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Il dato è tratto

Dietro la stretta sulle Big Tech c’è la volontà di Pechino di mettere le mani sul database più grande del mondo. Inutile condividere opportunità con Usa e Ue, più vantaggioso creare una enclave in Africa. È questo il nuovo Eldorado di Xi Jinping.

4 Agosto 2021 09:364 Agosto 2021 09:40 Alieno Gentile
La cina e il protezionismo dei dati

Vi ricordate di quando, nel 2017 dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il presidente cinese Xi Jinping si autoproclamò «paladino del libero scambio e della globalizzazione»? La realtà, quattro anni dopo, si mostra ben diversa. La Cina ha preso in giro il mondo nel 2001 quando entrò nel WTO (Organizzazione mondiale per il commercio), accedendo a tutti i benefici dell’apertura al mercato globale, ma rispettando meno di ogni altro membro le regole dell’Organizzazione. E dal 2010, Pechino ha ribadito più volte che avrebbe garantito la libertà delle imprese straniere di poter scegliere se trasferire o no alle controparti cinesi tecnologia e proprietà intellettuali, basandosi esclusivamente su considerazioni di mercato. Era, di nuovo, una bugia. La Cybersecurity law adottata nel 2017, impone per le telecomunicazioni che gli standard di sicurezza siano fissati a Pechino con discrezionalità politica, escludendo così forniture estere. Quello che Pechino sta mettendo in atto – sistematicamente – è una “sglobalizzazione” i cui effetti vedremo solo fra qualche anno. I partner commerciali cinesi in Europa, in particolare la Germania, hanno già sollevato la preoccupazione che una Cina più protezionista stia aggressivamente risalendo la catena del valore più velocemente del previsto. Tra sicurezza dei dati, controllo delle quotazioni azionarie all’estero e un giro di vite sulle società di tutoraggio, si sta sgretolando la fiducia degli investitori che vedevano nella Cina una opportunità sconfinata. Ora tutti si chiedono: «Quale settore sarà il prossimo obiettivo dei regolatori?». Vediamo insieme alcuni casi recenti di attacco alla libera iniziativa.

Controllo del dati e autarchia culturale: la cina di Xi Jinping
Jack Ma, fondatore di Alibaba, era scomparso per mesi per riapparire in una videoconferenza il 21 gennaio 2021 (Getty Images).

La stretta di Pechino sui miliardari di casa

Il blocco della quotazione di Ant-Alibaba

L’azienda di pagamenti elettronici fondata da Jack Ma (di cui sarebbe bello avere notizie…) è stata bloccata nella sua quotazione in seguito alle critiche che il famoso imprenditore ha rivolto al sistema finanziario cinese, eccessivamente succube delle trame governative. È probabile che tra i motivi di attenzione di Pechino sull’azienda ci sia anche l’enorme mole di dati che la società detiene e gestisce, su cui non è gradita la possibilità di accesso da parte di investitori esteri. E intanto Alibaba paga dazio.

Didi in castigo

Al contrario di Ant, colpita prima di quotarsi a Hong Kong, Didi (la Uber cinese, per semplificare) è stata colpita immediatamente dopo la quotazione sulla piazza borsistica di New York. Qui la questione dati è stata citata espressamente, ma con malizia la società è stata colpita da una normativa stringente (che le ha sostanzialmente impedito di poter acquisire nuovi clienti, provocando un crollo del valore dell’azienda) immediatamente dopo aver terminato la raccolta di capitali di investitori statunitensi. Nel mondo che Pechino ha in mente, fatto di macroblocchi indipendenti e non dialoganti, non è raccomandabile quotarsi su piazze “nemiche” (e infatti non si può fare, si devono usare dei VIE – Variable Interest Entity. Attraverso questa struttura gli investitori, di solito inconsapevolmente, non possiedono in realtà alcuna parte dell’effettiva società cinese sottostante, ma solo una rappresentazione sintetica di prezzo).

La stretta cinese sulle big tech e il controllo sui dati
Pechino ha rimosso Didi dagli app store domestici (Getty Images).

Manette per Sun Dawu, il paperone dissidente

I soggetti da “rieducare” iniziano ad essere molti: Wu Xiaohui (amministratore delegato del gruppo assicurativo Anbang), Ren Zhiqiang (presidente di Huayuan Property, grande corporation del settore immobiliare) e Sun Dawu (Dawu Agricultural and Animal Husbandry Group) si sono macchiati del reato di critiche al regime comunista. Tutti e tre, in diversi procedimenti, sono stati condannati a 18 anni di reclusione.

La mannaia sulle società del settore “edu-tech”

È il più recente episodio di intervento in scivolata del regolatore cinese sulle società di capitali: aziende attive nel profittevole mondo della formazione (in un Paese ultracompetitivo come la Cina l’accesso alle carriere universitarie più promettenti passa da test molto selettivi e una carriera scolastica di eccellenza) sono state trasformate “ex lege” in aziende no-profit. Lo scopo dichiarato: abbassare i costi di allevare prole per le famiglie cinesi, recentemente liberate dal vincolo di due figli per famiglia e invitate semmai a proliferare, che i nuovi piani necessitano di una demografia meno sbilanciata.

I 10 punti del piano Made in China 2025

Pechino ha un piano di lungo termine, che prevede per il 2049 (romanticamente il centenario della fondazione della Repubblica Popolare) il predominio militare e passa per un obiettivo intermedio chiamato Made in China 2025 che prevede il sorpasso dell’economia cinese su quella americana in 10 specifici campi (di tecnologia ad applicazione militare):

1. Chip, computer e cloud: tagliare la dipendenza dalle importazioni e puntare sui chip domestici, non escludendo di rallentare lo sviluppo degli altri Paesi trattenendo le Terre Rare.
2. Robotica: arrivare al 70 per cento della quota di mercato della robotica mondiale con 2-3 campioni locali.
3. Volo e spazio: le compagnie aeree cinesi dovrebbero raggiungere i 30 miliardi di dollari di entrate. Nella corsa allo spazio, la Cina vuole che l’80 per cento delle attrezzature dell’industria spaziale civile siano di provenienza nazionale.
4. Il mare: leadership nelle navi di ultima generazione, fino a catturare l’80 per cento del mercato delle navi ad alta tecnologia.
5. Sui binari: i produttori di treni cinesi dovrebbero realizzare il 40 per cento delle loro vendite all’estero.
6. Auto verdi (e intelligenti): grande spinta per veicoli completamente elettrici e ibridi plug-in, la Cina vuole che le sue aziende prendano l’80 per cento del mercato, con due campioni nazionali.
7. Energie rinnovabili: arrivare a una quota superiore all’80 per cento, con tre aziende locali di dimensione globale.
8. Agricoltura: già forte nella tecnologia agricola, la Cina sta puntando a produrre attrezzature agricole di fascia alta
9. Materiali ad alta tecnologia: dominio del settore (fino al 90 per cento della quota di mercato) nell’edilizia e nel tessile.
10. Farmaci e attrezzature mediche: arrivare a 5-10 farmaci sviluppati localmente con l’approvazione in Usa e/o Europa. Potenziamento delle attrezzature mediche di medio e alto livello negli ospedali.

controllo sui dati e stretta sulle Big Tech: la nuova autarchia cinese
Il magnate Ren Zhiqiang è stato condannato a 18 anni per aver criticato il Pcc (Getty Images).

L’Eldorado dei dati

Ma qual è il fil rouge che lega tutto questo? Il mercato dei dati è il nuovo oro. Avere database ampi consente di sviluppare Intelligenza artificiale più elaborata, il numero di persone di cui disporre di dati è quindi forse più importante del Pil pro-capite nel valutare la ricchezza di un mercato. La Cina ha già il bacino di utenti internet più ampio al mondo, la sensazione chiara è che l’intento sia quello di creare un protezionismo dei dati e una autarchia culturale: inutile condividere opportunità con un Vecchio Mondo (Usa) e un Vecchissimo Mondo (Ue) che hanno, messi insieme, nemmeno la metà dei cittadini cinesi. Meglio concentrarsi e creare una enclave nell’altro continente superpopoloso del globo: l’Africa. Ecco che le aziende cinesi del comparto dati, siano esse di pagamenti elettronici (Ant Group) o di app per veicoli con conducente (Didi), devono restare entro confine, sotto stretta osservanza governativa e non dare accesso agli investitori esteri ai loro database. Poi c’è il protezionismo culturale: gli studenti non devono essere sedotti da contaminazioni culturali occidentali, niente formazione a pagamento, che poi si apre alla competitività, alla possibilità di una carriera accademica in Usa e si importano valori sbagliati, che hanno già avvelenato le menti di Jack Ma, Wu Xiaohui, Ren Zhiqiang e Sun Dawu. Appena uno diventa miliardario sembra che il regime comunista non gli vada più a genio… bisogna forse evitare che qualcuno possa diventare miliardario, mica si possono riempire le carceri di imprenditori. Che poi va a finire che i figli di questi miliardari sognano comunque di andare a studiare ad Harvard o al MIT. Sia mai!

L’attrazione per i sistemi autoritari

C’è tanta invidia nelle democrazie per l’efficienza dei sistemi autoritari, quelli – è bene ricordarlo – in cui è facile sognare di entrare ma da cui non è permesso pensare di uscire. La Storia è piena di regimi autoritari e dirigisti che sono collassati sulla loro stessa velleità di reprimere il pensiero. Certo, il Pcc ha appena festeggiato i 100 anni e tutto lascia pensare che ne possano passare ancora molti prima che la repressione, continua e sempre più larga, si trasformi in un boomerang letale. Ma forse dare per scontato che Pechino diventi la capitale economica e culturale del mondo nei decenni a venire non è da dare poi così per scontato.

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