Scosse di assestamento fisiologiche figlie di un periodo particolare o terremoti pronti a fagocitare business miliardari, anticamere di crisi in grado di rallentare o fermare il motore economico della Cina? È difficile capire cosa stia accadendo al di là della Muraglia, soprattutto in queste frenetiche settimane di graduale riapertura verso il mondo.
Come i tagli al personale influiscono sul mercato immobiliare
La Zero Covid Policy è stata archiviata, mentre le aziende tornano a produrre, spesso infischiandosene di assumere eventuali infetti. Nessuno vuole restare indietro. Anzi: tutti intendono recuperare il tempo perso ora che il Partito Comunista ha indicato la nuova rotta da seguire. Una rotta che, inevitabilmente, influirà sull’economia del gigante asiatico. Nel frattempo, nella Repubblica Popolare si registrano fenomeni sui quali vale la pena accendere i riflettori. Il South China Morning Post ha parlato di un’ondata di tagli di posti di lavoro che ha travolto importanti società tecnologiche. E che, come nel più classico degli effetti domino, ha fatto vacillare il mercato immobiliare perfino in quartieri dove negli ultimi anni numerosi professionisti ben stipendiati avevano acquistato case e appartamenti, facendo salire i prezzi. Le aree di Hangzhou e Shenzhen, sedi di colossi come Alibaba, Tencent e Huawei, fino a non molto tempo fa sembravano impermeabili ai problemi legati ai sussulti del real estate. Ebbene, oggi questo modello sembra essersi inceppato.

La svalutazione di interi quartieri a Shenzen e Pechino
Giusto per fare un esempio, negli ultimi anni la vicinanza al quartier generale di Alibaba ha trasformato Future Science Town, nel distretto Yuhang, a Hangzhou, un hotspot immobiliare chiave della città. E questo nonostante si trovi a 45 minuti di metropolitana dal centro. I prezzi delle case in questa area sono tuttavia crollati a partire da giugno, di pari passo con i massicci licenziamenti effettuati da Alibaba. I tagli hanno coinvolto circa 10 mila dipendenti nel secondo trimestre, con il risultato che molti rimasti senza lavoro sono tornati nelle città d’origine. Così i prezzi delle case sono diminuiti di circa 15 mila yuan (2.150 dollari) al metro quadro. E pensare che qualche anno fa il prezzo era schizzato a 83 mila yuan. Stessa sorte è toccata ad altri distretti. Come Zhongguancun a Pechino, a Haidian e Nanshan a Shenzhen. Qui, nel sud della Cina, dove sorgono le sedi di Tencent e Huawei, le transazioni immobiliari sono diminuite di quasi la metà in un anno. Colpa della recessione economica ma anche e soprattutto del rallentamento delle aziende tecnologiche. Tra lo scorso aprile e settembre, Tencent ha tagliato circa 7.300 posti di lavoro.

Il piano B di molti neolaureati è l’Africa
Negli ultimi due decenni, il boom del settore tecnologico si è intrecciato a quello del settore immobiliare. Le città che ospitavano i più grandi conglomerati della Cina hanno conosciuto crescita economica e un vitale afflusso di colletti bianchi con alti salari. I dati del National Bureau of Statistics sono emblematici: il numero dei professionisti nel settore del software e della tecnologia dell’informazione sono saliti a 8,08 milioni nel 2021, con stipendi fino a 200 mila yuan (27.500 euro circa), contro un salario medio di 12 mila euro. Le stesse aziende tecnologiche offrivano ai propri dipendenti benefit abitativi. Un piano lanciato da Tencent nel 2021 garantiva prestiti senza interessi fino a 900 mila yuan (124 mila euro) per l’acquisto di una casa. Alibaba e Huawei fornivano vantaggi simili. Il punto però è che sempre meno cinesi vogliono diventare proprietari. Stando a un sondaggio della People’s Bank of China di dicembre, la percentuale di cittadini desiderosi di acquistare una casa è scesa al 16,1 per cento nel quarto trimestre del 2022, in calo del 10 per cento rispetto al terzo trimestre. È in uno scenario del genere che in Cina sempre più persone stanno coltivando un piano b, nel caso in cui crollassero le certezze del piano a. Molti giovani laureati e neolaureati, ad esempio, hanno iniziato a inviare candidature ad aziende cinesi operanti in Africa, una scelta di tendenza ma anche di sopravvivenza. Del resto la disoccupazione giovanile in Cina ha raggiunto livelli record sfiorando il 20 per cento. Lavorare per un’azienda operante in Africa non sarà il massimo ma i vantaggi – stipendi alti, ferie generose e un ritmo di lavoro meno frenetico – attirano una generazione «diventata maggiorenne durante la pandemia», ha scritto Caixin. In tutto questo, c’è il rischio, non trascurabile, che l’afflusso di lavoratori cinesi possa influenzare il già fragile mercato del lavoro africano. Spingendo, a sua volta, molti professionisti locali a cercare fortuna altrove. Anche in Europa, creando un ulteriore effetto domino.