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A Pesce in faccia

Addio al progetto del polo dell’impiantistica nazionale. È una delle novità del piano industriale di Cdp pronto a fine mese. Altri punti fermi: riequilibrare i rapporti in WeBuild con il gruppo Salini, vendita delle partecipazioni alberghiere e richiesta di un cambio di passo in Tim.

12 Novembre 2021 16:0312 Novembre 2021 16:18 Giovanna Predoni
le indiscrezioni sul pian9 industriale di Cdp

C’è attesa sul piano industriale di Cdp, che doveva prendere corpo a settembre ma che è slittato alla fine di novembre. Le mosse di Cassa depositi e prestiti sono oggetto di molta attenzione da parte di tutti, visto che da come l’ad Dario Scannapieco imposterà la sua strategia dipenderà buona parte della politica industriale del Paese, nonché la messa a terra di molti progetti che rientrano nell’ambito del Pnrr. L’altro giorno Il Foglio, giornale solitamente non eccessivamente critico nei confronti dell’ente di via Goito, ha sollevato il sopracciglio lamentando il fatto che Scannapieco, voluto da Mario Draghi al posto di Fabrizio Palermo, non abbia ancora fatto capire da che parte vuole andare. Ovvero, parafrasando Montale, sembra da questi suoi primi mesi al vertice che Cdp sappia ciò che non è e ciò che non vuole, ma che sia ancora lontana dall’aver trovato la sua strada, se non quella indicata appunto dal governo, cioè che Cdp sia da supporto al Pnrr.

Riequilibrare i rapporti con il gruppo Salini in WeBuild

Nell’ambito di ciò che non vuole, tuttavia, alcuni cambi di rotta rispetto al passato (cambi contenuti nel piano industriale in via di definizione) sono molto netti. Quattro in particolare le istanze che Scannapieco vuole portare avanti. La prima consiste in un riequilibrio dei rapporti in seno a WeBuild, l’importante polo italiano delle costruzioni faticosamente messo in piedi dopo confronti anche aspri tra Pietro Salini e l’ex ad Palermo. Forte del suo 40 per cento del capitale, che ne fa di gran lunga il primo singolo azionista, Salini gestisce la società lasciando pochi margini di manovra al secondo socio, ovvero Cdp Equity che possiede poco meno del 17 per cento delle azioni. Qualcuno si era spinto persino a dire che l’intenzione della nuova dirigenza di Cdp fosse quella di uscire totalmente dall’azionariato. Non è così, anche perché ci sono precisi accordi di lock up che non lo consentono, ma Scannapieco ha subito fatto sapere all’uomo che rappresenta l’ente nel cda, ovvero l’ad di Cdp Equity Pierpaolo di Stefano, a suo tempo nominato da Palermo, che è necessario riequilibrare i rapporti di governance perché su WeBuild la Cassa non tocca palla.

Addio al tanto discusso progetto di polo nazionale dell’impiantistica

La seconda istanza riguarda il presunto polo nazionale dell’impiantistica, che dovrebbe riprodurre lo schema WeBuild con la Cassa in funzione di supporto e il gruppo Psc guidato da Umberto Pesce come player industriale. Nonostante le pressioni arrivate in questi mesi affinché dalle parole (e ne sono state spese molte) si passasse ai fatti, Scannapieco ha deciso che non se ne farà nulla. Terza istanza, la decisione di vendere le partecipazioni nel turismo, investimenti che in passato suscitarono forti critiche nonostante che il supporto al settore si fosse concretizzato con la nascita di un Fondo nazionale del turismo gestito da Cdp sgr e con una dotazione di oltre 2 miliardi di euro. Cdp Equity inoltre ha in portafoglio due “storici” investimenti in due noti gruppi alberghieri: possiede il 23 per cento della Rocco Forte Hotels, e il 45,9 per cento della TH Resorts. Anche qui, l’intenzione è quella di vendere.

La minusvalenza in Tim e la richiesta di una svolta al vertice

Ultimo capitolo, non certo il meno spinoso: la partecipazione in Tim, che Cdp prese su input del governo Renzi e che ora pesa come un macigno sui suoi conti, visto che la drastica caduta della capitalizzazione di Borsa (7 miliardi di euro) le fa registrare una minusvalenza teorica di oltre 500 milioni. Anche per l’ex monopolista dei telefoni Scannapieco chiedere una decisa sterzata nella gestione. Contrariamente a quanto fatto trapelare, l’ente di via Goito non farà scudo alla posizione dell’ad Luigi Gubitosi di cui i francesi di Vivendi hanno chiesto la testa. Questo in piena sintonia con il governo che ha già iniziato da tempo la ricerca di un nome che possa essere condiviso anche dal socio d’Oltralpe. E qui però potrebbe aprirsi una grana con l’antitrust europeo, non potendo Cdp guidare nello stesso momento Open Fiber e risultare determinante nella gestione di Tim.

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