Il post pandemia (ammesso che davvero sia tutto oramai dietro le spalle) ci fa vivere tempi di grande nervosismo e apprensione. Basta un niente per far nascere sospetti, vedere complotti e trame apocalittiche. Ingigantire anche labili indizi. È bastato, per esempio, che Vittorio Colao, a cena la scorsa settimana con il riconfermato presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini al mondanissimo ristorante del De Russie a Roma, si alzasse dal tavolo per andare a salutare il capo Italia e vice president mondo di Google Fabio Vaccarono anche lui lì, per scatenare le più disparate e allarmate dietrologie.
L’ad di Miscrosoft Italia in Ferrovie e Cioli tra i papabili per la Rai
Se poi in quello stesso giorno si viene a sapere che Silvia Candiani, ad di Microsoft Italia, fa il suo ingresso nel cda di Ferrovie, il plot prende forma. Se a questo si aggiunge anche che una Colao’s girl, Laura Cioli (ex Vodafone), potrebbe diventare ad della Rai (posto rifiutato dal medesimo Vaccarono quando fu sondato), la tesi diventa lampante. È Mario Draghi l’americano (anche lui ex banchiere di Goldman Sachs) che, in combutta con il suo ministro della Transizione digitale, appunto Colao, apre la strada ai barbari che si stanno ammassando alle porte. A preoccuparsi, più di tutti, Rai e Mediaset, ovvero due i due colossi della tivù generalista, altresì detta in chiaro, che questi sommovimenti degli OTT digitali non vedono mica di buon occhio. Infatti a Cologno, neanche il tempo di riposarsi dopo la conclusione della lunga battaglia con Vivendi, le antenne si sono subito drizzate.

Lo stop al progetto di fusione tra Audipress e Audiweb scatena i sospetti
Ma come in tutti i gialli che si rispettino, c’è un antefatto e un convitato di pietra. L’antefatto ha per protagonista Auditel, il consorzio di rilevazione dell’audience televisiva presieduto da Andrea Imperiali (un passato in Tim quando si chiamava Telecom e il padrone era Tronchetti Provera), che dopo essere stato silente alla fine è uscito fragorosamente allo scoperto per far saltare la fusione tra Audiweb e Audipress cui stava lavorando da mesi Upa e in particolare il suo direttore generale Vittorio Meloni. Il quale per coerenza, dopo il venir meno del progetto, si è dimesso dalla carica. Peccato, perché Meloni tra l’altro aveva avviato un progetto di blockchain per la trasparenza dei processi di investimento su cui qualche protagonista di un settore troppo spesso opaco aveva storto il naso.
Il presidente di Auditel fa saltare il banco
Insomma, problemi di metriche, e di supremazia nel rilevamento dei dati, ovvero quei numeri su cui le aziende misurano la bontà e l’efficacia dei loro investimenti pubblicitari. E scambi di accuse reciproche. Per Upa la metodologia nata dalla fusione tra Audiweb e Audipress per quantificare la total audience tra carta e digitale sarebbe diventata effettiva tra tre anni. Il tempo necessario perché gli istituti di ricerca si adeguassero alla nuova metodologia, in considerazione del fatto che oggi Auditel ha una strumentazione in grado di rilevare appena l’1 per cento del traffico totale dello streaming digitale. Ma per la società presieduta da Imperiali questo era solo un modo per ritardare l’irrompere del nuovo che avanza. Risultato? Una situazione di stallo, che ha scatenato la protesta della Fieg. La Federazione degli editori ha accusato Upa di aver fatto il salta fosso aderendo alle posizioni di Auditel.
Dietro le polemiche il convitato di pietra Tim
Dimenticavamo. C’è poi il convitato di pietra, colui che muove i fili evitando accuratamente di comparire. Il maggior indiziato è Tim, non fosse altro perché ha fatto capire, anche in virtù del suo recente accordo con DAZN per la trasmissione in streaming della serie A di calcio, che ha intenzione di recitare da protagonista sul palcoscenico della nuova televisione. E poi, tra i sospettati, tutti gli OTT, da Google ad Amazon, anche loro intenzionati a prendere velocemente quote di mercato a spese degli editori tradizionali. Col beneplacito di Draghi l’americano e del suo ministro per il Digitale.