Esattamente 30 anni fa, era il 2 giugno 1992, Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, salì a bordo del panfilo Britannia per tenere il discorso che diede il via alle privatizzazioni italiane. Ora, 30 anni dopo, Draghi da Presidente del Consiglio si trova a gestire una fase che va esattamente al contrario, cioè la ristatalizzazione delle attività economiche. In particolare, quelle che fanno capo a Cassa Depositi e Prestiti.
L’idea disattesa di ridurre la presenza diretta dello Stato nell’economia
Per cercare di marcare la differenza con il governo a maggioranza Movimento 5 stelle guidato da Giuseppe Conte, e a voler seguire i principi dei liberalizzatori e privatizzatori Draghi e Francesco Giavazzi, il suo influente consigliere economico, le partecipazioni di Cdp avrebbero dovuto diminuire, secondo il principio della «rotazione del capitale, ovvero la valutazione di potenziali opzioni di razionalizzazione del portafoglio partecipativo esistente una volta raggiunti gli obiettivi dell’intervento realizzato, anche al fine di sostenere nuove iniziative con il capitale resosi disponibile». Così scrivono nelle note stampa i comunicatori di Cassa, cercando di sottolineare che la musica rispetto alla precedente gestione è cambiata.

Lo scenario mutato prima dal Covid poi dalla guerra ucraina
A guardar bene però non sembra sia proprio così, complice anche il lavoro iniziato dal precedente ad Fabrizio Palermo e che deve per forza di cose essere concluso, i nuovi investimenti richiesti dalla Stato e il nuovo scenario economico determinatosi con la guerra in Ucraina. Le partecipazioni di Cdp possono essere divise in due categorie: quelle su cui Cassa ha reale potere e le altre sui cui non mette becco perché le decisioni sono riservate al ministero dell’Economia e a Palazzo Chigi, come ad esempio Poste Italiane ed Eni. Le prime, principalmente possedute da Cdp Industria, Cdp Reti e Cdp Equity, sono guidate dalla Cassa. Ovvero dal suo vertice e da un silente Consiglio di amministrazione che di fatto è guidato dal volere delle Fondazioni, azioniste al 16 per cento e cui spetta la nomina del presidente, e soprattutto dal ministero dell’Economia che attraverso il suo rappresentante in Consiglio detta la linea su tutti i dossier.
Non si muove foglia che Palazzo Chigi e il Mef non voglia
Palazzo Chigi interviene direttamente sulle decisioni più importanti attraverso il consulente Giavazzi, il ministero dell’Economia guidato da Daniele Franco e Alessandro Aresu, uno dei consiglieri chiamati a Palazzo Chigi da Draghi, coordinatore delle partite legate a Cdp cui l’attuale ad Dario Scannapieco è molto vicino. Aresu, lettiano di ferro (nel senso di Enrico, segretario del Pd), è stato nel gennaio del 2020 il traduttore dall’inglese e commentatore di un simpatico libretto pubblicato anche dal Fatto Quotidiano dove definisce «leggendario» il discorso tenuto da Draghi sul panfilo reale Britannia, al cospetto degli investitori internazionali e delle banche d’affari. Ormeggiato a Civitavecchia, il panfilo ospitò una conferenza sul tema privatizzazioni organizzata dai “British Invisibles”, il gruppo di interessi finanziari della City costituito dal giornalista William Clarke, che di fatto diede il via a quelle delle aziende e banche pubbliche italiane. Tra le tante ci furono anche Autostrade e Telecom Italia, società che proprio ora, sotto il governo Draghi stanno tornando di proprietà dello Stato.

La frattura tra Guzzetti e Scannapieco per la cessione di Bonifiche Ferraresi
Nella prima area delle partecipate, guidata da Pierpaolo Di Stefano, manager esperto di merger & acquisition scelto da Palermo e confermato da Scannapieco, qualche cambiamento c’è stato: a oggi sono state cedute, anche se manca ancora il closing, due partecipazioni, Kedrion e Bonifiche Ferraresi. E proprio sulla vendita della partecipazione del 17,5 per cento di BF, la nuova Bonifiche Ferraresi, sono iniziati i problemi per Scannapieco e si è creata una frattura importante con Giuseppe Guzzetti, già a capo della Fondazione Cariplo e dell’Acri, l’associazione che riunisce le fondazioni italiane di origine bancaria, come abbiamo visto azioniste al 16 per cento di Cassa Depositi e Prestiti. Il “grande vecchio”, come è spesso chiamato Guzzetti a Milano, pensava fosse opportuno che la Cassa continuasse a partecipare allo sviluppo della società, soprattutto in un momento di sua grande crescita e in un tempo di incertezze per le forniture alimentari dovute alla guerra in Ucraina. Mentre tutti, anche lo stesso Draghi, stanno cercando di risolvere l’approvvigionamento di materie prime alimentari (frumento, grano, e così via), BF che le coltiva viene venduta dallo Stato? Sembra un bel paradosso, anche perché la Cassa per statuto ha la finalità di supportare lo sviluppo delle aziende «di rilevante interesse nazionale» che «presentano significative prospettive di sviluppo».
La golden power esercitata da Palazzo Chigi sulla vendita di Verisem ai cinesi
È proprio il caso di BF, che tra il 2020 e il 2021 ha quasi triplicato il fatturato, da poco meno di 100 a oltre 260 milioni di euro. La società, guidata da Roberto Vecchioni, avrebbe voluto un aiuto da Cassa anche per acquistare la Verisem di Cesena, su cui il governo Draghi ha imposto la golden power per bloccarne la vendita alla multinazionale cinese Syngenta. L’azienda romagnola, che rappresenterebbe per BF un’integrazione verticale, è proprietaria di una parte importante del patrimonio genetico nazionale di biodiversità costituito dalle sementi conservate da generazioni di agricoltori del Paese. Chi volesse approfondire l’importanza del tema può andarsi a vedere il film del 2020 Il processo Percy, su una vicenda realmente accaduta nel 1988 a un contadino canadese che viene citato in giudizio dalla Monsanto per aver coltivato inavvertitamente alcune sementi di frumento di proprietà della multinazionale americana perché da lei geneticamente modificate.

Quell’aiuto dato da Guzzetti a Scannapieco per battere Palermo
Guzzetti oggi non ha più alcuna carica nelle Fondazioni, ma è ancora molto ascoltato essendo stato il vero ispiratore del loro ruolo delle nella Cassa assieme all’allora ministro Giulio Tremonti. Sempre Guzzetti nella ultima tornata di nomine per la scelta dell’amministratore delegato di Cdp è intervenuto, in modo delicato ma puntuale, con il Presidente della Repubblica con cui è in ottimi rapporti da molto tempo, affinché fosse scelto Scannapieco a discapito della continuità rappresentata dalla conferma del suo predecessore Palermo. E in Brianza, dove risiede Guzzetti, ci si ricorda di una visita in gran segreto di Scannapieco nella prima metà di giugno del 2021, appena nominato amministratore delegato di Cassa, per ringraziare il “grande vecchio” per l’aiuto dato. Scannapieco si era reso conto che all’ultimo istante che Palermo l’avrebbe spuntata, anche grazie ai risultati conseguiti e il pressing politico istituzionale che il manager aveva messo in atto. Di qui la sua decisione di fare una capatina in Brianza. Ora, vista come è andata la vicenda di Bonifiche Ferraresi, Guzzetti si sarebbe aspettato da lui maggiore attenzione e capacità di valutazione.
Venduta anche Kedrion, l’unica azienda italiana di plasma
Anche per la seconda cessione, Kedrion, alcuni azionisti si sono chiesti se esistesse una ratio e se non fosse invece utile all’Italia che Cassa rimanesse azionista, anche se di minoranza, e continuasse ad accompagnarne lo sviluppo internazionale, così come aveva fatto negli ultimi 10 anni. Invece a fine gennaio 2022 la decisione di vendere il suo 25 per cento ai fondi Permira, affiancati dall’Abu Dhabi Investment Authority. Anche Kedrion avrà un bel percorso di sviluppo perché presto si fonderà con il gruppo inglese Bpl. Kedrion produce plasmaderivati, cioè raccoglie sangue, lo trasforma e lo vende agli ospedali per il trattamento di alcune malattie. Negli ultimi tre anni è stata anche impegnata, assieme a una società Israeliana, nella ricerca di soluzioni al Covid attraverso la somministrazione ai pazienti di plasma opportunamente modificato. Insomma, un’azienda di alta tecnologia e soprattutto impegnata nel business della salute, settore che di questi tempi sarebbe probabilmente opportuno aiutare e tenere in Italia.

I destini di Inalca, WeBuild e Fondo strategico italiano
Le altre società in corso di cessione sono Inalca, WeBuild e Fsi. La prima, la cui maggioranza è del gruppo Cremonini, non è semplice da vendere visto che ha attività produttive in Russia. La seconda è in attesa di finestre opportune, ovvero il termine del lock up che impegna gli azionisti a rimanere. La terza, il Fondo strategico italiano, aspetta che maturi un accordo per ora complesso, visto che Fsi è una Sgr la cui maggioranza è già detenuta dal management, in particolare dal veloce ad Maurizio Tamagnini, che avrebbe zero necessità di aumentare la propria partecipazione. Per quest’ultima, la Cassa sta cercando anche un investitore che la sostituisca nel fondo dove, nel periodo in cui era presidente Claudio Costamagna e Matteo Renzi a Palazzo Ghigi, ha impegnato la bellezza di 500 milioni di euro in qualità di investitore. Milioni che non sono semplici da cedere.
La ripubblicizzazione di Autostrade e quella della rete Tim
Altre partecipazioni sono entrate o in entrata nel portafoglio di Cassa Depositi e Prestiti: quella di Autostrade a inizio maggio, a conclusione di un processo iniziato nell’era Palermo, e quella della rete unica attraverso la fusione di Open Fiber e FiberCop di Tim, di cui è stato firmato a fine maggio il secondo Memorandum of Understanding. Entrambe le società erano state privatizzate proprio da Draghi quando era direttore generale del Tesoro: la prima nel 1999, la seconda nel 1997. E proprio Scannapieco era stato all’epoca scelto dall’attuale premier assieme ad altre quattro giovani speranze come componenti del Comitato degli esperti che lo avrebbero aiutato proprio nel percorso di alienazione. Tutte e due le operazioni di ripubblicizzazione sono state decise dal governo Conte e fortemente volute dai 5 stelle. Una bella beffa per Draghi e per il suo consulente Giavazzi, principi delle privatizzazioni, che a parole volevano marcare la differenza con il precedente governo. Nei fatti, stanno confermando la strategia di chi li ha preceduti.

Nella creazione della rete unica Cdp potrebbe essere affiancata da Poste italiane
Per la rete unica il tema non è solo quella di renderla di nuovo pubblica, ma anche di stoppare la liberalizzazione del settore delle reti fisse a banda larga per famiglie e imprese. Ora in Italia esistono due reti, quella di Tim, ben diffusa anche se non sempre di ultima generazione, e quella di Open Fiber, iniziativa recente di rete tutta in fibra ottica nata sotto il governo di Renzi, impegnata in investimenti titanici e in ritardo cronico sul loro programma di attuazione. Entro la fine dell’anno le due reti confluiranno in una sola società, che sarà detenuta a maggioranza dalla Cassa, cioè dallo Stato. Magari, come si torna a sussurrare nei palazzi romani, coadiuvata nell’investimento da Poste italiane. Una sola società delle reti permetterà anche di risolvere il tema finanziario di Vivendi e Cdp, soci di Tim; infatti a oggi la prima perde circa il 70 per cento sul valore dell’azione pagato e Cassa circa il 65 per cento. E sono centinaia di milioni di euro di perdita anche se nel tempo entrambe hanno fortemente svalutato in bilancio le partecipazioni. E questa volta a essere beffato è anche Vittorio Colao, l’attuale ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, che non appena arrivato al ministero, nel febbraio 2021, aveva iniziato a parlare di concorrenza e gare per le reti di telecomunicazioni, cercando di sottolineare anche lui che quella dei 5 stelle e di Palermo era una strategia perdente. Visto il Memorandum approvato il 30 maggio dai principali azionisti (Tim, Cdp, Blackstone, Macquarie, Vivendi, Fastweb), Colao si è ricreduto e la storia dovrebbe andare nel senso opposto a quello cui lui pensava: rete unica, in mano allo Stato, attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Con buona pace dei liberalizzatori e dei privatizzatori.

L’incerto futuro di Nexi che rinvia l’investor day
Di Nexi, colosso dei pagamenti elettronici, Tag43 ha già scritto le scorse settimane, e quindi ci sono poche novità: l’azione in Borsa è sempre ancorata ai 9 euro, che gli investitori ricordano come il prezzo di quotazione del 2018 della sola Nexi senza l’essenziale apporto di Sia e di Nets, società confluite nel 2021 in Nexi. L’amministratore delegato della società, Paolo Bertoluzzo, molto legato ai 5 stelle e in particolare al suo sponsor Riccardo Fraccaro, ex sottosegretario della Presidenza del Consiglio del governo Conte, ha deciso di soprassedere e di non tenere l’investor day che era stato ipotizzato per gli inizi di giugno, magari perché al momento non sa che cosa comunicare agli investitori. Tant’è che l’appuntamento pare verrà spostato a settembre, mentre i fondi azionisti spingono per il delisting della società. Intanto Bertoluzzo utilizza il mese di giugno e la notevole calura che lo sta accompagnando per fare team building e portare oltre un centinaio di manager della società al Forte Village, in Sardegna. Vediamo se nel villaggio di proprietà dell’oligarca russo Musa Bazhaev, molto legato a Putin, troveranno tutti assieme qualche nuova strategia per dare fiato al titolo.