Chi è Giuseppe Misso, l’ex boss di camorra oggi collaboratore di giustizia
La storia di Giuseppe Misso, ex boss della camorra nel Rione Sanità di Napoli oggi sotto protezione dopo essersi pentito.
Ex mafioso italiano Giuseppe Misso è stato per decenni un boss della camorra a capo dell’omonimo clan egemone nel rione Sanità di Napoli (responsabile della storica rapina da 5 miliardi al Banco dei Pegni: attualmente collaboratore di giustizia sotto programma di protezione dal luglio 2011, vediamo chi è e qual è la sua storia.
Chi è Giuseppe Misso
Entrato in carcere per la prima volta a 14 anni, ha cominciato a delinquere (furti e rapine) in coppia l’amico d’infanzia Luigi Giuliano. Un’amicizia rotta quando quest’ultimo, arrestato in flagranza di una rapina che stava commettendo con lo stesso Misso (riuscito a fuggire), ha accompagnato i Carabinieri a casa del complice facendolo arrestare.
Uscito di prigione, Giuseppe ha tentato di allontanarsi dalla strada della malavita aprendo un negozio di abbigliamento e rifiutandosi di schierarsi con Giuliano (diventato boss di Forcella) contro i cutoliani. Fino a quando, però, gli uomini dell’ex amico gli hanno chiesto il pizzo e ha quindi fondato il clan Misso. Un’associazione che, insieme alle famiglie Mazzarella e Sarno, la Direzione Investigativa Antimafia ha indicato come cartello dominante a Napoli in contrapposizione all’Alleanza di Secondigliano.
Specializzatosi in rapine a banche e uffici postali, dopo una lunga latitanza è finito in prigione per quattordici anni per aver rapinato il Monte dei Pegni. Nel mentre è anche stato accusato di aver concorso alla strage del Rapido 904, l’attentato dinamitardo al Napoli-Milano del 23 dicembre 1984 presso la galleria di San Benedetto Val di Sambro: dopo essere stato condannato all’ergastolo, è infine stato assolto.
Il pentimento
Dopo essere nuovamente finito in prigione per associazione camorristica nel 2005, due anni dopo ha contattato il procuratore aggiunto Paolo Mancuso annunciando di voler collaborare. Se inizialmente le sue prime dichiarazioni sono state considerate insufficienti, forse addirittura parte di una strategia, alcuni mesi dopo la sua è divenuta una collaborazione piena che gli è valsa il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dalla legislazione antimafia.