Un patto implicito per spartirsi l’Africa in due sfere di influenza: una controllata dalla Cina, che nell’ultimo ventennio ha investito nella regione centinaia di miliardi di dollari costruendo infrastrutture di ogni tipo, e l’altra dalla Russia, che è invece riuscita a imporsi in loco grazie all’offerta di servizi prettamente militari, come armi e mercenari, tanto apprezzati da numerosi, instabili, governi locali. È così, seguendo questa complementarietà, che la partnership stretta tra Xi Jinping e Vladimir Putin potrebbe allungare la sua ombra anche sul Continente. A maggior ragione dopo l’ultimo incontro tenutosi a Mosca fra i due leader che hanno deciso di estendere il loro matrimonio di convenienza fino al 2030. Con l’obiettivo di creare un nuovo ordine globale, estromettendo l’Occidente. Già, perché per riuscire nell’intento, Pechino e Mosca non possono attaccare frontalmente Europa e Stati Uniti. Al contrario, devono lavorare ai fianchi, erodendo il soft power europeo e americano nei Paesi in via di sviluppo, e al contempo inserirsi nei vuoti di potere e nelle crisi presenti in America Latina, Sudest asiatico ma soprattutto Africa. A questo proposito, a margine del faccia a faccia con Xi, Putin ha pronunciato parole emblematiche che non dovrebbero essere trascurate: «Siamo favorevoli all’utilizzo dello yuan cinese per gli accordi tra la Russia e i Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Sono fiducioso che questi accordi in yuan si svilupperanno tra i partner russi e le loro controparti nei Paesi terzi». Yuan, accordi, Africa: ecco i tre ingredienti necessari per dare forma allo scheletro del piano sino-russo.

La spartizione dell’Africa: moneta cinese, armi russe
L’Africa può essere considerata la più importante cartina al tornasole della partnership sino-russa. Se non altro perché le condizioni della regione consentono ai punti di forza cinesi e russi di amalgamarsi in vista di eventuali applicazioni in altri contesti geopolitici. In particolare, se l’arretratezza economica della maggior parte dei Paesi africani è una calamita perfetta per attrarre i capitali cinesi, l’instabilità politica e l’assenza di sicurezza di quegli stessi governi richiamano i contractor e le armi del Cremlino, in una parola la Wagner. E ancora: se Mosca è interessata a scambiare con le autorità locali armi per materie prime, nell’ambito di un rapporto quasi di “usa e getta”, Pechino guarda al lungo periodo, con l’obiettivo di instaurare una relazione politica duratura con quante più nazioni africane possibili, al fine di coinvolgerle in progetti globali (come ad esempio la Belt and Road Initiative). Il collegamento ideale per riunire le esigenze di Putin e Xi si chiama yuan, o meglio, Renminbi, la valuta ufficiale cinese. Dal momento che la Federazione Russa deve fare i conti con le ingenti spese per sostenere la guerra in Ucraina, aggravate dal peso delle sanzioni economiche occidentali, il presidente russo è costretto ad affidarsi al Dragone per scongiurare l’implosione dell’economia. La Cina aspettava da tempo un’occasione del genere: mettere la “moneta del popolo” (la traduzione letterale di Renminbi) a disposizione di chi potesse contribuire alla sua internazionalizzazione. Senza più poter maneggiare dollaro ed euro negli scambi internazionali, la Russia ha così accettato di puntare tutto sul RMB per rimpinguare le sue riserve internazionali e rilanciare il commercio estero. A quanto pare, anche in Africa.

Il ruolo dello yuan e il caso ghanese
Utilizzando il RMB negli scambi commerciali con i Paesi africani, la Russia favorirebbe la circolazione della moneta cinese in un’area geopoliticamente rilevante e rilancerebbe il sogno di Pechino di creare un’alternativa mondiale al dollaro statunitense. Indipendentemente dall’esito del progetto, come ha evidenziato Milano Finanza, la convergenza valutaria sino-russa richiama alla mente un vecchio progetto sponsorizzato dal Ghana. Accra aveva infatti messo sul tavolo l’idea di creare una “moneta unita africana”, l’Eco, con l’intenzione di superare il franco Cfa, ovvero la moneta coloniale, ancora in uso in molteplici Stati africani francofoni o ex colonie, in modo tale da estendere la nuova arrivata ad altre nazioni, come la Nigeria. La stabilità di Eco sarebbe stata garantita da un legame con il RMB cinese per evitare oscillazioni pericolose per i mercati, seguendo lo stesso ancoraggio che l’euro ha nei confronti del Cfa. Nel cosiddetto progetto di moneta unica della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), 15 Paesi africani e 350 milioni di cittadini del continente avrebbero cambiato registro e dimenticato per sempre il predominio francese. L’idea iniziale del Ghana è tuttavia tramontata nel 2019, quando il presidente francese Emmanuel Macron, in visita in Costa d’Avorio, ha annunciato la fine del dominio del franco Cfa aprendo la strada all’Eco, ancorata all’euro (e non allo yuan) e adottata solo dai governi dell’Unione Economica e Monetaria ovest-africana (UEMOA). Adesso quel piano potrebbe ritrovare linfa grazie al gioco di sponde portato avanti da Russia e Cina. In tal caso, una ipotetica yuanizzazione dell’Africa consentirebbe alla Cina, da un lato, di sfruttare la Russia per picconare il dominio mondiale del dollaro, e dall’altro di accrescere la propria influenza in una regione fondamentale per gli equilibri energetici.

Mosca vassallo di Pechino
Tutto rose e fiori, dunque, tra Cina e Russia? Al momento sembrerebbe di sì, anche se è possibile registrare una prima crepa del partenariato: Mosca rischia di trasformarsi in un vassallo economico di Pechino, e il dossier del RMB in Africa ne è una dimostrazione. Putin accetterà questo ruolo subalterno? È una domanda che si fanno molti analisti ma alla quale nessuno è in grado di fornire risposte certe. Numeri alla mano, a febbraio quella russa era la quarta economia più grande del mondo – ad esclusione di Hong Kong – per volumi di scambio del RMB, secondo i dati del sistema di pagamenti globali Swift. Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, era fuori dalle prime 15 prime posizioni. L’incremento dell’utilizzo della valuta cinese nel commercio russo rispecchia dunque lo sbilanciamento della Russia nei confronti della Cina.