Negli ultimi tre anni hanno dovuto sopportare di tutto, nel nome della tolleranza zero contro il Covid. Sono stati costretti a rigidi lockdown, confinati nelle case con sigilli alle porte e barriere di contenimento. Hanno subito irruzioni in casa, con i poliziotti alla ricerca di contagiati. Sono stati sorvegliati da droni e ammoniti da cani robot, ma anche sottoposti a test di massa e deportati in campi per la quarantena. Alla fine, i cinesi sono esplosi: all’avvicinarsi dei tre anni dallo scoppio della pandemia, la Repubblica Popolare è in questi giorni percorsa da un’ondata di proteste senza precedenti contro le misure imposte dal governo. E non solo.

La scintilla che ha fatto scattare l’ondata di proteste
Le proteste sono scoppiate dopo la morte di 10 persone avvenuta a causa di un incendio scoppiato giovedì scorso a Urumqi, nella regione dello Xinjiang. Le porte del condominio dove si sono propagate le fiamme erano chiuse dall’esterno con dei sigilli e il palazzo era circondato da barriere di contenimento che hanno rallentato i soccorsi.
Families in a hi-rise in China were locked into their apartments as their building caught fire. Urumqi, in Xinjiang Province
They burned alive as they couldn’t escape and no one could get to them in time
This is directly on the CCP and Xi’s Zero-Covid lockdown strategy pic.twitter.com/AWQ4oJA7Qg
— Jack Posobiec 🇺🇸 (@JackPosobiec) November 28, 2022
Sui social è stato diffuso un video che mostrava un camion dei pompieri che irrorava l’edificio con l’acqua da lontano perché impossibilitato ad avvicinarsi visto che la zona era confinata a causa delle restrizioni Covid. L’indomani sono esplose proteste di piazza. Negli stessi giorni scoppiavano i disordini nello stabilimento Foxconn di Zhengzhou, dove viene assemblato l’80 per cento degli smartphone Apple. Restrizioni anti-Covid e bonus non pagati alla base della rivolta dei dipendenti, che si sono raggruppati all’esterno della maxi-fabbrica (300 mila i lavoratori), dove hanno fronteggiato poliziotti in assetto antisommossa e funzionari con tute ignifughe.
Da Urumqi a Pechino e Shanghai: i centri della protesta
Tra le città scosse dalle proteste c’è la capitale Pechino. Qui le manifestazioni di dissenso sono partite dall’Università Tsinghua e si sono propagate in altre zone della metropoli. Dal cuore politico a quello economico della Cina, anche a Shanghai i cittadini sono scesi in piazza. Anzi, nella strada intitolata proprio alla città di Urumqi, dove si sono riunite per una veglia a lume di candela in ricordo delle vittime dell’incendio.
Seemingly spontaneous protest converging again at Urumqi Road in Shanghai, despite heavy police presence. People are shouting “let them go 放人!” 😮 Apparently in reference to those arrested at previous protests. pic.twitter.com/JjOvtcqFnr
— Emily Feng 冯哲芸 (@EmilyZFeng) November 27, 2022
Le proteste si sono poi propagate in altre aree di Shanghai, dove all’inizio del 2022 un lockdown di due mesi ha lasciato molti senza accesso a cibo, cure mediche o altri beni di prima necessità, provocando un profondo risentimento nella popolazione. Altre rivolte popolari sono state registrate in grandi città come Guangzhou, Chengdu, Lanzhou e Wuhan, città dove ha avuto origine la pandemia di Covid.
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I fogli bianchi contro la censura del governo
Nelle varie città cinesi, i manifestanti sono scesi in piazza sollevando fogli di carta bianchi, simbolo della protesta contro la censura. Visto che ogni singola manifestazione di dissenso in Cina viene repressa, il foglio bianco rappresenta tutto ciò che non si può dire. Come forma di protesta, è stato usato anche in altri Paesi dove la censura è molto forte come in Russia nelle prime settimane della guerra in Ucraina. Nella tradizione cinese, inoltre, il bianco è il colore del lutto: i fogli alzati al cielo dai manifestanti assumono una doppia valenza dopo quanto accaduto a Urumqi. Sui social network cinesi molti utenti hanno pubblicato immagini completamente bianche, in segno di solidarietà con i manifestanti.
Amazing photos coming from the Communication University of China, Nanjing, where students are protesting, making their voices heard at a time of growing unrest in light of zero Covid, following the Urumqi fire. pic.twitter.com/uFp7ZeboQL
— Manya Koetse (@manyapan) November 26, 2022
I manifestanti chiedono la rimozione del presidente Xi Jinping
Dal simbolo delle proteste agli slogan intonati dai manifestanti, è chiara l’insofferenza di parte della popolazione non solo nei confronti delle misure anti-Covid, ma anche di chi le ha varate. Ovvero Xi Jinping, che ha appena ottenuto uno storico terzo mandato come segretario del Partito Comunista Cinese. A Pechino sono (di nuovo) apparsi striscioni di protesta contro il presidente, poi rimossi. Uno recitava: «Non vogliamo fare test per il Covid, vogliamo mangiare. Non vogliamo essere controllati, vogliamo la libertà. Non vogliamo bugie, vogliamo dignità. Non vogliamo la Rivoluzione Culturale, vogliamo riforme. Non vogliamo un leader, vogliamo votare. Non siamo schiavi, siamo cittadini». L’altro diceva: «Scioperate tutti, rimuoviamo Xi Jinping». Il presidente cinese da tre anni sta portando avanti una brutale politica di repressione del virus, costata tantissimo alla popolazione, in termini psicologici ed economici. A questo si aggiunge una sistematica violazione dei diritti umani, perpetrata in alcune zone della Repubblica Popolare; basti pensare al genocidio culturale degli uiguri. Il dissenso appare ormai radicato: per le strade delle principale città cinesi in tanti hanno intonato L’Internazionale, già utilizzata nel 1989 durante le proteste a favore della democrazia in piazza Tiananmen a Pechino, prima della repressione da parte delle truppe armate.

La risposta delle forze dell’ordine nel Paese della tolleranza zero
Se in alcune città della Cina le proteste si sono esaurite pacificamente nel fine settimana, in altre vanno ancora avanti e in altre ancora sono terminate dopo le manganellate della polizia. Le proteste di Shanghai di sabato hanno portato a tafferugli tra manifestanti e agenti, con arresti effettuati nella notte. Tornati in strada ieri, i cittadini hanno incontrato una risposta più aggressiva da parte delle forze dell’ordine: i video diffusi sui social mostrano scene caotiche con poliziotti che spingono, trascinano e picchiano i manifestanti. Diverse le persone fermate: la Bbc ha dichiarato che uno dei suoi reporter in Cina, Ed Lawrence, è stato arrestato e picchiato dalla polizia, mentre documentava le proteste. Gli agenti hanno rimosso la targa della via di Shanghai dove è scoppiata la rivolta: difficile possa servire a qualcosa.
Shanghai, the “Urumqi Road” road sign was removed because its name symbolizes the major fire that broke out in Urumqi, in order to prevent people from continuing to hold commemorative activities on this road.#TheGreatTranslationMovement pic.twitter.com/K8yuZK68ZT
— The Great Translation Movement 大翻译运动官方推号 (@TGTM_Official) November 27, 2022
La Cina sta affrontando il picco dei contagi
In tutto questo, nonostante le rigide misure del governo la Cina sta affrontando la peggiore ondata di Covid-19 dall’inizio della pandemia, con numeri record (ma comunque bassi in relazione alla popolazione): sabato, secondo la Commissione sanitaria nazionale, sono stati registrati su scala nazionale quasi 40 mila nuove positività.