fu del programma che prendeva le mosse dai Jukebox, come se le spiagge avessero in qualche modo preso il posto che un tempo era delle fabbriche e delle piazze.

Ironia della sorte: Voglio il lavoro di Rudy Marra & The M.O.B resterà nella nicchia
Discorsi che ovviamente lasciano il tempo che trovano, perché poi di giovani in Piazza San Giovanni ce ne saranno tantissimi, la voglia di ritrovarsi dopo la pandemia ha scatenato la corsa agli eventi di massa, vedi i tanti, troppi concerti negli stadi, li vedremo ballare a torso nudo, vedremo la bandiera dei quattro mori che in qualche modo è diventata icona di questa giornata di musica, e sentiremo i discorsi a volte anche troppo pelosi che gli autori avranno pensato per intervallare le canzoni, tutte incentrate a raccontare altro. E dire che proprio in questi giorni è arrivato nei negozi di dischi, qui capirete bene come il discorso prenda sfumature quasi surreali se non fantascientifiche, parlare di negozi di dischi nel 2023, un lavoro come Morfina di Rudy Marra & The M.O.B., che ospita in tracklist Voglio il lavoro, brano che del Concertone – se fosse ancora o fosse anche solo mai stato il Concertone della Festa delle lavoratrici e dei lavoratori, qualcosa che in qualche modo possa far riferimento al mondo del sindacato – dovrebbe essere eletto a manifesto, intonato in coro da tutti le ragazze e i ragazzi festanti in quel contesto, ma che invece resterà con buona probabilità un ascolto di nicchia, questo a dispetto dell’alta qualità di tutto questo album che vede il cantautore salentino accompagnato niente meno che da sax baritono di Dana Colley, cofondatore dei mai abbastanza compianti Morphine. Resta che mai si era vista una canzone come Complesso del Primo Maggio degli Elio e le Storie Tese, impietosa fotografia del Concertone quando il Concertone era frequentato da Bregovic e dai 99 Posse, invecchiare altrettanto impietosamente, lì dove non può l’incedere del tempo può tranquillamente abitare la solida forza di volontà di chi guida quell’auto oggi, Massimo Bonelli, l’uomo che sussurrava a Landini i testi di Carl Brave.