Non si muore di solo Covid. Un ritornello che abbiamo imparato a conoscere durante la piena emergenza, durante il lockdown e le restrizioni dure, quando l’infezione da coronavirus portava a trascurare le altre patologie, a rimandare i controlli e gli esami di routine, a far passare in secondo piano altre malattie. Un discorso che può valere anche in ottica a lungo termine, in Cina. Un’interessante analisi del Guardian parla senza mezzi termini di “epidemie nascoste”, riferendosi a cancro, problemi cardiaci e diabete, che potrebbero avere conseguenze sociali, economiche e demografiche di vasta portata per la nazione più popolosa del mondo. Pechino avrà anche imposto le misure più severe al mondo per proteggere la sua popolazione dal Covid-19, ma sta sottovalutando l’impatto mortale delle malattie non trasmissibili, che minacciano di uccidere decine di milioni di cinesi nei prossimi decenni, se non verranno messe in campo adeguate politiche di salute pubblica.

Con il boom economico sono arrivate anche le malattie “occidentali”
Del resto la Cina negli ultimi decenni ha vissuto un’enorme trasformazione, grazie al miracolo economico che ha visto una rapida industrializzazione e il trasferimento di centinaia di milioni di persone dalle campagne alle città. Una grande quantità di cittadini è riuscita così a emanciparsi dalla povertà, ottenendo un tenore di vita migliore di quello garantito dalle zone rurali. Piccola controindicazione: assieme agli stipendi più alti e alla vita urbana sono arrivate anche le malattie “occidentali”, come il tumore legato all’eccesso di fumo, e il diabete e le malattie cardiache provocate da una dieta più ricca, oltre che dalla mancanza di esercizio fisico e dalla pressione alta. Secondo Wang Feng, professore di sociologia all’Università della California, «assieme a un invecchiamento imprevisto e senza precedenti, questa sarà una delle più grandi sfide che la Cina deve affrontare, non solo per le singole famiglie, ma anche per la politica».

Più di un terzo degli 1,1 miliardi di fumatori nel mondo vive proprio in Cina
Le sigarette, che passione. Più di un terzo degli 1,1 miliardi di fumatori nel mondo vive proprio in Cina, dove circa la metà della popolazione maschile è di fatto dipendente dal tabacco. Stando ad alcune inquietanti proiezioni, le malattie legate al fumo, che includono cancro ai polmoni, malattie respiratorie e cardiache, potrebbero uccidere un giovane cinese su tre entro il 2050. Statistiche tremende per un Paese che sta già affrontando una crisi demografica causata dal calo delle nascite e dal rapido invecchiamento della popolazione. L’Onu prevede che la popolazione potrebbe scendere dall’attuale livello di 1,4 miliardi di persone a circa 1 miliardo entro il 2100. E alcune stime sono pure peggiori, con scenario di dimezzamento della popolazione, fino a quota 730 milioni, entro la fine del secolo.

Dieta povera, a basso contenuto di frutta e verdura ma ricca di carne rossa
La principale causa di morte in Cina è l’ictus, seguito da problemi al cuore, malattie polmonari croniche e poi cancro ai polmoni. Il fumo è un fattore determinante in molti di questi casi. Secondo uno studio di Lancet, le persone nelle zone del Nord industrializzato hanno maggiori probabilità di soffrire di ipertensione, obesità e di avere una dieta povera, a basso contenuto di frutta e verdura ma ricca di carne rossa. La Cina tra l’altro ha più persone con diabete di qualsiasi altro Paese: più di 110 milioni, destinate a salire fino a 150 milioni entro la metà del secolo. Il diabete e le sue complicanze contribuiscono già a quasi un milione di morti ogni anno, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Oltre il 40 per cento di questi decessi è classificato come prematuro – cioè che si verifica prima dei 70 anni –, un altro motivo di allarme. Insomma la Cina sarà anche la seconda economia più grande del mondo, patria di centinaia di miliardari negli ultimi decenni, ma i suoi dati sulla salute sono ancora quelli di una nazione molto povera. Le persone hanno una probabilità del 14,1 per cento di morte prematura per una malattia non trasmissibile, un dato che colloca il Paese al 76esimo posto nella classifica mondiale. La Corea del Sud è in testa con il 4,7 per cento, l’Italia è settima con il 7,2 per cento (al pari di Australia, Finlandia e Francia), mentre gli Stati Uniti sono 44esimi con l’11,8 per cento.

Il Partito comunista ci prova con la campagna Healthy China 2030
Il Partito comunista sta facendo qualcosa per invertire la rotta? Uno dei tentativi è la campagna Healthy China 2030 lanciata nel 2019 per ridurre le morti premature, controllare i fattori di rischio e aumentare l’assistenza sanitaria. Sono stati introdotti più divieti di fumo nei luoghi pubblici come treni ad alta velocità, negozi e ristoranti. Anche il tentativo di ridurre il tempo che trascorrono davanti allo schermo i bambini può essere vista come parte dello sforzo per ridurre l’obesità galoppante e migliorare i risultati in tema di salute. Il guaio è che il governo dipende fortemente dalla tassa sulle sigarette, riscossa attraverso i monopoli del tabacco controllati dallo stato. Ma sono le abitudini stravolte a pesare sull’aspettativa di vita dei cinesi. Nel 1978, la maggior parte delle persone seguiva una dieta “di sussistenza”, povera, fatta del necessario per sopravvivere. Nel 1988 è aumentato del 60 per cento il consumo di carne di maiale e del 150 per cento quello di olio vegetale. Allo stesso tempo, il consumo di alcol è aumentato di 3,5 volte e il numero di pacchetti di sigarette fumati è raddoppiato.

La strategia zero Covid ha salvato un milione di vite
L’altra conseguenza provocata da una popolazione malata e che invecchia è il serio ostacolo alle speranze di Pechino di rilanciare un’economia in crisi. La dirigenza del Partito comunista lo sa ed è anche per questo che ha messo in campo la criticatissima strategia zero-Covid, mentre il resto del mondo tornava alla vita normale. Pechino è a conoscenza del fatto che la popolazione, in particolare gli anziani che vivono nelle zone rurali, non ha accesso a una buona assistenza sanitaria, e per colpa di problemi di salute di base come malattie cardiache e problemi respiratori già così comuni, sarebbe stata falcidiata dal Covid. Si stima che la politica zero-Covid abbia salvato un milione di cinesi. Circa il 95 per cento delle persone in Cina ha una qualche forma di assicurazione sanitaria, ma spesso a fronte di costi elevati. I tentativi di riforma del sistema sanitario pubblico hanno visto esplodere il numero degli ospedali privati e il totale ora supera il numero delle strutture pubbliche. L’offerta di assistenza varia notevolmente da provincia a provincia e soprattutto dalle aree urbane a quelle rurali, ma è ancora vista come molto inefficiente e le spese sono ancora alle stelle. Un gruppo di accademici ha scritto nel 2021 su Lancet che «le condizioni croniche contribuiscono in modo determinante al carico sanitario, alle disuguaglianze di trattamento e alla spesa economica in Cina». Sotto il Covid, insomma, c’è molto di più. E Pechino deve occuparsene se non vuole avere tra le mani un problema enorme nei prossimi decenni.