Cina-Taiwan: perché ci sono tensioni, posizione degli Usa e scenari futuri

Matteo Innocenti
05/08/2022

Le radici delle tensioni tra Cina e Taiwan affondano nella guerra civile tra il Kuomintang di Chiang Kai-shek e il Partito Comunista di Mao Zedong. E come sempre, anche in questa quarta crisi scatenata dalla visita di Pelosi, ha giocato l'ambiguità degli Usa.

Cina-Taiwan: perché ci sono tensioni, posizione degli Usa e scenari futuri

La visita di Nancy Pelosi a Taiwan sta avendo conseguenze serie. Dopo giorni di alta tensione, la Cina ha dato il via a una serie di manovre militari e d’addestramento su vasta scala che hanno sconfinato nelle acque territoriali dell’isola e che si dovrebbero concludere lunedì 8 agosto. Il ministero della Difesa taiwanese ha parlato del lancio di 11 missili balistici Dongfeng, nei pressi dell’arcipelago di Matsu: la città di Taipei ha incoraggiato i residenti a scaricare una app per localizzare le posizioni degli oltre 5 mila rifugi antiaerei della Capitale, mentre l’esercito ha reso noto di aver «rafforzato la prontezza al combattimento». Da Tokyo, ultima tappa del suo tour asiatico, Pelosi ha dichiarato che la Cina «non isolerà Taiwan» impedendo ai politici statunitensi di recarsi sull’isola e che non sta a Pechino «decidere i loro programmi di viaggio». Da parte sua, il vice ministro degli Esteri cinese Deng Li, ha detto che la visita della Speaker della Camera è stata «un’evidente e grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Paese». La situazione insomma è tesissima e c’è il timore che si possa arrivare a un conflitto armato: in Cina tra l’altro ad alimentare la crisi è una forte retorica nazionalista, diffusa sia sui media tradizionali che sui social network. Ma da dove nasce tutto questo? Ecco i motivi delle tensioni tra Cina e Taiwan.

Cina-Taiwan: perché ci sono forti tensioni, la posizione degli Usa e gli scenari futuri. Le cose da sapere.
Protesta cinese contro la visita di Nancy Pelosi a Taiwan (Anthony Kwan/Getty Images)

Cina-Taiwan, alle radici della tensione

Nel 1895, al termine della prima guerra sino-giapponese, scoppiata per il controllo della Corea, l’impero cinese Qing cedette Taiwan al Giappone. Nel 1911, dopo oltre 2000 anni di dominio imperiale, la Repubblica di Cina subentrò al sistema dinastico, cosa che portò a un periodo di forte tensione e instabilità politica: nel 1931, mentre era già in corso la guerra civile tra il Kuomintang di Chiang Kai-shek e il Partito Comunista Cinese di Mao Zedong, l’impero giapponese invase la Cina instaurando uno Stato fantoccio in Manciuria. Questo territorio, insieme a Taiwan, tornarono a essere territorio cinese con la fine della Seconda guerra mondiale, che vide il Giappone tra le nazioni sconfitte. Poco dopo giunse al termine la guerra civile cinese: nel 1949 il Kuomintang, sconfitto, si ritirò a Taiwan (conosciuta anche come “Formosa”), portandosi dietro il titolo ufficiale di “Repubblica Cinese”, mentre in Cina nacque la “Repubblica Popolare Cinese”.

Le crisi dello stretto di Formosa

Da allora, sia la Cina che Taiwan rivendicano il controllo sull’altro Paese, certe di essere la “vera Cina”. Da una parte, Pechino sostiene che l’isola è stata a lungo una provincia dell’impero cinese. Taipei, invece, sottolinea che Taiwan non è mai stata parte della moderna Repubblica di Cina, nata a inizio Novecento. Quel che è certo è che, da quando esiste questa situazione, i due Paesi sono passati periodicamente da una guerra “fredda” a una “calda”: risalgono agli Anni Cinquanta le prime due crisi dello stretto di Formosa, in cui intervennero anche gli Stati Uniti. Nel 1995-1996 si ebbe una nuova serie di episodi di ostilità, per quella che è chiamata Terza crisi dello Stretto di Taiwan. E adesso stiamo vivendo la quarta.

One China Policy, l’ambigua posizione Usa

E in effetti non si può davvero parlare delle tensioni tra Cina e Taiwan senza citare la posizione degli Stati Uniti, quanto mai ambigua. Ufficialmente, Washington segue la One China Policy: riconosce solo una Cina, ovvero la Repubblica Popolare. Ma ha stretti rapporti anche con Taiwan, che è pronta a difendere in caso di ingerenze dell’ingombrante vicino. Le radici del “Principio dell’Unica Cina” affondano nella rottura tra l’Unione Sovietica e la Cina comunista di Mao: nel 1972, in piena Guerra Fredda, il presidente Usa Richard Nixon stupì infatti il mondo con un viaggio a Pechino, che avviò la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. In quanto regime comunista, gli Stati Uniti si erano rifiutati di riconoscere il governo cinese guidato da Mao nel 1949 e da allora i contatti diplomatici erano ai minimi termini.

Cina-Taiwan: perché ci sono forti tensioni, la posizione degli Usa e gli scenari futuri. Le cose da sapere.
Lo storico incontro tra Mao Zedong e Richard Nixon (AFP via Getty Images)

La visita di Nixon portò a un comunicato congiunto, che stabiliva l’esistenza di una sola Cina, senza però specificare quale dei due governi fosse legittimo. Gli States ruppero formalmente i legami diplomatici con Taiwan, riconobbero la Repubblica Popolare nel 1978, anno in cui chiusero l’ambasciata a Taipei. A stretto giro, numerosi furono i Paesi (tra cui Giappone, Canada, Australia, Italia e Germania dell’Ovest) che fecero lo stesso, spostando le rappresentanze diplomatiche dall’isola alla terraferma. Tuttavia, nel 1979 il Congresso Usa approvò il Taiwan Relations Act, con l’obiettivo di «mantenere la pace, la sicurezza e la stabilità nel Pacifico occidentale» e di «promuovere la continuazione delle relazioni commerciali, culturali e di altro tipo tra il popolo degli Stati Uniti e il popolo di Taiwan». Nello stesso atto, Washington si impegnava a fornire «armi di carattere difensivo», specificando che qualsiasi sforzo cinese in direzione di una annessione forzata di Taiwan sarebbe equivalso a una gravissima minaccia alla sicurezza stessa degli Stati Uniti. Tanti presidenti Usa sono passati da allora, ma niente è cambiato: l’ambigua politica della One China Policy è ancora salda sotto l’amministrazione Biden.

I fitti rapporti commerciali tra Pechino e Taipei

La Repubblica di Cina, ovvero Taiwan, non è riconosciuta né dalla Repubblica Popolare Cinese (la Cina continentale propriamente detta), né dagli altri quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Francia), né dagli Stati dell’Unione europea, né dal Canada. Tuttavia, intrattiene con tutti rapporti di collaborazione e di commercio. Taiwan, che tra gli Anni Sessanta e Novanta è stata una delle quattro “tigri asiatiche” insieme a Hong Kong, Singapore e Corea del Sud, è il principale produttore di semiconduttori al mondo: forte di una tecnologia che la terraferma non può eguagliare, produce il 50 per cento della quota mondiale ed esporta principalmente proprio verso la Cina: nel 2021, le vendite alle fabbriche cinesi, che li utilizzano per smartphone e altri dispositivi elettronici, sono aumentate del 24,4 per cento. E in generale è florido il commercio bilaterale tra i due Paesi, amici-nemici: sempre l’anno scorso, il giro d’affari è aumentato del 26 per cento, superando i 328 miliardi di euro.

Tensione Cina-Taiwan (e Usa): cosa può succedere

La tensione nello stretto di Formosa sta crescendo, ma l’escalation dove potrebbe portare? Secondo diversi analisti si tratta solo di “scena” da parte di Xi Jinping, che in vista delle elezioni di ottobre, con cui punta a ottenere il terzo mandato, vuole mostrare i muscoli. Il presidente cinese, d’altra parte, avrà osservato con attenzione quanto successo negli ultimi mesi in Ucraina, considerata un “banco di prova” per le ambizioni di Pechino su Formosa. Ovviamente, in caso di conflitto ci sarebbe una sproporzione tra le forza in campo: la Cina potrebbe schierare quasi due milioni di militari, mentre Taiwan non supererebbe i 170 mila. Taipei, attaccata da Pechino, probabilmente non resisterebbe a lungo. Tuttavia, un conflitto tra i due Paesi destabilizzerebbe tutta l’area geografica, provocando potenzialmente gli interventi di Australia e Giappone in sostegno a Taiwan, in cui soccorso accorrerebbero (da accordi del 1979) anche gli Stati Uniti. E non è esattamente lo scenario a cui punta Xi Jinping.