Il Cile ha detto no a una nuova Costituzione. E lo ha fatto in modo deciso. Il Servizio elettorale (Servel) cileno ha confermato che, sulla base dello scrutinio dei voti dei seggi, il no (rechazo) per la bozza di nuova Costituzione proposta tramite referendum ha raccolto circa il 62 per cento delle preferenze, mentre il sì (apruebo) si è fermato attorno 38 per cento. La bozza aveva richiesto un anno di lavoro all’Assemblea costituente formata da 155 membri ed era stata segnalata dagli analisti come «la più avanzata del mondo». In Cile resta perciò in vigore il testo concepito durante la dittatura di Augusto Pinochet nel 1980 e più volte emendato (in particolare durante la presidenza di Ricardo Lagos).

I sondaggi di alcune settimane fa avevano già fatto suonare un campanello d’allarme nella sinistra cilena, promotrice del nuovo testo, prospettando una più che probabile vittoria del fronte del no di centrodestra. Ma la sconfitta è stata più sonora del previsto. Se avesse vinto l’opzione apruebo, la nuova Costituzione sarebbe entrata in vigore nel giro di due settimane: il presidente Gabriel Boric ha inviato una lettera ai leader di tutti i partiti cileni, convocandoli per il pomeriggio di oggi alla Moneda, per «creare uno spazio di dialogo trasversale» e definire in tempi brevissimi come portare avanti il processo costituente. Nel Paese si potrebbe aprire una crisi politica. Fin dall’inizio Boric ha puntato su una riforma sociale ed economica dello Stato, che diventa molto difficile senza una nuova Costituzione, nonostante il presidente abbia definito il programma «perfettamente compatibile» con l’attuale testo.
La Costituzione attuale è in vigore dal 1980
La nuova Costituzione era stata scritta dall’Assemblea costituente eletta dopo le proteste iniziate nel 2019 e proseguite nei mesi successivi. Tra le altre cose, i manifestanti chiedevano che venisse sostituita la Carta in vigore, accusata di essere responsabile delle grandi disuguaglianze nel Paese sudamericano. La Costituzione cilena del 1980, come detto da allora più volte modificata, aveva sostituito a sua volta quella del 1925, parzialmente sospesa nel 1973 dalla giunta militare cilena. Il 25 ottobre 2020 si è svolto un referendum per adottare una nuova Costituzione o mantenere quella attuale: il 78 per cento dei votanti si era espresso a favore di una nuovo testo. E così erano iniziati i lavori dell’assemblea costituente, formata in maggioranza da forze progressiste di sinistra.

Cosa prevedeva la Carta bocciata dai cileni
La Carta Costituzionale a cui i cittadini hanno detto no tramite referendum (con voto obbligatorio) era composta da 388 articoli e 58 norme transitorie. Sostenuto tra gli altri dall’Alto rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani ed ex presidente Michelle Bachelet, il testo definiva il Cile come uno Stato «plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico»: prevedeva la fine del Senato e lo stop al sistema economico liberale imposto nel Paese negli anni di Pinochet. Indicata come «la Costituzione più femminista del mondo» per via dell’attenzione data ai diritti delle donne (sanciva la parità di genere nelle istituzioni pubbliche e private), avrebbe reso la salute e l’istruzione servizi gratuiti. E avrebbe riconosciuto ufficialmente per la prima volta l’esistenza delle popolazioni autoctone, come i mapuche, che rappresentano il 21 per cento dei cileni. Dopo l’annuncio dei risultati, a Santiago centinaia di persone che hanno votato “no” si sono radunate in Plaza Baquedano (soprannominata Plaza de la Dignidad in occasione delle proteste del 2019): i manifestanti hanno celebrato perlopiù pacificamente, ma ci sono stati alcuni casi isolati di scontri.
Manifestaciones violentas en Chile en rechazo a resultados del plebiscito. pic.twitter.com/6ZrYNoB56q
— Orlando Avendaño (@OrlvndoA) September 5, 2022
Cile, il governo dovrà avviare un nuovo processo costituente
Bocciato quello che Time aveva definito «un audace esperimento sociale» da parte di Boric, presidente più progressista dai tempi di Salvador Allende, che cosa succederà in Cile? L’obiettivo era tentare di abbattere le tradizionali iniquità che caratterizzano non solo il Paese, ma l’intera America Latina. La vittoria del “sì” avrebbe spianato la strada alle riforme sociali annunciate, che sarebbero state certamente utili. Il successo del “no” rimette invece adesso in discussione l’agenda dell’amministrazione Boric, che adesso si concentrerà sull’organizzazione di un nuovo processo costituente.

Un testo progressista, troppo per il Paese sudamericano
I cileni concordano sul fatto che la Costituzione che risale al periodo della dittatura (1973-1990) debba essere cambiata. Ma quella proposta ha ricevuto un “no”, tra l’altro ben più netto del previsto: segno che la popolazione non è pronta per una Carta fortemente progressista e capace di mutare in determinati aspetti la società. L’attuale Costituzione è un documento che in alcuni settori (istruzione, pensioni e assistenza sanitaria) favorisce il settore privato rispetto a quello pubblico e che non fa alcun riferimento alla popolazione indigena. La Costituzione bocciata avrebbe invece stabilito territori indigeni autonomi e riconosciuto un sistema giudiziario parallelo in quelle aree. Il processo che verrà scelto per redigere una nuova proposta deve ancora essere determinato e, probabilmente, sarà oggetto di accese trattative tra i vertici politici del Paese.