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Cina, come è fallito il progetto calcistico di Xi Jinping

Il presidente cinese ha perso la sua scommessa: nel 2012 voleva trasformare la Cina in potenzia calcistica, tra ambizioni Mondiali e sviluppo del campionato locale. Ma pandemia e crisi immobiliare hanno rovinato tutto. Così ora gli stranieri fuggono e gli investimenti sono spariti.

9 Dicembre 2022 09:23 Federico Giuliani
Cina, come è fallito il progetto calcistico di Xi Jinping

Il sogno che che diventa incubo. Gli scintillanti stadi, pagati centinaia di milioni di dollari, pronti a essere etichettati come i nuovi elefanti bianchi. Le migliori squadre della Chinese Super League che si sgretolano, e una nazionale in caduta libera, lontana anni luce dai grandi palcoscenici per lei immaginati soltanto fino a pochi anni fa. In Cina il pallone sembra essersi letteralmente sgonfiato, così come il grande progetto calcistico avviato da Xi Jinping nel 2012 a suon di ingenti investimenti. Appena salito al potere, l’attuale presidente cinese introdusse il concetto di Grande sogno cinese, un perfetto contenitore per la sua ideologia politica. Nel contesto del cosiddetto “Socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, e cioè il sistema politico della Cina, questo termine iniziò a indicare i principi, tanto individuali quando nazionali, da perseguire per realizzare la prosperità della Repubblica popolare, la gloria nazionale e un futuro luminoso. Ebbene, tra le sue molteplici componenti, il Sogno cinese includeva anche una componente sportiva, più nello specifico calcistica.

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Xi Jinping con il presidente della Fifa Gianni Infantino. (Getty)

Lo scoppio della pandemia ha sancito la fine del progetto di Xi

Attraverso lo strumento del calcio, pompato all’ennesima potenza da investimenti miliardari diretti dall’alto, coadiuvato dai grandi conglomerati di Stato e tirato a lucido dall’arrivo in massa di grandi star del pallone, Pechino avrebbe raggiunto almeno due importanti obiettivi. Innanzitutto, una Cina gigante non solo nell’economia e nella geopolitica, ma anche nel gioco del calcio, avrebbe consentito al Partito comunista cinese di incamerare enormi riserve di soft power da spendere in altri tavoli. Oltre a tutto ciò, nei piani del governo cinese, attraverso il rilancio della Chinese Super League, il campionato locale si sarebbe trasformato in una gallina dalle uova d’oro, capace di generare ritorni economici da favola grazie ad una platea potenziale di 1,4 miliardi di persone. Le grandi aziende statali sarebbero inoltre riuscite a farsi conoscere oltre la Muraglia, in Asia e pure in Occidente, grazie ad altri investimenti mirati. Dopo un inizio scoppiettante, il sogno calcistico cinese si è arenato in un nulla di fatto. Lo scoppio della pandemia ha probabilmente sancito la parola fine al progetto iniziale auspicato da Xi.

Cina, come è fallito il progetto calcistico di Xi Jinping
Tifosi cinesi. (Getty)

Qualificazione al Mondiale e candidatura per ospitarne uno: sogni infranti

Xi tratteggiò i contorni del sogno calcistico cinese 10 anni fa. La nazionale cinese si sarebbe dovuta qualificare per la Coppa del Mondo, la Cina avrebbe dovuto ospitare il Mondiale sul suo immenso territorio e, come terzo e ultimo step, la stessa nazionale avrebbe dovuto sollevare al cielo il trofeo mondiale. Al 2022 non è successo niente di tutto questo. La Cina vanta una sola partecipazione al Mondiale. Il primo e unico appuntamento coincide con l’esordio del 2002, finito in malo modo con l’uscita alla fase ai gironi, con zero gol segnati e altrettanti punti conquistati. Appariva in discesa, invece, la strada che avrebbe dovuto portare lo svolgimento della Coppa d’Asia nella Repubblica popolare nel 2023, preludio alla candidatura per la successiva Coppa del Mondo. Non è andata così, perché con l’emergenza sanitaria la Cina si è chiusa a riccio rinunciando all’opportunità sportiva. Oggi gli operai, quando i blocchi anti Covid lo permettono, continuano a costruire gli stadi pianificati per il suddetto appuntamento.

Cina, come è fallito il progetto calcistico di Xi Jinping
Marcello Lippi, qui in una foto del 2019, è stato allenatore del Guangzhou. (Getty)

Super stadi senza club che hanno abbastanza tifosi per riempirli

In tutto il Paese 10 città hanno investito miliardi di dollari per costruire otto nuovi impianti e rinnovarne altri due per la Coppa d’Asia cinese che, alla fine, non ci sarà. I cartelloni pubblicitari che annunciano con orgoglio lo svolgimento del torneo sono ancora visibili intorno allo stadio dei lavoratori, nel cuore di Pechino. La sua modernizzazione, ha sottolineato Afp, sarebbe costata 484 milioni di dollari. Più a Sud, nella città costiera di Xiamen, sta sorgendo l’Erget Stadium, un futuristico stadio da 60 mila posti che vedrà luce in una località priva di una squadra locale di alto livello. Che fine faranno queste infrastrutture? Una volta che il Covid sarà un lontano ricordo, difficilmente i club militanti nel campionato cinese riusciranno a radunare abbastanza tifosi per riempirli. Nel frattempo, in campo la nazionale maschile continua a collezionare magre figure (a differenza di quella femminile che si è tolta molte soddisfazioni). Le problematiche elencate non sono affatto una novità. Nel 2018 Foreign Policy scriveva che trasformare la Cina in una potenza calcistica non sarebbe stato affatto facile. «I venti politici potrebbero cambiare in qualsiasi momento, prosciugando il sostegno finanziario e governativo», ammoniva la rivista. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il divario tra il potenziale calcistico della Cina e la sua realtà è sempre più grande. Nel calcio, il gigante asiatico continua a deludere.

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Prosegue la costruzione di stadi avveniristici in Cina. (Getty)

I motivi del fallimento: il crollo dei colossi immobiliari

Per capire le ragioni del fallimento del sogno calcistico di Xi bisogna considerare che in Cina, qualsiasi investimento o flusso di denaro ingente, segue i diktat della politica. Finché dal Partito, e dagli organi istituzionali connessi, l’ordine impartito era quello di investire nel pallone, i più grandi magnati del Paese, come gli sviluppatori immobiliari Wang Jianlin di Wanda Group e Xu Jiayin di Evergrande Group, hanno messo sul tavolo milioni e milioni di dollari. Per rafforzare i club locali da loro controllati, acquistare fuoriclasse di fama globale e pure chiudere operazioni in Europa. Ma una volta che il governo ha deciso di chiudere i rubinetti, limitando i folli investimenti delle aziende, la situazione è cambiata radicalmente. Basta pensare che soltanto nel 2016 lo Shanghai Sipg acquistava il trequartista brasiliano Oscar per 50 milioni di sterline, assieme a tante altre star pagate a peso d’oro. Nel 2021, Oscar è rimasto in Cina; gli altri se ne sono andati. Le autorità, allarmate dal denaro che lasciava il Paese, hanno introdotto «tasse sui trasferimenti» e tetti salariali sempre più rigidi. Diversi club cinesi sono comunque falliti. Lo Jiangsu FC ha chiuso i battenti, con il suo proprietario, Suning, lo stesso dell’Inter, che ha deciso di staccare la spina. Il Tianjin Tianhai ha cessato di esistere, mentre il Guangzhou Fc, vincitore di otto campionati cinesi nell’ultimo decennio, naviga nei bassifondi della massima serie cinese. Il suo proprietario di maggioranza, Evergrande, un gigante immobiliare, avrebbe accumulato debiti per 225 miliardi di sterline, rinunciando a finanziare il club con faraoniche campagne acquisti.

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Xi Jinping alle prese con un pallone. (Getty)

Usare competenze straniere e poi sviluppare le proprie: ma il calcio non funziona come l’industria

Xi voleva che il movimento calcistico cinese accompagnasse l’ascesa del Dragone, non che le aziende sperperassero soldi al vento. Nel corso degli anni sono stati introdotti vari paletti per limitare i danni. L’acquisto di giocatori stranieri è stato frenato con regolamenti che richiedevano ai club di abbinare le quote di trasferimento con investimenti nelle proprie accademie, o contribuendo a un fondo centrale di base amministrato dalle autorità calcistiche cinesi. Per accelerare la formazione dei giovani giocatori è stato chiesto alle squadre che, per ogni straniero impiegato, schierassero in campo un giocatore nazionale cinese under 23. Nel marzo 2015 l’Ufficio generale del Consiglio di Stato aveva pubblicato un piano scandito in 50 punti per delineare il percorso verso il successo calcistico della Repubblica popolare. Al netto dei numerosi problemi sistemici (corruzione e investimenti a vuoto su tutti), la road map calcistica di Pechino possedeva un’enorme criticità. Per sviluppare il movimento calcistico, la Cina ha utilizzato gli stessi mezzi adottati per far sbocciare le multinazionali cinesi. In primis: attingere alle competenze straniere in una fase iniziale, salvo poi sostituirle in divenire con competenze cinesi. Il calcio non segue però le stesse regole dell’universo aziendale. E quando il Dragone ha capito che un’organizzazione a breve termine non avrebbe portato da nessuna parte, non ha potuto far altro che fermarsi. Nell’ultimo campionato una dozzina delle 18 squadre della Chinese Super League erano supportate da società immobiliari. Le stesse toccate dalla grave crisi immobiliare che ha travolto il Paese. Al momento la nazionale cinese occupa la 75esima posizione del ranking Fifa. Davanti allo Zambia, e dietro a Sud Africa, Siria ed El Salvador. Se non è un incubo poco ci manca.

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