L’Isola dei formosi
Riflettori puntati su Taiwan. La tensione tra la 'provincia ribelle' e Pechino aumenta di giorno in giorno e preoccupa il Giappone. Mentre Taipei beffa il Dragone sui vaccini. Lo scenario.
Non c’è solo Hong Kong da tenere d’occhio, quando si parla di Cina. Se l’ex colonia britannica, nei fatti, è stata risucchiata nella giurisdizione di Pechino con la nuova legge sulla sicurezza nazionale (mentre la nuova legislazione sulla privacy potrebbe far scappare le big tech), a preoccupare è anche Taiwan. La ‘provincia ribelle’, riconosciuta come Stato indipendente solamente da 15 nazioni (compreso il Vaticano), è infatti di recente alle prese con le nuove – ma fondamentalmente mai sopite – mire espansionistiche di Pechino. Che a giugno ha lanciato un’esercitazione militare senza precedenti nello stretto di Taiwan, col solo intento di provocare. E, a inizio luglio, il leader cinese Xi Jinping ha parlato senza mezzi termini di «riunificazione» del Dragone con l’isola, causando la risposta infastidita di Taipei. Il 12 luglio, però, le autorità taiwanesi si sono prese una piccola rivincita, riuscendo – grazie all’aiuto di due giganti dell’hi tech – a rifornirsi di vaccini senza passare da Pechino. In passato, proprio l’influenza della Repubblica Popolare aveva impedito che milioni di dosi arrivassero nell’isola, causando l’andamento lentissimo della campagna vaccinale.
Tokyo: «Difendere Taiwan dalla Cina»
Le provocazioni di Pechino, i venti di guerra e le minacce stanno allarmando non solo i tawanesi ma l’intera area. A partire dal Giappone, tra i principali attori regionali e diretto interessato nelle vicende tra Cina e Taiwan. Secondo il ministero della Difesa del Giappone le tensioni militari attorno all’isola «minacciano la pace e la stabilità nell’Asia orientale», mentre l’equilibrio di potere nell’area si sposta in favore di Pechino. «È necessario più che mai prestare attenzione alla situazione», si legge nell’annuale rapporto del ministero della Difesa, perché è possibile che scoppi una crisi. Taro Aso, vicepresidente giapponese, qualche giorno fa ha affermato che Tokyo e Washington dovrebbero unire le forze per difendere Taiwan da qualsiasi invasione, frasi che Pechino non particolarmente gradito.
La Cina e le provocazioni contro Taiwan
La Cina non arretra. Lo scorso 15 giugno, Pechino ha effettuato un blitz con 28 caccia nella zona d’identificazione di difesa aerea dell’isola. Senza violarne lo spazio aereo, mostrando i muscoli in maniera abbastanza evidente. Una risposta del Dragone a una dichiarazione del G7 circa la necessità di assicurare «l’importanza della pace e della stabilità attraverso lo stretto di Taiwan». Lo stesso uso del nome “Taiwan” è considerato un affronto per la Cina, che ritiene l’isola “parte inalienabile” del proprio territorio pur non avendolo mai governato. A riguardo, il primo luglio, in occasione del centesimo anniversario dalla fondazione del Partito comunista cinese, Xi Jinping aveva usato parole molto chiare: «Risolvere la questione di Taiwan e realizzare la completa riunificazione della madrepatria sono i compiti storici incrollabili del Partito comunista cinese e l’aspirazione comune di tutto il popolo cinese. Tutti i figli e le figlie della Cina, compresi i compatrioti su entrambi i lati dello stretto di Taiwan, devono lavorare insieme e andare avanti in solidarietà, distruggendo risolutamente qualsiasi complotto per l’indipendenza di Taiwan». La risposta di Taipei, che già in occasione dell’esercitazione aveva detto di essere pronta alla «guerra» con Pechino, è stata quella di respingere gli attacchi al mittente e di bollare la Cina come una «dittatura».
I piani cinesi per un attacco a Taiwan
Poco dopo, alle parole di Xi era seguita la pubblicazione, sulla rivista cinese Naval and Merchant Ships, di un piano segreto – ma neanche troppo – della Cina per attaccare, invadere e annettere Taiwan alla terraferma. Un piano in tre fasi: nella prima si utilizzerebbero missili balistici per distruggere aeroporti, basi e centri di comando dell’isola. Nella seconda verrebbero usati missili da crociera per colpire i depositi di munizioni e le infrastrutture, e nella terza ci sarebbe lo sbarco delle truppe di Pechino nella provincia. Da anni gli analisti internazionali ipotizzano gli schemi di invasione della Cina nell’isola, ai quali Taipei si è preparata anche comprando armi e sistemi di difesa dagli americani. Ma, sul campo, la battaglia sarebbe evidentemente impari: l’esercito dell’isola conta 165 mila unità, quello di Pechino 2 milioni. E, se Taiwan ha speso nel 2020 15 miliardi per la difesa, Xi ne ha stanziati 200.
Taiwan beffa Pechino sui vaccini
In tutto questo va anche aggiunto il peso della pandemia, che sull’isola si sta facendo sentire particolarmente. Le autorità hanno accusato Pechino di aver negato l’arrivo di cinque milioni di dosi di vaccino, e al momento solo lo 0,3 per cento della popolazione è stata completamente immunizzata. Il ministro della Salute Chen Shih-chung ha dichiarato che, a gennaio, era pronto un contratto con BioNTech per la fornitura delle dosi, ma all’ultimo momento l’azienda tedesca avrebbe chiesto di ritirare la formula «il nostro Paese» dal comunicato del governo, e non avrebbe accettato nemmeno il cambio di denominazione con «Taiwan». A farne le spese, i cittadini. Ora, però, in loro aiuto sono arrivati i giganti big tech. Il 12 luglio, infatti, i due colossi Tmsc e Foxconn (la più grande fabbrica di semiconduttori al mondo e una potenza nel campo dei componenti elettronici), con sede nell’isola, hanno acquistato da BioNTech 10 milioni di dosi di vaccino da donare al governo, per un costo totale di 295 milioni di dollari. Una manna dal cielo, per una popolazione allo stremo. E uno schiaffo in faccia non da poco per l’ingombrante vicino.