Capodanno è lastricato di musica e il piccolo schermo fa la parte del leone. Da oltre cinquant’anni la Rai trasmette un mezzo concerto in diretta nella tarda mattinata (mezzo, perché i collegamenti riguardano solo la seconda parte degli eventi). Più recentemente si sono aggiunte altre varie occasioni di ascolto in differita, durante il pomeriggio e alla sera. Altre emittenti, specialmente locali, si rincorrono nelle proposte e come positiva conseguenza, anche lontano dall’occhio delle telecamere gli appuntamenti musicali dal vivo sono cresciuti diventando folla. Per tutti, il punto di partenza è stato lo spumeggiante mondo danzante degli Strauss nello storico concerto dei Wiener Philharmoniker, ma un po’ alla volta il repertorio si è allargato e in giro capita anche di trovare programmi intelligenti del tutto esenti sia dal taglio viennese che da quello veneziano, salito alla ribalta nel 2004 e dedicato ai greatest hits operistici, corali o per voci soliste.
Il monopolio quarantennale dei Wiener Philharmoniker
Si parla di questi due prototipi – che peraltro sono entrambi da tempo in triplice copia: gli stessi concerti si tengono anche il 30 e il 31 dicembre – perché sono quelli che arrivano nelle case ogni Primo dell’anno e che hanno comunque diffusione internazionale molto ampia e ascolti ragguardevoli. Per una quarantina di anni, l’appuntamento con i Wiener– trasmesso a partire dal 1959 – è stato il monopolista anche in Italia: un lasso di tempo più che sufficiente per entrare nella memoria condivisa di quasi tre generazioni. Fino al 2003, infatti, Concerto di Capodanno in Tv significava esclusivamente le immagini e i suoni provenienti dalla Sala d’oro del Musikverein di Vienna all’ora di pranzo. Un evento che anche quest’anno raggiungerà oltre 90 Paesi nel mondo. Si è passati dalle tremolanti immagini in bianconero e da un suono approssimativo nei primi Sessanta al colore in alta definizione e alla stereofonia. Dalla presenza fissa sul podio dei Wiener di Willi Boskovsky, che ogni tanto impugnava anche il suo fedele violino, ed è stato un’istituzione dal 1955 al 1979, alla sfilata dei maggiori maestri, da Maazel a Karajan, da Abbado a Muti, da Carlos Kleiber a Zubin Mehta.
Dopo la ricostruzione, l’arrivo in Rai del concerto alla Fenice di Venezia
Poi, nell’autunno del 2003, la Fenice è stata riaperta, ricostruita «com’era e dov’era» sette anni dopo il rogo doloso che l’aveva distrutta, con una settimana inaugurale di altissimo livello fitta di grandi orchestre e direttori di fama. Una straordinaria rinascita, che ha richiamato l’attenzione del pubblico internazionale sul palcoscenico veneziano. Sfruttando il lancio di quell’evento ma come evidente conseguenza di un ampio e abile lavoro di marketing impostato a cantiere ancora aperto, il Capodanno successivo ha visto concretizzarsi l’accordo con la Rai che ha dato vita al concerto della Fenice: l’evento viennese è stato spodestato dalla diretta televisiva su Raiuno (ed è passato alla differita pomeridiana su Raidue, mantenendo però la diretta su Radio3) mentre quello veneziano è diventato da allora – e ci avviciniamo al ventennale – il Concerto di Capodanno degli italiani, distribuito anche in vari Paesi del mondo.
Musicalmente, la necessità di non restare nella scia dei Wiener Philharmoniker ha portato a scelte probabilmente inevitabili, ma non così felici. Di fatto, dopo mezzogiorno dalla Fenice arriva un sintetico concerto di Arie e Cori d’opera che se da un lato sottolinea la tradizione del Paese che l’opera ha inventato, dall’altro sconta scelte di repertorio insidiose nella loro genericità, che inseguono la popolarità dei brani, ma non certo la loro sintonia con lo spirito benaugurante dell’evento. Conta l’audience, e quella – con l’aiuto di cantanti di alto lignaggio e di direttori di rango (fra gli altri, due volte Prêtre e Gardiner, tre volte Harding e Chung) – ha sempre premiato questo evento televisivo.
Il brano conclusivo del concerto emblema dell’eterogenesi espressiva dei fini
Il caso più evidente di questa “eterogenesi espressiva dei fini” è quello del brano conclusivo, che suggella fin dalla prima edizione il concerto, il brindisi dal primo atto della Traviata di Verdi. Il pezzo appartiene a un’opera tragica: è «un inno al piacere» (così uno dei maggiori studiosi verdiani, Julian Budden) da parte di un gruppo di gaudenti intenti ad amori mercenari.
Oreste Bossini, voce familiare agli ascoltatori di Radio3, nel programma di sala pubblicato in questa occasione dalla Fenice, descrive la questione con chiarezza non priva di un vago (e comprensibile) imbarazzo: «In realtà, non è affatto un brindisi spensierato, perché dietro l’apparente buonumore della variegata società radunata nel salotto della famosa cortigiana trapela l’angoscia per il tempo che passa, per la brevità della vita».
Un augurio di buon anno in cui la brillantezza della musica prevale sul senso autentico
Strano modo di augurare buon anno, ma tant’è: la brillantezza della musica prevale sul suo senso autentico. Del resto, poco prima di Libiamo ne’ lieti calici, orchestra e coro della Fenice propongono immancabilmente anche Va’, pensiero dal Nabucco, popolarissimo certo, ma intriso di rimpianto e nostalgia. E quest’anno la bacchetta debuttante di Fabio Luisi passerà da Ponchielli (La gioconda) a Offenbach (niente allegria da operetta: si va sulla notissima e sognante Barcarola per orchestra dall’opera I racconti di Hoffmann), dal drammatico Vesti la giubba (I pagliacci di Leoncavallo) al Preludio atto III del wagneriano Lohengrin. E meno male che c’è anche Rossini, con la cavatina di Rosina dal Barbiere di Siviglia.
Siamo lontani dalla coerenza musicale (lasciamo pure stare confronti del resto impossibili sui diversi repertori) che da circa tre quarti di secolo attraversa i programmi del Capodanno da Vienna, questa volta affidato alla bacchetta sofisticata di Daniel Barenboim, alla terza esperienza al Musikverein dopo il 2009 e il 2014. Il programma illumina i multiformi e speciali talenti della famiglia Strauss, dal patriarca Johann senior ai figli Johann junior, Eduard e Josef. In altri momenti, e soprattutto quando non eseguiti con la seducente freschezza dei Wiener Philharmoniker, una simile sfilata di Valzer, Polke, Marce e Galop può dare rapidamente un senso di sazietà. A Capodanno offre una innegabile sintesi di leggerezza ed eleganza, fra seduzione melodica e vivacità ritmica, con una brillantezza mai fine a sé stessa. Bisogna riconoscerlo senza campanilismi: per iniziare l’anno con il sorriso e una positiva energia, non è ancora stato trovato niente di meglio.