Non fatevi ingannare dalle immagini del razzo Lunga Marcia 5B, i cui detriti a inizio maggio sono caduti a largo delle Maldive, con tanto di “allarme” nel Centro e Sud Italia. La corsa allo spazio di Pechino sta andando bene, molto. Proprio sabato scorso, la Cina ha fatto atterrare un rover su Marte, primo Paese a riuscirci oltre agli Stati Uniti. Ma non solo: a fine aprile, il Dragone ha mandato in orbita Tianhe-1, il primo modulo per una nuova stazione spaziale, ai quali se ne dovrebbero aggiungere altri nel 2022.
Il tutto fa parte di una strategia che, da anni, le autorità stanno mettendo in atto per ritagliarsi sempre più “spazio”, nel senso letterale del termine. Nel 2018, d’altronde, la Cina è stato il Paese che ha effettuato più lanci in orbita, superando gli Stati Uniti, nonostante Washington spenda quattro volte in più di Pechino nei programmi spaziali (48 miliardi contro 11).
L’espulsione dagli Usa di Qian Xeusen fa le fortune della Cina
La corsa allo spazio di Pechino parte da lontano. E inizia con un’espulsione. È il 1956 quando Qian Xuesen, scienziato e ingegnere aerospaziale cinese, viene cacciato dagli Stati Uniti ed è costretto a tornare in patria. L’accusa è di quelle che, in pieno maccartismo, basta a spezzare vite e carriere: comunista. Nella Repubblica Popolare di Mao, però, è tutt’altro che un difetto e Qian viene riabbracciato con gli onori riservati alle personalità più importanti. All’epoca, la Cina era interessata allo spazio soprattutto per scopi militari, così fu accettata la proposta di Qian di sviluppare un programma di produzione di missili. A lui, neanche a dirlo, fu affidata la direzione del progetto.
Yang Liwei, il primo cinese nello spazio a bordo della Shenzhou V
Per un po’, la Cina collaborò con i vicini – geografici e ideologici – dell’Unione sovietica, primi al mondo a mandare un essere umano nello spazio. Poi, col deterioramento dei rapporti tra Krusciov e Mao, i due Paesi proseguirono ognuno per la propria strada. Pechino continuò a sviluppare soprattutto tecnologie spaziali a scopo militare, con il lancio del primo razzo (1964) e del primo satellite (1970) interamente cinesi, per dedicarsi, quindi, a operazioni di tipo commerciale dalla seconda metà degli Anni 80.

La crescita travolgente che ha portato la Cina a essere la seconda economia al mondo passa anche per una data, il 15 ottobre 2003. Quel giorno, il Dragone divenne il terzo Paese al mondo, dopo Russia e Stati Uniti, a mandare un uomo nello spazio: Yang Liwei, a bordo della navicella Shenzhou V. Un traguardo accolto con entusiasmo, ma anche con un po’ di scetticismo. E con i toni dell’allarme per le potenze che di solito guardano tutti dall’alto: nella corsa allo spazio, c’era, adesso, pure la Cina. Dal viaggio del primo “taikonauta” agli sviluppi più recenti ci sono altri passaggi intermedi, dalla mappatura lunare del 2007 al primo modulo spaziale lanciato nel 2011, fino all’atterraggio sul lato oscuro della Luna, nel 2019. L’impresa non era mai riuscita a nessuno.
I motivi dell’assalto cinese allo spazio
Ma perché tutto questo? Controllare lo spazio ha una valenza strategica quasi illimitata, monitorare dall’alto quello che succede sulla Terra permette di agire prima, e meglio, in tantissimi settori, dall’agricoltura alle infrastrutture, passando ovviamente per il campo militare. Lo sanno bene gli Stati Uniti, che nel rapporto del ministero della Difesa del 2020 hanno accusato il Paese asiatico – e la Russia – di aver «armato lo spazio».
Gli obiettivi futuri del Dragone, in tal senso, sono abbastanza chiari: Xi Jinping vuole rendere il suo Paese la più grande potenza tecnologica al mondo entro il 2049, centenario della nascita della Repubblica popolare, e per farlo punta forte sullo spazio. D’altronde, da tempo sappiamo dell’importante investimento cinese sul 5G, la tecnologia che potrebbe velocizzare in maniera netta le comunicazioni nel mondo: per farlo, non servono soltanto infrastrutture terrestri, ma soprattutto spaziali.
President Xi Jinping on Saturday extended congratulations to China’s space mission team on the successful landing of the country’s first probe on Mars.https://t.co/pGgpBoVbxd pic.twitter.com/Ggmehf6jXg
— CGTN America (@cgtnamerica) May 15, 2021
Progetti cinesi
Per aumentare il suo potere in orbita, Pechino ha progetti seri. Il modulo Tianhe-1, come detto, non è destinato a rimanere da solo, ma a essere completato con altri nel 2022. Insieme andranno a formare una nuova stazione spaziale, Tiangong. Come è stato notato, la sua forma ricorda molto quella della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), che cesserà le sue funzioni nel 2024. Al momento, la Iss è gestita da cinque diverse agenzie: Nasa, Rka (Russia), Esa (Unione europea), Jaxa (Giappone) e Csa-Asc (Canada). Pechino è esclusa dal progetto. Per questo, in molti (se l’è chiesto di recente il New York Times) si interrogano sulla possibilità che, da qui a qualche anno, la Cina possa essere l’unica grande potenza presente nello spazio. Rischi in realtà non ce ne sono, o sono molto limitati, perché la Iss sarà poi sostituita dal Lunar Gateway, che orbiterà intorno alla Luna. Fino a quando non sarà pronto, però, la presenza cinese nello spazio sarà ancora più forte.
Gli obiettivi della Cina
Le mosse di Pechino, tuttavia, non hanno solo una valenza strategica, ma anche di propaganda, e la missione su Marte ne è un esempio. Il rover è stato mandato per studiare topografia, geologia, struttura del suolo e atmosfera nell’area del pianeta rosso, con l’obiettivo di riportare detriti sulla Terra e studiare se, in un futuro abbastanza lontano, Marte possa essere abitato. L’orizzonte, come abbiamo visto, è il 2049: fino ad allora, c’è da esserne certi, la Cina continuerà la sua espansione verso l’alto.