Cina, il ritorno del neomaoismo preoccupa Xi Jinping

Federico Giuliani
08/12/2022

L'immagine del Grande Timoniere sventolata durante le recenti proteste è un segnale di allarme per Xi Jinping e il Partito Comunista. Il neomaoismo, corrente ideologica termometro dell'insofferenza della popolazione, torna a fare sentire la sua voce.

Cina, il ritorno del neomaoismo preoccupa Xi Jinping

Lo scorso novembre, tra i cittadini scesi in piazza in varie città della Cina c’era chi protestava contro la Zero Covid Policy e chi chiedeva le dimissioni di Xi Jinping, fautore della linea durissima contro il virus. Alcuni intonavano l’inno nazionale cinese, altri le note dell’Internazionale. C’erano studenti che gridavano slogan in nome di una generica “libertà”, persone che sollevavano semplici fogli di carta bianchi in formato A4 – allusione contro la censura – e, infine, tra le numerose facce riprese dalle telecamere, c’era pure qualcuno che teneva tra le mani una foto di Mao Zedong. Proprio quest’ultimo particolare potrebbe aver fatto scattare più di un campanello d’allarme dalle parti di Zhongnanhai, sede del Partito Comunista Cinese.

Il cartellone di Mao nelle proteste di piazza

Fino a pochi anni fa criticare il PCC con una simile enfasi sarebbe stato impensabile, per di più dando vita a proteste politiche socialmente trasversali e distribuite contemporaneamente in più megalopoli del Paese. Farlo chiedendo implicitamente al governo di ricordarsi le proprie radici riesumando lo spettro del Grande Timoniere è ancora più eclatante e inaspettato. Chi ha sollevato l’immagine sapeva che non avrebbe dovuto fare nient’altro: né scrivere ulteriori slogan né cantare cori di alcun tipo. L’effige dell’ex leader cinese parla da sola, ed è un chiaro tentativo di scuotere il Partito, di fargli capire l’urgenza di tornare a occuparsi del benessere della popolazione. Un benessere evaporato, mese dopo mese, in seguito allo scoppio della pandemia. Paragonare tuttavia le recenti proteste alle sommosse del 1989 appare un esercizio quanto meno azzardato, visto che le prime proseguirono per mesi e coinvolsero milioni di persone, mentre le seconde sembrerebbero aver dato vita ad un fuoco di paglia domato dal governo nel giro di un paio di giorni, tra l’altro senza neppure un uso eccessivo di violenza.

Cina, il ritorno del neomaoismo preoccupa Xi Jinping
Una protesta a Shanghai (Getty Images).

Lo spettro del neomaoismo e l’insofferenza della popolazione

Eppure lo sguardo di Mao sul cartellone è sufficiente a rievocare l’ombra del neomaoismo, corrente politica cinese spia di una certa insofferenza popolare. Si tratta di un movimento di sinistra radicale che, soprattutto negli anni passati, era riuscito a fare proseliti tra la popolazione più istruita della Cina. Va ricordato che il Partito ancora oggi non è un monolite. Tra le varie faglie, quella più profonda, separa populisti ed elitisti. I primi chiedono sostanzialmente più Stato e meno mercato; i secondi sono ben felici di aver accolto la progressiva apertura cinese alle riforme e al mercato. Tra i populisti troviamo la corrente dei neomaoisti, marxisti ultra ortodossi nostalgici dell’epoca di Mao. Periodo durante il quale lo Stato cinese garantiva a tutti uguaglianza e assistenza, dalla culla alla tomba. L’ingresso della Cina nel mondo globalizzato ha sì trasformato il Paese in una potenza mondiale, creato ricchezza e trasformato piccoli villaggi in megalopoli scintillanti, ma ha anche lasciato a terra un numero non trascurabile di vinti. Gli agricoltori delle campagne più remote, i lavoratori delle fabbriche statali chiuse perché inefficienti oggi non sanno più qual è il loro ruolo in una società sempre più competitiva. È anche per questo che Xi ha inserito in cima alla sua agenda politica la lotta contro la povertà, traguardo ufficialmente raggiunto nel febbraio 2021. Le restrizioni anti Covid hanno tuttavia schiacciato intere categorie di lavoratori, tra limitazioni, chiusure e lockdown di massa. La sopportazione è arrivata al limite, e alcuni cinesi hanno dimostrato provocatoriamente – non sapremo mai fino a che punto – di preferire un ritorno a Mao all’attuale sistema Xinocentrico.

Cina, il ritorno del neomaoismo preoccupa Xi Jinping
Una manifestazione a Pechino (Getty Images).

Lo scandalo di Bo Xilai e il nuovo corso di Xi

Xi Jinping dal canto suo accetta ed è orgoglioso dell’eredità maoista, ma non può simpatizzare per i neomaoisti. E per un motivo molto semplice. Il timore del Partito è che questo movimento possa rompere l’armonia e influenzare una “marea rivoluzionaria” nel Paese (va ricordato che Xi intende mantenere la stabilità a qualsiasi costo). Il neomaoismo è un fenomeno ciclico ed è un termometro con il quale misurare la tensione socio-politica in un dato momento storico. Quando spuntano violenti rigurgiti neomaoisti, significa che nelle dinamiche politiche e redistributive qualcosa è andato storto e che il PCC deve correre ai ripari onde evitare la rottura dell’armonia sociale. A complicare la situazione poi il ritorno di Mao nelle piazze: le autorità si trovano infatti in difficoltà nel censurare l’immagine del Grande Timoniere. Il Partito si è però dimostrato inflessibile quando, tra il 2011 e il 2012, ha colpito senza pietà Bo Xilai, figura chiave del movimento neomaoista. Capo del Partito di Chongqing, nella Cina sud-occidentale, nonché membro del potente Politburo, Bo era uno dei 25 più alti funzionari del PCC. Carismatico e gentile, era una figura di spicco a cui piaceva stare sotto i riflettori, una caratteristica che lo distingueva dagli altri politici cinesi. È stato rimosso dal suo incarico di capo del Partito a Chongqing nel marzo 2012 e tre anni dopo è stato accusato di concussione, corruzione e abuso di potere e, in seguito, condannato all’ergastolo. Durante il suo mandato, aveva ricevuto il pieno sostegno dal movimento e ne aveva ricalcato slogan e modus operandi. Un affronto impossibile da sopportare per Pechino. Archiviato il caso Bo Xilai, il neomaoismo ha dovuto adattarsi all’amministrazione di Xi Jinping. Quest’ultimo, appena salito al potere, ha subito chiesto che qualsiasi menzione di Bo Xilai fosse “cancellata” a livello ufficiale.