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L’isola che non c’era

La Cina si sta velocemente espandendo anche sul mare, grazie alla costruzione (da zero) di nuovi centri residenziali ed economici: dallo Sri Lanka alla Birmania, passando per la Malesia. Ecco perché arginare la Via della Seta è molto più complicato del previsto.

14 Giugno 2021 15:1721 Giugno 2021 10:03 Nicolò Delvecchio
Il Dragone si sta velocemente espandendo anche sul mare, grazie alla costruzione (da zero) di nuovi centri residenziali ed economici

Se una delle idee emerse dal G7 di Cornovaglia è quella di frenare l’espansionismo cinese nel mondo, auguri. Perché il disegno “imperialista” di Pechino è già in una fase avanzatissima e abbraccia una porzione di mondo che va dalla Repubblica Popolare al Brasile, passando per altri Paesi asiatici, l’Europa e l’Africa.

Solo per fare un esempio, il Dragone ha prestato al Montenegro un miliardo di euro per la costruzione di un’autostrada, una tra le più care al mondo. A causa della pandemia e di un’economia già di per sé non particolarmente florida (anzi), lo Stato balcanico ora non sa come ripagare la Cina, che ne detiene un quarto del debito pubblico. A luglio scattano i termini per il primo rimborso, e in caso di insolvenza Pechino prenderà in garanzia l’accesso alla terra montenegrina.

Altrove, gli investimenti sono ancora più invasivi. Nel Pacifico, infatti, la seconda economia al mondo ha progettato tutta una serie di isole artificiali, da usare a volte come basi militari, altre volte come futuristici centri finanziari in terra straniera.

Port City Colombo, Sri Lanka

La mossa cinese per contrastare lo strapotere finanziario di Dubai e Singapore si chiama Port City, e sorgerà a largo della capitale dello Sri Lanka, Colombo. Ha una particolarità: è grande il doppio della città stessa, 269 ettari. Si parla di un investimento da 15 miliardi di dollari, tutti cinesi, e l’operazione nel complesso ha fatto sollevare qualche perplessità: innanzitutto di tipo ambientale, visto l’impatto dell’intero progetto sull’ecosistema sarebbe più grande dei benefici economici che offre. E poi di opportunità politica, visto che di fatto lo Sri Lanka cederebbe parte del suo territorio – per quanto non ancora esistente – alla Cina, soprattutto in una zona particolarmente delicata come quella portuale. Eppure, si farà, e la Zona economica speciale a trazione pechinese dovrebbe essere pronta in cinque anni.

Forest City, Malesia

Non lontano da dove Emilio Salgari aveva ambientato le avventure di Sandokan e delle Tigri di Mompracem, la Cina sta costruendo Forest City, un immenso arcipelago artificiale (quattro isole) dal costo totale di 100 miliardi. Si trova a largo di Johor, in Malesia, e dovrebbe occupare uno spazio di 1.370 ettari, 30 chilometri quadrati: annunciato nel 2006, per la sua costruzione ci sarebbero voluti inizialmente 20 anni, ma è stata inaugurata nel 2018. Anche questa fa parte del progetto della Via della Seta, e si trova nella zona economica speciale Malesia Iskandar. Inizialmente una palude di mangrovie, è un’immensa area residenziale su cui ci vivono circa 500 persone, sulle circa 700 mila ospitabili.

Madè, Birmania

Nel Rakhine, lo Stato della minoranza musulmana dei Rohingya – perseguitata dalle autorità birmane, con molti costretti all’esilio in Bangladesh – Pechino sta realizzando un altro centro finanziario, tecnologico e di innovazione, Madè Island. Da quelle parti passa un importante gasdotto, che collega i due Paesi e rifornisce di risorse naturali il Dragone. Il gasdotto rientra in un investimento cinese da circa 10 miliardi, voluto dalla giunta militare birmana nel 2004, proseguito dal governo di Aung San Suu Kyi e in corso ancora ora, con l’esercito nuovamente al potere. L’isola fa parte del progetto relativo alla Zona Economica Speciale di Kyaukphyu, voluta nel 2013 dai governi dei due Stati.

Spiagge trasformate in porto industriale in Sierra Leone

Quelle di Black Johnson sono tra le spiagge più belle della Sierra Leone, ma rischiano di sparire. E questo perché la Cina ha intenzione di costruire, proprio lì, un porto industriale di 100 ettari, dal costo complessivo di 55 milioni di dollari. Si troverebbe nella capitale, Freetown, in una zona che costeggia un parco naturale in cui vivono specie in via di estinzione. L’iniziativa ha trovato subito la durissima opposizione di ambientalisti e dei proprietari dei terreni, espropriati e risarciti dal governo africano per una somma vicina ai 950 mila dollari.

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