Giallo caffettano

Nicolò Delvecchio
14/07/2021

I talebani sono sempre più vicini a riconquistare l'intero Afghanistan e hanno già cominciato ad "aprirsi" alla Cina. Che nell'area ha più di un interesse. Con buona pace della minoranza musulmana degli uiguri repressa da Pechino.

Giallo caffettano

Ci possono essere punti di contatto tra un governo accusato di aver internato più di un milione di musulmani in campi di lavoro (quello cinese) e uno tra i gruppi islamisti più radicali al mondo (i talebani)? A quanto pare, sì. Dopo il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, decisione seguita a ruota dagli altri eserciti occidentali – l’ultima è stata la Francia -, gli “studenti di dio” hanno ripreso il controllo di larghe aree del Paese, in maniera anche più veloce del previsto. E pare abbiano trovato proprio in Pechino un inaspettato partner economico in vista della ricostruzione del Paese.

I talebani ormai controllano vaste aree dello Stato e ormai non trovano alcuna resistenza. I soldati dell’esercito regolare afghano sono infatti in netta inferiorità numerica e armati molto peggio. Molti sono fuggiti oltre confine per non scontrarsi con le milizie. Chi invece ha provato a tener loro testa è stato sopraffatto: pochi giorni fa, a Faryab, vicino al confine con il Turkmenistan, 22 militari sono stati uccisi a freddo dai talebani dopo essersi arresi. Kandahar è già caduta, mentre la capitale Kabul potrebbe cadere molto presto.

I talebani e l’apertura alla Cina

Il gruppo lo sa, e si sta già preparando per riprendere il potere. Dopo la caduta della Repubblica democratica dell’Afghanistan, nel 1992, il Paese visse una lunga guerra civile tra milizie che fu vinta da quella talebana nel 1996. Dopo aver ucciso l’ultimo Presidente della Repubblica, Mohammad Najibullah, nel palazzo dell’Onu di Kabul, i talebani instaurarono l’Emirato islamico dell’Afghanistan e governarono la maggior parte del Paese fino al 2001, quando arrivarono gli americani. Adesso la situazione è molto simile a quella di 25 anni fa, e i miliziani ne sono consapevoli. Ma occorrono soldi, e tanti. E poco importa se provengono dalla Cina, il cui regime sta discriminando e internando la minoranza musulmana degli uiguri. Lo conferma il fatto che un portavoce talebano parlando al South China Morning Post, abbia dichiarato che la Cina è un «amico cordiale» e che i dialoghi sulla ricostruzione del Paese dovrebbero cominciare «molto presto». A ben vedere, però, pensare a una collaborazione sino-talebana non è così difficile come sembra: l’Afghanistan è strategico nei piani di sviluppo regionale del Dragone, e proprio lo scorso maggio Zhao Lijian, ministro degli Esteri cinese, ha affermato che Pechino, Islamabad e Kabul stavano discutendo per estendere il corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec) anche all’Afghanistan. Una mossa che amplierebbe le reti di trasporto e commercio tra i Paesi. Dal canto suo nemmeno la Cina è contraria a trattare con i talebani, visto che alcuni miliziani sono stati accolti a Pechino, nel settembre 2019, per dei colloqui di pace con il governo afghano.

Talebani e Cina, i buoni rapporti servono a entrambi

L’apertura taliban alla Cina è stata anche confermata da un altro portavoce del gruppo che al Wall Street Journal ha confermato che, nonostante i miliziani si preoccupino dell’oppressione dei musulmani nel mondo, «non ci occuperemo degli affari interni della Cina», riferimento molto chiaro alla situazione degli uiguri. Se prendessero il potere, i talebani «avrebbero bisogno del sostegno cinese per la stabilità e la ricostruzione dell’Afghanistan. Infastidire la Cina sarebbe un disastro per loro», ha detto alla Cnn Mushahid Hussain, senatore pakistano e presidente dell’Istituto Cina-Pakistan. Ma un Afghanistan stabile è nel pieno interesse anche di Pechino, che in Asia centrale ha investito pesantemente nella Via della Seta (la Belt and Road Initiative). Al momento, il governo cinese non ha risposto all’apertura dei talebani, ma un primo “endorsement” è arrivato dal direttore del giornale statale Global Times, Hu Xijin, che ha riportato le parole dei miliziani e ha accusato l’Occidente di voler «seminare discordia tra Pechino e i talebani».

Cina-Afghanistan: l’ostacolo pachistano

Secondo l’Asia Times, però, la strada è tutta in salita. Per il quotidiano di Hong Kong, infatti, la Cina avrebbe posto come condizione per il proprio sostegno, il controllo dei gruppi islamisti che tentano di destabilizzare lo Xinjang. Non solo. Sempre secondo il quotidiano, difficilmente i cinesi riusciranno a raggiungere l’Afghanistan in tempi brevi visto che i progetti concordati col Pakistan procedono a rilento. Pechino ha forti dubbi che Islamabad possa pagare in tempo parte dei debiti contratti per il Cpec, ed è preoccupata per gli attacchi agli ingegneri cinesi nel Belucistan, regione meridionale del Pakistan in cui la Cina ha in cantiere un grande porto. Ma le minacce non si concentrano solo in questa regione: il 14 luglio, un bus che trasportava ingegneri cinesi e pachistani è stato oggetto di un attentato nel Sarhad, provincia settentrionale del Pakistan al confine con l’Afghanistan, in cui hanno perso la vita 13 persone, tra cui 9 cittadini cinesi. Si tratta di personale che avrebbe dovuto raggiungere la centrale elettrica di Dasu, altro progetto sino-pachistano.