Che fine ha fatto la piattaforma per la raccolta delle firme digitali promessa da Colao?

Stefano Iannaccone
08/04/2022

La piattaforma nazionale per la raccolta delle firme digitali promessa dal ministro Colao a inizio anno ancora non si vede. Chi vuole avviare una campagna per referendum e leggi di iniziativa popolare è così costretto a pagare di tasca propria. E il conto per esercitare questo diritto è salato. Il punto.

Che fine ha fatto la piattaforma per la raccolta delle firme digitali promessa da Colao?

La piattaforma nazionale per la raccolta delle firme digitali, tramite lo Spid, ancora non c’è. Ed è finita fuori tempo massimo di ormai oltre tre mesi, costringendo chi vuole avviare una campagna di mobilitazione per referendum e leggi di iniziativa popolare a pagare di tasca propria. Con cifre tutt’altro che risibili. I buoni propositi del ministro dell’Innovazione, Vittorio Colao, si sono infranti contro la realtà dei fatti, il suo impegno di provvedere entro l’inizio del 2022 non è stato rispettato.

Rallentamenti dovuti alla burocrazia

Lo strumento, annunciato sull’onda dei quesiti (poi bocciati dalla Corte costituzionale) su eutanasia e cannabis, non è a disposizione. Da quanto apprende Tag43, per questa svolta digitale si attende ancora la pubblicazione di un decreto che deve regolare l’impiego del portale. La perfetta contrapposizione tra innovazione e burocrazia. Lo slittamento era già stato reso noto nei mesi scorsi. Tra un rinvio e l’altro, l’inizio di aprile era stato indicato come ultimo termine per il completamento dell’iter. Ma questa nuova scadenza non è stata rispettata. Il testo è rimbalzato tra ministero della Giustizia e Garante della Privacy, chiamati a esprimere un parere. Secondo quanto riferiscono fonti del dipartimento affidato a Colao, infatti, dal punto di vista tecnico «è tutto pronto da mesi».

Firme digitali, che fine ha fatto la piattaforma promessa da Colao?
Lo Spid è la chiave di accesso per i servizi digitali delle amministrazioni.

Fare approdare una legge di iniziativa popolare in Parlamento costa fino a 80 mila euro

Resta però agli atti un fatto: chi vuole mobilitarsi, con le firme digitali, per promuovere un referendum o una proposta di legge di iniziativa popolare, deve affidarsi a piattaforme gestite da privati. E il limite è davvero notevole, perché ci sono spese esorbitanti da affrontare. Solo per avviare l’operazione occorrono circa 2 mila euro. A questo si aggiunge il costo di circa un euro e mezzo per ogni firma raccolta. Tanto per quantificare: 1000 firme richiedono un investimento di 3.500 euro. Affinché una legge di iniziativa popolare possa approdare in Parlamento servono almeno 50 mila sottoscrizioni, che costano tra i 75 mila e gli 80 mila euro. Ancora più imponente il problema per i referendum che necessitano di un minimo 500 mila sottoscrizioni. Con questi scogli, attualmente non risultano campagne referendarie di grande impatto. Tuttavia, proseguono gli sforzi per testi di legge da sottoporre alle Aule di Camera e Senato. Una di queste è la Next Generation Tax, una patrimoniale che Sinistra italiana, attraverso il suo segretario Nicola Fratoianni, vuole far approvare per sostenere le generazioni più giovani. Anche Possibile, il partito fondato da Pippo Civati, ha avviato la raccolta firme per una legge di iniziativa popolare, quella sul salario minimo. E proprio Possibile ha ricordato in un tweet i ritardi del governo: «Siamo ad aprile e il ministro Colao non ha tenuto fede alla sua promessa di mettere online una piattaforma pubblica per raccogliere le firme con Spid. E pagare per esercitare un diritto è uno scandalo».

 

Ma la mobilitazione digitale non è appannaggio solo dei partiti di sinistra. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni sta portando avanti la battaglia, a colpi di firme online, su un vecchio pallino: la riforma costituzionale in senso presidenzialista.

Con questi costi la società civile è tagliata fuori

L’impegno è praticamente attuabile solo da organizzazioni partitiche, la società civile fa fatica perché, appunto, ci sono dei costi da sostenere. Per questo Colao aveva assunto l’impegno di mettere a disposizione una piattaforma nazionale, dopo aver incontrato, a giugno 2021, i rappresentanti dell’associazione Luca Coscioni. Erano i giorni, appunto, in cui montava l’entusiasmo nei confronti delle firme digitali come mezzo per incentivare la partecipazione politica. «Il ministro ha confermato che entro il primo gennaio 2022, come previsto dalla legge, verrà sviluppata, testata e rilasciata una Piattaforma sicura e integrata con l’Anagrafe Nazionale della popolazione residente», sottolineava la nota ufficiale del dipartimento di Palazzo Chigi. L’intento era quello di consentire di «sottoscrivere le proposte referendarie, previo accesso remoto sicuro mediante Spid o Cie, con la contestuale validazione temporale delle sottoscrizioni». La piattaforma sarebbe stata sviluppata da Sogei, consentendo «di digitalizzare l’intero processo ‘end-to-end’ tramite l’integrazione informatica dell’anagrafe e delle liste elettorali». Insomma, tutto definito nei minimi dettagli. Almeno sulla carta.