Il terzo figlio come soluzione al calo della natalità e all’invecchiamento della popolazione. La Cina ha abrogato le restrizioni entrate in vigore nel 2016, quando abbandonò la decennale politica del figlio unico sostituendola con il limite di due figli, e ha autorizzato le famiglie ad avere un terzo erede con la promessa di aiuti e misure di sostegno da parte del governo. Secondo quanto riportato dalla Bbc, la decisione di Pechino non è altro che una mossa obbligata alla luce dai dati del settimo censimento nazionale da cui è emerso un deciso calo delle nascite, affiancato sia dalla riduzione della popolazione in età lavorativa che dall’aumento dei cittadini over 65 rispetto agli under 14 (per la prima volta nella storia, con 264 milioni versus 253). Una tendenza che frenerebbe la crescita economica del Dragone. Non solo. Se nel 2016 i neonati furono 18 milioni, nel 2020 il numero dei nuovi nati è calato a 12 milioni, la cifra più bassa dal 1960. Un campanello d’allarme che ha imposto ai vertici del Partito la revisione delle misure di pianificazione familiare. Anche se il risultato non è scontato. Con il via libera al secondo figlio nel 2016, si ottenne un incremento delle nascite per soli due anni. Poi dal 2018 a oggi la flessione è stata inesorabile.
I motivi del calo della natalità in Cina
Il crollo della natalità è dovuto, come nel resto del mondo, al fatto che le giovani coppie sono scoraggiate per un costo della vita troppo alto, giornate lavorative pesanti, servizi d’assistenza all’infanzia quasi assenti, un mercato immobiliare incandescente e, in minima parte, anche per l’impatto che la gravidanza ha sulla carriera delle donne. «Chi mai vorrebbe avere tre figli? Si può arrivare a due, forse», ha spiegato Zhiwei Zhang, economista della Pinpoint Asset Management, alla Bbc. «Vivere costa troppo e la pressione a cui ci sottopone la quotidianità è diventata ingestibile. L’unica soluzione al problema delle nascite è far sì che la politica consenta a tutti di crescere un bambino, riducendo i costi dell’educazione e imponendo dei limiti al mercato immobiliare». Tra i maggiori ostacoli per le nuove generazioni di genitori, la difficoltà di accedere ad asili pubblici rappresenta quello più serio. Secondo i dati del ministero dell’Educazione, la percentuale di scuole materne abbordabili è vertiginosamente scesa dal 77% del 1997 al 38,4% del 2019. Senza contare che, soprattutto nelle aree rurali, i bambini al di sotto dei tre anni non possono usufruire di strutture e servizi scolastici. «Mandare mio figlio di sei mesi in un asilo privato mi è costato più di 8 mila yuan (più di 1.000 euro, ndr)», ha raccontato Cheng Minyi, ingegnera di Shenzen, in un’intervista al South China Morning Post. «È costosissimo. Sebbene io abbia uno stipendio di tutto rispetto e lavori in città, è difficile vivere così con due figli della stessa età». Una situazione che alcuni riescono a tamponare grazie a nonne e nonni trasferitisi appositamente in città per badare ai nipoti.
Senza restrizioni si rischia l’aumento di disoccupazione e povertà
Ma arriverà l’abrogazione totale delle misure? Secondo alcuni il censimento potrebbe aver instillato nel governo cinese l’idea di rinunciare del tutto alle limitazioni. Per altri, invece, quest’abrogazione totale potrebbe portare all’insorgere di ulteriori problemi, come un gap incolmabile tra la città e le aree rurali. Per quanto le donne che vivono a Pechino o a Shangai possano decidere liberamente di ritardare la gravidanza o rinunciarvi del tutto anche in virtù di una cultura e di un mindset di un certo tipo, chi vive in campagna è più incline a seguire la tradizione. «Se si elimina qualsiasi restrizione, è possibile che la gente che vive fuori città dia il via a una serie incontrollata di nascite», ha precisato un insider ai microfoni della Reuters. «Questo potrebbe aggravare le cose, aggiungendo ulteriori complicazioni. Come un aumento in parallelo del tasso di povertà e di quello di disoccupazione».