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L’Eusebio della DDR

Cherif Souleymane arrivò nella Germania Est per studiare architettura, ma venne ingaggiato dalla squadra locale, diventando il primo calciatore di colore del campionato. Il guineano, tre anni e molti gol dopo, fu obbligato a tornare in Patria. La sua storia.

21 Ottobre 2021 12:44 Giovanni Sofia
Cherif Souleymane, il primo giocatore di colore nella Germania Est

I bambini tedeschi lo toccavano, «erano convinti fossi ricoperto di carbone». Gente di colore, d’altronde, non ne avevano mai vista. In Germania, a Est di un Paese spaccato in due dal muro, Cherif Souleymane doveva studiare architettura. Era il 1962, quando intraprese il viaggio dalla Guinea all’Europa. Nella valigia i libri e la responsabilità di uno Stato dalla forte impronta marxista, che su di lui aveva scommesso per uno scambio universitario. Ancora minorenne si trovò, invece, a riscrivere la geografia del pallone, a diventare il primo calciatore di colore nella DDR. A distanza di oltre mezzo secolo, fresco 77enne, è rimasto una delle icone, non solo sportive, più luminose della Guinea. Merito di Neubrandenburg, 130 chilometri a Nord di Berlino, inaspettato teatro dei sogni. Qui giocava con i ragazzi dell’università: «Un giorno l’allenatore della squadra locale si avvicinò, mi chiese se volevo aggregarmi a loro». La risposta non c’è bisogno di scriverla. Il resto venne quasi da se, conseguenza fisiologica del talento: «Ero l’unico giocatore di colore nell’intera Germania Est. Ne ero orgoglioso: mi sentivo una persona eccezionale».

Non è un caso se fu tra gli artefici, a suon di gol, della promozione del Neubrandenburg in massima serie, che a impresa compiuta fu costretto a lasciare. Un fulmine a ciel sereno, scatenato dalle regole dell’epoca, secondo le quali non si potevano tesserare stranieri in Ddr Oberliga. «Al Nubrandenburg restai due stagioni, segnando molte reti. Nel primo campionato, chiudemmo dodicesimi, fui il capocannoniere. Al tentativo successivo andammo dritti in A». Salutò da star, per trasferirsi al Neustrelitz, «arrivammo secondi».

Cherif Souleymane, i problemi con il razzismo

Successi a vagonate e qualche problema. Razzismo in testa. «La gente mi adorava, ma le eccezioni, pur sporadiche, ci sono sempre. Da parte mia, sono comportato in modo educato e composto, nonostante i cori e le offese dei tifosi avversari». Souleymane si guarda indietro, con la maturità ha imparato a contestualizzare: «Non credo fossero tutti cattivi. C’è da dire piuttosto che vivevo in una città in cui era rarissimo confrontarsi con una persona di colore. C’era chi non ne aveva mai vista una e si domandava come avessi imparato a giocare così bene. Non pensavano che un nero potesse farlo». E invece: «Segnavo tanto ed ero considerato una celebrità. Il sindaco una volta mi invitò a cena».

Il ritorno a casa di Cherif Souleymane, richiamato dalle autorità africane

L’esperienza durò tre anni, quindi fece marcia indietro, esplicitamente richiamato dalle autorità africane, con le quali non si poteva scherzare troppo. A Conakry la popolarità non si eclissò, ma i libri si chiusero definitivamente: «Il vero rammarico è essere tornato accasa nel punto più alto della carriera, dopo la convocazione in Nazionale per le qualificazioni ai giochi Panafricani del 1965, ma soprattutto non aver completato l’università, non la finii in Europa, né in Africa, dove mi iscrissi di nuovo». La carriera, comunque, proseguì brillante all’Hafia, che di lì a breve sarebbe diventato il club più importante d’Africa. In una crescita esponenziale, la versatilità di Souleymane risultò decisiva. Da bomber, venne progressivamente arretrato fino a giocare difesa. Caratterizzato da un importante senso del gol, ma anche a un calcio pulito e una intelligenza tattica rara, formò con Petit Sory e N’Jo Lea un reparto offensivo da sogno. Il tridente guidò la squadra alla vittoria di tre Champions League africane, nel 1972, 1975 e 1977.

Il trionfo nella Champions africana e il premio di giocatore dell’anno

Il primo trionfo contraddistinto dalle reti di Souleymane nella finale di andata e ritorno contro gli ugandesi del Simba, gli permise di vincere contestualmente il titolo di capocannoniere del torneo e il Pallone d’Oro africano, unico calciatore guineano a riuscirci. «Un momento irripetibile per tutti, grazie al quale abbiamo finalmente fatto la nostra comparsa sulla mappa del calcio continentale». Giocatore guineano del 20 esimo secolo, trascinò la Nazionale per la prima volta alla qualificazione in coppa d’Africa nel 1970. Traguardo replicato poi nel 1974 e del 1976. All’ultima di queste edizioni risale il secondo posto, miglior piazzamento della storia e, per contrappasso rimpianto più grande. Nell’incontro decisivo, in vantaggio, la Guinea venne rimontata a cinque minuti dal termine. L’1-1 premiò il Marocco a causa di una formula che non prevedeva una partita secca ma un girone all’italiana. «Fu il momento peggiore della mia storia da calciatore. Giocai in difesa e segnai la nostra rete. Non bastò». Ultimo acuto di una carriera a suo modo irripetibile.

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