Venti di guerra tra Cina e Taiwan? Probabilmente no, ma che la tensione sia salita di recente è un dato di fatto. Il ministro degli Esteri dell’isola, Joseph Wu, è stato molto chiaro a riguardo in un’intervista rilasciata alla Cnn: «Non possiamo correre rischi: quando il governo cinese dice che non rinuncerebbe all’uso della forza, ma poi conduce esercitazioni militari attorno a Taiwan, siamo costretti a credere che le minacce siano reali». I fatti degli ultimi giorni potrebbero aiutare a capire meglio questa dichiarazione: lo scorso 15 giugno, nel rispondere alla richiesta del G7 di assicurare «l’importanza della pace e della stabilità attraverso lo stretto di Taiwan», Pechino ha effettuato un blitz con 28 caccia nella zona d’identificazione di difesa aerea dell’isola. L’uso del nome “Taiwan” è stato considerato un affronto da parte della Cina, che considera l’isola “parte inalienabile” del proprio territorio – pur non avendolo mai governato. Lo spazio aereo dell’isola non è stato violato, ma il dispiegamento dei caccia – mai così tanti – costituisce una dimostrazione di forza e un avvertimento neanche troppo velato. Il tutto mentre a Hong Kong, territorio formalmente autonomo, il potere di Pechino aumenta sempre di più. La Cina, tuttavia, ha rifiutato la ricostruzione di Wu.
I rapporti tra Cina e Taiwan
La Cina continentale e l’isola hanno due governi diversi dal 1950, anno in cui la guerra civile cinese giunse a termine e i nazionalisti di Kuomintang, sconfitti dai comunisti di Mao, si rifugiarono a Taiwan stabilendo la loro capitale a Taipei. Da allora, entrambe le entità ritengono di essere le legittime rappresentanti del popolo cinese (altro nome di Taiwan è proprio Repubblica di Cina), ma sono appena 15 gli Stati al mondo (tra cui il Vaticano) che riconoscono l’isola come una nazione indipendente. Il rapporto tra le due entità è però stato tutt’altro che pacifico, nel corso degli anni: nel 1958, infatti, ci furono dei violenti scontri (la crisi dello stretto di Formosa) che portarono addirittura all’intervento statunitense, con l’America che, in quel periodo, era molto attiva militarmente in Asia. Vinse Taiwan, e Pechino fallì un primo tentativo di riprendersi l’isola.
Un primo accordo di non ostilità risale al 1992, quando entrambe riconobbero la posizione di “una Cina”, interpretata in maniera diversa dalle due: per Pechino, significa riconoscere a Taiwan lo status di Regione ad amministrazione speciale dopo l’eventuale unificazione; per Tapei, invece, la definizione comprende la Repubblica di Cina come fondata nel 1911, con capitale Nanchino, con i confini più ampi di quelli attuali e con la sovranità su tutto il territorio: compresa quindi, sia la parte continentale che l’isola. Con la messa da parte – temporanea – della politica tra gli schieramenti, gli scambi commerciali attraverso lo Stretto ripresero a prosperare negli anni successivi. Un nuovo stallo si ebbe nel 2016, con l’elezione di Tsai Ing-wen, attuale presidente di Taiwan. Che, insieme al suo Partito Progressista Democratico (centro-sinistra) ha da tempo rifiutato gli accordi di quasi 30 anni fa, esortando Pechino a riconoscere la sovranità della Repubblica di Cina e i desideri del popolo taiwanese.
Preservare Taiwan per evitare un’altra Hong Kong
Una posizione impossibile da accettare, e nel 2019 il presidente Xi Jinping ha invitato l’isola ad abbracciare una “riunione pacifica” con la Cina continentale, senza però escludere l’uso della forza: per Taiwan la minaccia di un’azione militare rimane una spada di Damocle con la quale fare i conti costantemente. Le parti sono destinata, almeno al momento, a non incontrarsi: il ministro Wu ha infatti detto, sempre nell’intervista alla Cnn, che l’isola non può accettare l’unificazione con Pechino, e che i recenti eventi di Hong Kong dimostrano come il solo modo per conservare l’unica democrazia di lingua cinese sia preservare l’indipendenza di Taiwan. «Quella di Hong Kong è una tragedia moderna, vedere quello che sta succedendo lì è molto triste», ha aggiunto. Per il ministro, l’unico modo per avere delle relazioni pacifiche con la Cina è mantenere lo status quo: un presidente e un parlamento eletti, una forza militare autonoma e una propria autorità che rilasci passaporti: «La gente vuole la pace, ed è ciò che desidera anche il governo. E vogliamo anche dialogare con la Cina, ma per quello è necessario che siano in due a volerlo».
La Cina potrebbe invadere Taiwan?
Nonostante le preoccupazioni di Wu, smentite per il momento dal Capo di Stato maggiore degli Stati Uniti, Mark Milley («Non vedo come la Cina possa improvvisamente attaccare Taiwan, sarebbe un’operazione molto complicata e costosa»), le autorità taiwanesi accusano Pechino di condurre una guerra molto più subdola, di disinformazione e intimidazione, per far preoccupare la popolazione dell’isola. «Sono accuse immaginarie», la risposta dell’ufficio cinese per gli affari di Taiwan. È un fatto, però, che la Cina stia cercando sempre più di allargare il suo potere in tutti i modi possibili: o, come abbiamo visto, in maniera aggressiva, minando l’autorità di Hong Kong. Oppure, in modo più soft, costruendo dal nulla Zone economiche speciali e città nei vicini Paesi asiatici. Quello dell’espansionismo cinese sarà sicuramente un tema dei prossimi anni, e i primi a volerlo evitare sono proprio i taiwanesi: ne va della loro stessa sopravvivenza.