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Cina, perché per Xi Jinping sarà un Congresso tutto in salita

Potrebbe essere evento senza precedenti con Xi Jinping pronto a un terzo mandato o una resa dei conti tra correnti. In ogni caso il XX Congresso del Pcc segnerà uno spartiacque per la Cina. E non sarà una passeggiata per il leader tra rallentamento economico, Politiche zero Covid e tensioni con Taiwan e Russia. Lo scenario.

8 Ottobre 2022 17:54 Federico Giuliani
Cina, perché per Xi Jinping sarà un Congresso tutto in salita

Per alcuni sarà un evento senza precedenti che consentirà a Xi Jinping di esercitare un inedito terzo mandato nelle vesti di presidente della Repubblica Popolare Cinese. Per altri sarà un regolamento di conti interno al Partito Comunista Cinese (Pcc), un fiume di sangue istituzionale che contribuirà a rimettere la Cina in carreggiata, eliminando tutte le fazioni e le correnti in grado di contaminare l’agenda di Xi. Da qualunque prospettiva lo si guardi il XX Congresso del Pcc che si aprirà il 16 ottobre si candida a essere uno spartiacque nella storia del Dragone. Ci sarà un prima e un dopo. Il prima: quando, dalle riforme economiche di Deng Xiaoping all’ascesa di Xi (1978-2011), la Cina era considerata una potenza con cui collaborare e stringere affari economici. Il dopo: quando, con il progressivo consolidamento politico di Xi, il gigante asiatico ha deciso di sfidare, più o meno esplicitamente, il potere degli Stati Uniti per mutare l’ordine globale a trazione liberaldemocratica. In attesa di capire che cosa accadrà da qui ai prossimi anni, con il braccio di ferro tra Cina e Stati Uniti presumibilmente sempre più vicino a trasformarsi in un conflitto aperto, è impossibile ignorare le attuali difficoltà del leader cinesi e le contrastanti correnti politiche interne al sistema politico cinese.

Crescita economica rallentata, Covid e guerra in Ucraina: tutti i problemi con cui deve fare i conti Xi Jinping
Xi Jinping (Getty Images).

Le pene di Xi: il rallentamento economico, la bolla immobiliare e la politica estera

Chi si aspettava che la Cina si avviasse al Congresso seguendo una strada in discesa è presto rimasto deluso. Il Dragone, e quindi Xi, è alle prese con almeno tre nodi spinosissimi. Il primo riguarda l’economia. Il 2022 è stato un anno orribile dal punto di vista delle previsioni. Il governo cinese è stato costretto a rinunciare a molteplici obiettivi che si era prefissato, in primis una crescita del Pil del 5,5 per cento, ridimensionata al 3,3 per cento. Le vendite al dettaglio, giusto per prendere un altro indicatore chiave, si sono fermate al +2,7 per cento a fronte di un’aspettativa del +5 per cento. E se la Cina doveva scrollarsi di dosso la dipendenza dalle esportazioni, per diventare un Paese capace di fare leva sul mercato interno, è bene sapere che l’export è aumentato del 18 per cento. C’è, poi, sempre collegata all’economia, la bomba immobiliare congelata ma non ancora disattivata. Il pugno duro delle autorità sui debiti dei promotori immobiliari ha generato un crollo immobiliare, spingendo Evergrande, uno dei più grandi costruttori del Paese, sull’orlo della bancarotta. Il secondo nodo è prettamente sociale. Le rigide politiche Zero Covid, alimentate a colpi di lockdown, hanno danneggiato l’economia e stancato una parte sempre crescente della popolazione. Come se non bastasse, lo scorso luglio la disoccupazione giovanile in Cina ha toccato la soglia del 19,9 per cento, il tasso più alto dal 2018, e cioè da quando Pechino ha iniziato a pubblicare l’indice di disoccupazione. Quattro anni era al 9,6. Considerando, poi, che nel 2022 la Repubblica Popolare ha sfornato 10,7 milioni di nuovi laureati – erano meno di un milione nel 1999 – è lecito supporre che molti ragazzi non riusciranno a trovare un lavoro in linea con le proprie aspettative. Arriviamo così al terzo problema: la politica estera. Qui Xi ha due gravissimi problemi da affrontare. Uno è relativo alla guerra in Ucraina e all’ambigua partnership stretta con la Russia. Anche se gli alti funzionari cinesi ripetono che il Cremlino è solo un partner e non un alleato, gli Stati Uniti ipotizzano (e temono) che in realtà il Dragone possa offrire un salvagente economico a Vladimir Putin consentendogli di mitigare l’effetto delle sanzioni. Il secondo problema si chiama Taiwan. Per la Cina non esistono alternative, ambiguità o compromessi: Taiwan è una provincia cinese e qualsiasi interferenza esterna non è gradita. Il rischio, per alcuni, è che, per coprire i problemi economici interni, Xi possa lanciarsi alla conquista di Taipei, entrando così in guerra con gli Stati Uniti. Che hanno passato gli ultimi anni a rifornire di armi a Taiwan e la considerano una roccaforte fondamentale per arginare l’espansione cinese nell‘Indo-Pacifico.

Cina, perché per Xi Jinping sarà un Congresso tutto in salita
Joe Biden e in video collegamento Xi Jinping (Getty Images).

La guerra tra correnti interne

Con questi e altri pensieri Xi Jinping si avvicina al Congresso. Un Congresso nel quale potrebbero emergere le correnti e le fazioni interne al Pcc. Il presidente cinese, a differenza dei suoi predecessori, vive in simbiosi con il Partito. Anzi: è il cuore del Partito stesso che, sotto la sua leadership, ha sostanzialmente riaffermato la supremazia sullo Stato. Il potere di Xi è quindi centralizzato alla massima potenza. Questo significa che sì, ci potrà essere spazio di discussione, ma, allo stesso tempo, non potranno esistere fazioni contrarie al volere del leader. In generale, il Partito Comunista Cinese si è adattato al presente riadattando le teorie del marxismo al contesto attuale. È nato così il cosiddetto socialismo con caratteristiche cinesi. Non tutti i funzionari cinesi intendono però questo socialismo alla stessa maniera. La prima spaccatura contrappone i populisti, tra cui neomaoisti, nostalgici di Mao Zedong e tutti coloro che chiedono “più Stato e meno mercato”, agli elitisti, che vedono invece di buon grado la graduale apertura cinese alle riforme di mercato. Un’altra faglia contrappone i sostenitori della Belt and Road Initiative (Bri) lanciata da Xi, il progetto che dovrebbe (o forse sarebbe meglio dire avrebbe dovuto) aprire la Cina al resto del mondo sfruttando la globalizzazione e rafforzando l’economia nazionale cercando di instaurare quante più relazioni win win possibili, da chi considera il progetto uno spreco di denari pubblici. E poi troviamo l’immancabile faida tra i falchi e le colombe, e cioè tra chi vorrebbe che la Cina mostrasse i muscoli e desse finalmente una lezione agli Stati Uniti, e chi, al contrario, alle armi vere preferirebbe le armi della diplomazia e della distensione. Una cosa è certa: il terzo mandato di Xi non sarà affatto una passeggiata.

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