Tibet, il governo cinese sta intensificando la raccolta di massa del Dna
Pechino sta intensificando la raccolta di massa del Dna con prelievi forzati di sangue per ragioni di "pubblica sicurezza". La denuncia di Human Rights Watch: grave violazione dei diritti umani.
Le autorità cinesi stanno intensificando in modo significativo la raccolta arbitraria di Dna dai residenti di molte città e villaggi della regione autonoma del Tibet. Lo denuncia Human Rights Watch. «Il governo di Pechino sta già sottoponendo i tibetani a una repressione pervasiva. Adesso sta letteralmente prelevando sangue senza consenso per rafforzare la capacità di sorveglianza», ha affermato Sophie Richardson, direttrice della non-profit per la Cina.
Ufficialmente il governo raccoglie il Dna per motivi di sicurezza
Ad aprile un report della municipalità di Lhasa affermava che campioni di sangue per la raccolta del Dna venivano prelevati sistematicamente dai residenti locali. Un rapporto di una cittadina tibetana nella provincia del Qinghai, risalente a dicembre 2020, affermava che una pratica di questo genere (per tutte le persone di età superiore a 5 anni) era già in atto all’epoca. Lo scopo della raccolta del Dna nel comune di Chamdo, secondo le autorità, si è reso necessario per «migliorare l’efficienza delle verifiche e aiutare nella cattura delle persone in fuga». In altre aree della regione autonoma del Tibet, ai residenti è stato detto che i prelievi di Dna sarebbero stati utili «per reprimere efficacemente elementi illegali e criminali».

La raccolta di massa del Dna è una pratica già utilizzata nello Xinjiang
In realtà la raccolta del Dna è in corso da diversi anni nelle sette prefetture della regione autonoma del Tibet, che costituisce una parte dell’originaria regione geografica (e storica) dell’altopiano tibetano, coprendone solo la porzione occidentale. Va avanti almeno dal 2013, quando ha preso il via un programma governativo “Esami medici per tutti”. Volto, almeno ufficialmente, a migliorare l’erogazione dell’assistenza sanitaria del Paese: come denuncia Human Rights Watch, nello Xinjiang, dove è in corso il genocidio culturale degli uiguri, le autorità hanno invece utilizzato il programma per raccogliere di nascosto (ma in massa) il Dna dei residenti di età compresa tra 12 e 65 anni.

Nella regione è in corso una grave violazione dei diritti umani
La raccolta del Dna avviene adesso alla luce del sole, nella regione autonoma del Tibet. È infatti parte di una campagna lanciata a gennaio nell’area, che richiede alla polizia della stazioni locali di visitare ogni famiglia, interrogandone i membri su varie questioni. Anche politiche, ovviamente. Non ci sono prove, sottolinea Human Right Watch, in grado di suggerire che le persone possano rifiutarsi di partecipare a questa campagna. O che la polizia debba avere qualche indizio di attività illecite prima di procedere. Insomma, i residenti sono con ogni probabilità costretti a fornire campioni di Dna agli agenti.
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E questo, senza un consenso informato e libero, rappresenta una grave violazione di privacy, dignità e diritto all’integrità fisica di un individuo. In alcune circostanze può anche costituire un trattamento degradante, segnalano le associazioni che difendono i diritti umani. Questo a livello individuale. Il campionamento forzato del Dna di un’intera regione (o popolazione) per il presunto mantenimento della sicurezza costituisce una grave violazione dei diritti umani, in quanto non può essere giustificato come necessario o proporzionato.

Occupata dalle forze cinesi nel 1950, la regione è da allora teatro di proteste da parte dei tibetani, che rivendicano una maggiore autonomia, e di repressione da parte del governo di Pechino, che limita le libertà della popolazione buddista e promuove l’insediamento di cinesi di etnia han. Il capoluogo del Tibet è Lhasa, città che ospita la residenza tradizionale del Dalai Lama: anche a causa di pressioni internazionali Tenzin Gyatso, in esilio in India, non richiede più l’indipendenza e la sovranità del Tibet, ma solo una vera autonomia della regione, più il rispetto dei diritti umani dei tibetani. Richiesta, quest’ultima, che Pechino ha poca intenzione di assecondare.