Commozioni cerebrali colpiscono più di metà degli sportivi: lo studio
Una ricerca australiana sul cervello di 21 sportivi deceduti ha scoperto come oltre la metà abbia subito traumi cranici e commozioni cerebrali. Questi causano depressione, perdite di memoria e, nei casi più gravi, scatenano istinti suicidi.
Uno studio australiano ha analizzato il cervello di 21 atleti deceduti negli scorsi anni, riscontrando in 12 di essi un caso di encefalopatia traumatica cronica, la cui causa principale risiederebbe nei continui traumi cranici durante il gioco. Le commozioni cerebrali riguardano sportivi di età inferiore ai 35 anni.
La commozioni cerebrali hanno colpito anche atleti famosi del football australiano
Lo studio è opera dell’Australian Sports Brain Bank che negli ultimi quattro anni ha analizzato 21 cervelli di atleti deceduti a partire dal 2018, 17 dei quali provenienti dal mondo del football e del rugby. Più del 50 per cento (12 casi) ha mostrato segni di encefalopatia traumatica cronica (CTE), malattia neurodegenerativa scaturita da un colpo alla testa. I sintomi principali includono deterioramento cognitivo, depressione, perdite di memoria a breve termine e, nei casi più gravi, istinti suicidi. Lo studio ha infatti suggerito che la metà degli atleti affetti da encefalopatia si è tolta la vita. «Potrebbe esserci un fattore di rischio collegato, ma per esserne certi serve uno screening su larga scala», hanno affermato gli esperti al Guardian.

Fra i soggetti analizzati anche i professionisti del football Shane Tuck, Danny Fawley e Polly Farmer. Quest’ultimo è deceduto nel 2019 a seguito di complicazioni dovute all’Alzheimer, mentre i primi due si sono tolti la vita nel 2019 e nel 2020 rispettivamente a 56 e 39 anni. Decessi che, come conferma il nuovo studio, sono riconducibili a commozioni cerebrali subite durante i match. Secondo Michael Buckland, professore dell’università di Sydney e principale autore della ricerca, il fenomeno non si limita però al professionismo e coinvolge tutte le fasce di età. «Abbiamo identificato casi di CTE in ex sportivi anziani e in giovani dilettanti», ha detto il ricercatore al Guardian. «Tre casi avevano addirittura meno di 35 anni».
Le iniziative del governo e delle istituzioni in Australia
Il legame fra la commozione cerebrale e lo sport di contatto da anni è al centro del dibattito nazionale. In Australia, infatti, giocatori in attività ed ex atleti stanno aumentando la pressione sul governo e sulle istituzioni affinché si migliori il regolamento per arginare il problema. Soprattutto nel mondo dilettantistico, numerosi atleti sono vittima di encefalopatia traumatica cronica, rendendosi per questo protagonisti anche di eventi tragici. Per questo è attiva nella nazione Concussion in Sport Australia, iniziativa dell’Australian Institute of Sport (AIS) che riunisce medici ed esperti per la gestione delle commozioni cerebrali nello sport. Come si legge sul sito ufficiale, obiettivi principali sono migliorare la sicurezza di gioco, fornire supporto agli atleti e utilizzare i fondi governativi per migliorare protocolli e regolamenti.
@theAIS, @StrokeBrainPRC and @UC_RISE are recruiting retired non-contact sport athletes for a study investigating Concussion and Brain Health. Learn more: https://t.co/4IYGIieC29 pic.twitter.com/0h2HcV43kQ
— UCRISE (@UC_RISE) February 17, 2022
«La commozione cerebrale di solito deriva da un colpo alla testa, ma può anche verificarsi per un incidente in qualsiasi parte del corpo», ha detto il direttore medico di AIS David Hughes. Un piano di ricerca triennale che si concluderà nel 2024 sta ora analizzando le differenze neuropsichiatriche fra atleti ed ex giocatori di sport con o senza contatto fisico. Lo studio coinvolgerà atleti maggiorenni non ancora sottoposti ad altre ricerche o esami neurologici.