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Anastasio e il nostalgismo fatale dell’estrema destra

Quello di Anastasio, ormai ex presidente di 3i che in una mail citava il discorso di Mussolini dopo l’omicidio Matteotti, è solo l’ultimo tic nostalgico di questa estrema destra al governo. Che nonostante le rassicurazioni non si vuole liberare del Ventennio. Tra busti del duce, saluti romani, esaltazione del Msi e folle a Predappio.

14 Marzo 2023 17:57 Marco Fraquelli
Anastasio e il nostalgismo fatale dell'estrema destra

Lo scandalo scoppia martedì 14 marzo, quando Francesco Bei su La Repubblica, rende pubblico il testo di una mail inviata da Claudio Anastasio, presidente di 3i ai consiglieri di amministrazione della società, software house pubblica creata (tra mille polemiche) dal governo a trazione Fratelli d’Italia nel dicembre scorso per gestire i servizi informatici di Inps, Inail e Istat, Presidenza del Consiglio, ministero del Lavoro e di altre Pubbliche Amministrazioni centrali. Scandalo perché il testo della lettera è preso pari pari dal discorso con cui Benito Mussolini, il 3 gennaio 1925, si assunse, pubblicamente, la responsabilità «politica! morale! storica!» del delitto Matteotti. Discorso, en passant, che gli storici considerano, sostanzialmente, come l’atto di nascita della dittatura fascista.

Si dimette Claudio Anastasio, il presidente di 3-I che aveva citato Benito Mussolini in una mail inviata al cda.
Claudio Anastasio.

Dopo la mail mussolineggiante, Anastasio si è dimesso

Inutile dire che l’uscita di Anastasio ha ulteriormente allarmato coloro che sostengono come la classe dirigente vicina a Fratelli d’Italia esprima spesso un attaccamento nostalgico alle radici fasciste persino superiore a i suoi referenti politici. Non per caso, la nomina del manager, di provata fede meloniana e imposto dal governo, era stata salutata, lo scorso novembre, con entusiasmo da Rachele Mussolini, nipote del duce, eletta alle elezioni comunali di Roma del 2021 con un record di voti: oltre 6.500.  L’iniziativa, a dir poco bizzarra, per usare un eufemismo, di Anastasio ha giustamente sollecitato duri commenti da parte dell’opposizione («vomitevole», l’ha definita il deputato Pd Claudio Mancini, chiedendo la revoca della nomina, mentre Simona Malpezzi, capogruppo dello stesso partito al Senato ha parlato di «vergogna»), e Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra, ha subito sollecitato le dimissioni del manager che, sempre con una mail alla società, si è prontamente dimesso (in questo caso, suscitando commenti positivi, per esempio da parte dell’eurodeputato di Renew Europe, Sandro Gozi, che ha parlato di «buona notizia»).

La Russa: «Busto del duce? Ce l'ho e non lo butterò mai». Il presidente del Senato ammette: «Me lo ha lasciato mio padre»
Ignazio La Russa (Getty Images).

La Russa, il busto del duce e la celebrazione della nascita del Msi

Per il momento, il caso sembrerebbe chiuso. Anche se resta la preoccupazione più generale, perché, come sottolineato dal senatore Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama, «alla vigilia di una serie di cruciali nomine governative negli enti pubblici suscita profonda inquietudine un caso come quello di Claudio Anastasio. La questione che si pone, e che non è eludibile, è se si intenda procedere all’occupazione di tutte le caselle di potere disponibili con leggerezza ed eccessi di disinvoltura, collocando in posizioni delicate personaggi improbabili e non all’altezza». Il tema sollevato da Parrini non nasce per caso. Troppe volte, ancora di recente, non solo dall’entourage di Fratelli d’Italia, ma qualche volta dagli stessi vertici del partito sono stati dati segnali piuttosto inequivocabili di un legame nostalgico col passato duro a morire. Si potrebbero ricordare i recenti episodi che hanno avuto come protagonista Ignazio La Russa, Presidente del Senato, al centro di vivaci polemiche per un busto di Mussolini custodito nella sua casa e poi per aver celebrato via tweet e via Facebook la nascita del Movimento Sociale Italiano, Msi, partito diretto erede del fascismo salotino, avvenuta il 26 dicembre del 1946. In entrambi i casi, La Russa si è giustificato accampando la scusa degli affetti familiari: il busto (peraltro, relegato in un angolo buio e scarsamente visibile, ha detto il presidente del Senato) è un lascito del padre, mentre il ricordo del Msi voleva essere un omaggio alla memoria del padre, già segretario del Partito fascista a Paternò, e co-fondatore del movimento neofascista.

Il saluto (di) Romano

E alla mozione degli affetti si è appellato anche il fratello di Ignazio La Russa, Romano, neo assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia, che, lo scorso settembre, al funerale del cognato, Alberto Stabilini, militante dell’estrema destra milanese, si è esibito – come mostrato da un video pubblicato dalla tv del Fatto Quotidiano – nel classico saluto romano, tradizionale tributo ai camerati morti (tecnicamente, il saluto viene ripetuto tre volte, mentre per tre volte viene scandito il nome del defunto, e alla fine, all’unisono, i presenti gridano «presente!»). Fratelli d’Italia ha cercato, con una supercazzola di natura cinesica, di dimostrare come il braccio sollevato da La Russa – per la verità due e non tre volte – non fosse un saluto, bensì, al contrario, l’invito ai camerati presenti a non farlo. Peccato che lo stesso assessore li abbia smentiti, addirittura scusandosi pubblicamente, in occasione del suo primo intervento in Regione, e sostenendo che «Stabilini, prima ancora di essere fratello gemello di mia moglie, era un uomo umile, cattolico tradizionalista, modesto e sempre pronto ad aiutare i giovani. Questo è il personaggio a cui ho voluto dare il mio ultimo saluto partecipando a un rito che avrebbe voluto, un gesto di rispetto da parte di chi l’ha amato».

L'assessore Romano La Russa resterà assessore. La mozione di censura, voluta a seguito del saluto romano, è stata respinta dal centrodestra.
Romano La Russa (da Instagram).

Il rigurgito di nostalgismo da Predappio alla Marcia su Roma

Le manifestazioni dei vari La Russa, Anastasio e compagnia bella rappresentano naturalmente la punta dell’iceberg del nostalgismo neofascista, tanto più visibili perché provengono da personaggi di primo piano di quell’universo di estrema destra che gravita attorno, ma in questo caso si dovrebbe dire al centro, al partito leader di governo. Ma da sempre esiste un mondo più “periferico”, riferibile allo stesso alveo politico, che non perde occasione per rispolverare, per la verità sotto lo sguardo un po’ distratto delle istituzioni, un’estetica fascista piuttosto inquietante. Basti pensare alle manifestazioni che, ogni anno, a ottobre, commemorano, con epicentro a Predappio, la Marcia su Roma, o quelle che, ogni 28 aprile, ricorrenza della morte del duce, vedono i nostalgici del Ventennio impegnati in molteplici eventi. Dall’omaggio alla cripta che custodisce le spoglie di Mussolini e della sua famiglia (a Predappio arrivano pullman da tutta l’Italia e persino da Francia, Spagna e Germania) alle cerimonie religiose, comprese messe celebrate da sacerdoti compiacenti, in diverse località, dall’esposizione di manifesti funebri agli striscioni (celebre quello appeso nel 2019 da Forza Nuova vicino al Colosseo, che recitava «Mussolini per mille anni», scimmiottamento di Hitler pour mille ans, pamphlet scritto nel 1969 da Léon Degrelle, l’iconico leader del fascismo belga). All’immancabile necrologio – «Sempre nei nostri cuori» – che, ogni 28 aprile, appare sul Giornale di Vicenza.

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