Se in Italia spopolano i preti social, negli Stati Uniti ci sono intere chiese che aprono i battenti su Facebook. Mark Zuckerberg, ispirato dalla richiesta d’aiuto di un pastore in piena pandemia, sta incrementando il numero di partnership con gruppi religiosi sparsi per l’America. L’obiettivo finale è offrire un’esperienza religiosa 4.0, completamente digitalizzata e unica nel suo genere. A pensarci i numeri sono da capogiro. Facebook ha quasi 3 miliardi di utenti attivi al mese mentre i fedeli cristiani sono 2,3 miliardi quelli musulmani 1,8 miliardi. Sarebbe la più grande chiesa al mondo, insomma.
L’apripista è stata la chiesa evangelica di Hillsong
A dare inizio a un progetto così insolito è stato Sam Collier, pastore della Chiesa evangelica pentecostale di Hillsong di Atlanta. Prima di aprire una vera sede in città, Collier ha approfittato del lockdown per studiare un’alternativa virtuale. Per mesi, gli sviluppatori di Facebook si sono confrontati con il pastore e la sua squadra per capire come la chiesa si sarebbe presentata sulla piattaforma, valutare quali app creare per semplificare le donazioni dei fedeli e come sincronizzare le dirette in streaming, in modo da garantire un segnale potente ed evitare il rischio di interruzioni improvvise. Un brainstorming fruttuoso che ha portato, a giugno 2020, alla grande apertura. «La collaborazione è nata dalla proposta di utilizzare Hillsong come case study per capire se gli edifici ecclesiastici possono trovare un loro posto su Facebook», ha spiegato Collier in un’intervista al New York Times. «Si tratta di uno scambio reciproco, loro insegnano a noi e noi insegniamo a loro. Passo passo, scopriremo insieme dove ci porterà questo viaggio. Il nostro intento primario è, sicuramente, una diffusione sempre più capillare del messaggio evangelico, aiutando le chiese ad avere un contatto sempre più diretto col pubblico, 24 ore su 24 e senza limiti geografici».
Una partnership favorita dal lockdown e dall’engagement
Per quanto questo sodalizio possa sembrare ambiguo, non si tratta di una novità. Il social, infatti, ha sempre strizzato l’occhio alle comunità religiose, dalle piccole congregazioni locali alle istituzioni internazionali. Una tendenza che si è rinforzata con le restrizioni imposte dal Covid. Con la sospensione delle messe in presenza e il divieto di assembramento, le funzioni si sono trasferite sul web e i social sono diventati uno strumento fondamentale per mantenere viva la comunicazione coi credenti. Sono molte le comunità che grazie a Facebook sono riuscite a superare indenni il lockdown, come testimoniato in un summit tenuto a giugno da diverse guide religiose: dall’imam Tahir Anwar della South Bay Islamic Association in California – che, grazie a Facebook Live, nel 2020, è riuscito a raccogliere fondi record durante il periodo di Ramadan – al vescovo Robert Barron, fondatore di Word on Fire, influente società di media cattolici, che ha elogiato il modo in cui Facebook ha consentito alle persone di «vivere l’esperienza della messa in un clima di intimità, come quello della propria abitazione, che in altro modo non avrebbero mai potuto sperimentare». Tra i primi servizi testati, hanno riscosso particolare success i prayer post, uno spazio dove i membri di determinati gruppi possono scrivere la propria richiesta di preghiera, un sistema di abbonamenti che garantisce, al prezzo di 9.99 dollari al mese, un pacchetto di contenuti esclusivi (tra cui, messaggi del vescovo personalizzati) e la possibilità, per i fedeli che assistono alle cerimonie online, di inviare offerte in tempo reale.
I dubbi sulla privacy e la raccolta dati
Ovviamente, la prospettiva di questa collaborazione ha sollevato non pochi dubbi. Per alcuni, infatti, Facebook non avrebbe altro interesse se non quello di ripulirsi la reputazione. Da anni infatti il social è accusato di diffondere disinformazione e fake news. Poi c’è il problema della privacy. All’interno delle comunità spirituali online, infatti, i credenti condividono parecchi dettagli personali. L’idea che vengano profilati e che il social possa sfruttare i dati raccolti per fare business spaventa.