Cognome materno: antologia di obiezioni farlocche

Lia Celi
30/04/2022

La sentenza sul cognome materno ha fatto impazzire l’ago magnetico pilloniano sempre direzionato non verso il Medioevo ma verso Gilead, la repubblica teocratica di The Handmaid’s Tale. E tra benaltristi, cassandre burocratiche e tecnicisti genealogici, ha scatenato le solite reazioni sprezzanti e puerili.

Cognome materno: antologia di obiezioni farlocche

Antigone, l’eroina di Sofocle, diceva di obbedire a “leggi non scritte” superiori a quelle decise dagli uomini. La lezione della principessa tebana ci aiuta a superare ogni eventuale dubbio intorno alla questione del cognome materno. Non è solo la sentenza scritta della Corte Costituzionale a dirci che il cognome di figli e figlie dev’essere frutto di una scelta dei genitori e non di un automatismo di stampo patriarcale. Lo conferma un’infallibile legge non scritta: se una cosa fa girare i coglioni a Simone Pillon, allora vuol dire che è giusta. Dalla bioetica al look dei Maneskin, dai diritti Lgbt a Drusilla Foer, le esternazioni del senatore leghista sono da tempo la bussola più affidabile nel cammino verso l’incivilimento del nostro Paese: è sufficiente seguire la direzione diametralmente opposta a quella indicata dall’ago magnetico pilloniano, sempre direzionato non verso il Medioevo (che, come insegna il prof Barbero, era molto più aperto, creativo e tollerante di come se lo immaginano i neo-templari col farfallino) ma verso Gilead, la repubblica teocratica ultra-patriarcale immaginata da Margaret Atwood in The Handmaid’s Tale.

La distopia di Gilead è stata finora la prassi in ogni ufficio dell’anagrafe 

Con la sentenza della Consulta l’ago pilloniano è letteralmente impazzito. Perché l’attribuzione di default alla prole del cognome del padre (se l’ha riconosciuta come sua) è il nocciolo di Gilead, dove le donne fertili, diventate ancelle riproduttive dei vari capifamiglia, perdono il loro nome e assumono quello del rispettivo padrone, al quale partoriscono figli. Quella che vista sullo schermo è distopia allucinante, l’estremizzazione del patriarcato, in un ufficio dell’anagrafe italiana è stata fino a oggi la prassi. E il fatto che ci siamo tutti abituati, e alcuni magari pure affezionati, non cancella il fatto che si basa su un principio ingiusto, ispirato a valori arcaici superati in una società che si sta allontanando sempre di più da Gilead e riconosce uguaglianza e pari dignità a madre e padre.

Cognome materno: antologia di obiezioni farlocche
Una scena di The Handmaid’s Tale.

Benaltristi, cassandre burocratiche, tecnicisti genealogici: il campionario contro il cognome materno

Noto che le reazioni alla sentenza della Consulta sul cognome materno hanno lo stesso sapore stizzito e sprezzante di quelle riguardo al linguaggio inclusivo. E si capisce perché. Tutto ciò che va a colpire le strutture sottili, antiche e profonde che definiscono da millenni ciò che siamo e il nostro posto nel mondo – il nostro nome, la nostra identità, il modo in cui formuliamo discorsi e pensieri – ci mette sottosopra. E così rispondiamo in modo sconnesso, scomposto, puerile, con argomentazioni che stanno appena una tacca sopra al tapparsi le orecchie ripetendo “blahblahblah”. Basta dare un’occhiata al vasto campionario di brontolii, piagnucolii e livori apparsi su Twitter negli ultimi giorni con l’hashtag #cognomematerno. L’obiezione più facile, buona per tutte le occasioni, dal cognome materno allo ius soli, è «ci sono problemi più importanti», dove per problemi “meno importanti” in Italia si intende in genere il riconoscimento di diritti a qualcuno che ne ha meno di noi. Ci sono poi le critiche basate sull’aritmetica, «ma così i figli di chi ha due cognomi avranno quattro cognomi e i loro figli otto ecc», un dilemma matematico col quale il mondo ispanico convive felicemente da secoli ma che evidentemente ossessiona tanti italiani affetti da sindrome post-traumatica da tabelline o traumatizzati dalla contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare di Fantozzi. Il terzo filone è rappresentato dalle cassandre burocratiche, che prevedono scene di tregenda negli uffici dell’anagrafe; e il fatto che per evitare inghippi burocratici non si chieda alla burocrazia di essere più flessibile ed efficiente, ma ai cittadini di non complicarle la vita, la dice lunga sul rapporto di noi italiani con strutture che dovrebbero essere al nostro servizio. Ultimi ma non meno importanti, i tecnicisti genealogici, secondo cui i figli, a ben vedere, non riceveranno il cognome della madre, bensì quello del nonno materno. Obiezione di cui non si capisce il senso: ce l’hanno coi nonni materni in generale o sono fautori del matrilinearismo duro e puro e auspicano la trasmissione del cognome solo in linea femminile? Va’ a capire. Quel che non capisco io è come mai, fra tante argomentazioni farlocche contro la trasmissibilità del cognome materno, nessuno abbia sollevato l’unica valida: le madri dei Pillon e degli Adinolfi del futuro non potranno più scomparire nell’anonimato. Forse saranno costrette a cambiare cognome.