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Elementare Walton

Chiamata all’ultimo istante, per sostituire una collega, non sapeva neppure a quali gare dovesse partecipare. La storia dell’atleta britannica che alla paralimpiade di Tokyo 1964 vinse tre ori tra atletica e nuoto.

30 Agosto 2021 15:4830 Agosto 2021 15:49 Redazione
Walton, l'atleta britannica che chiamata all'ultimo per sostituire una collega vinse tre medaglie d'oro alla paralimpiade di Tokyo 1964

Da sostituta a leggenda dello sport, con due ori nell’atletica e uno nel nuoto. Il legame Caz Walton, campionessa paralimpica, con la città di Tokyo e le paralimpiadi si è radicato su successi tanto grandi quanto inaspettati, punto di partenza per una luminosa carriera. Britannica, classe 1947, nel 1964, quando la capitale nipponica fu selezionata per la prima volta per ospitare i Giochi, lei era appena un’adolescente e mai si sarebbe aspettata di tornare a casa con un bottino così ricco. Oggi, a cinquantasette anni da quell’edizione, è ritornata in Giappone membro dello staff britannico e, inevitabilmente, la memoria ha bussato nuovamente alla porta.

Walton, la campionessa che non doveva partecipare ai Giochi

«È stato davvero molto emozionante», ha raccontato la campionessa alla Bbc, ritornando indietro nel tempo a quell’anno che le ha cambiato la vita. «Io non mi aspettavo neppure potervi partecipare». Walton, d’altronde ricevette la convocazione all’ultimo minuto, contattata per per prendere il posto di una collega impossibilitata a partecipare alla rassegna che si sarebbe tenuta nel Novembre successivo. «Nel giro di tre settimane sono stata catapultata in un vero e proprio vortice», ha spiegato, «Sono arrivata a Tokyo senza neppure sapere a che gare dovessi partecipare». Non un modo di dire, anzi. Avvicinatasi allo sport all’età di 14 anni su consiglio dei suoi fisioterapisti, Walton si è cimentata in qualsiasi tipo di attività sportiva a bordo della sua sedia a rotelle, allenandosi regolarmente e partecipando attivamente a ogni competizione locale.

Negli Anni 60, a differenza di oggi, infatti, non si puntava tanto sulla specializzazione, quanto sulla versatilità. Per essere notati e andare in nazionale bisognava ottenere risultati importanti in diverse discipline: «Il governo aveva ben pochi fondi da investire nello sport e questo faceva sì che non potessimo permetterci di dedicarci al professionismo in un solo ambito», ha aggiunto, «Ecco perché ci misuravamo, contemporaneamente, con tre, quattro, anche cinque specialità differenti». Dopo 23 ore di volo per arrivare a Tokyo e una cerimonia di apertura indimenticabile davanti a più di 5mila spettatori, compresi l’imperatore Akihito e l’imperatrice Michiko, felice e ignara di quel che l’aspettava, Walton si è lanciata con entusiasmo nelle gare.

Dal disco allo slalom in carrozzina, Giochi dai mille volti

Da esordiente, Walton ha impugnato un disco, senza neppure sapere come si lanciasse. Poi si è prestata al tennis da tavolo, fino ad approdare allo slalom con la carrozzina, una sorta di gara di sci senza neve, con un percorso di rampe e gradini da superare il più rapidamente possibile. È stato proprio quello sport (oggi, non più nel programma paralimpico) a regalarle la prima medaglia d’oro della carriera. Ma, su quel podio, Walton è riuscita a salirci ancora due volte, portando a casa anche un primo posto nel nuoto e uno nei 60 metri piani con sedia a rotelle. «Quei risultati mi hanno regalato sicurezza e autostima», ha sottolineato, «E, cosa altrettanto importante, hanno contribuito a far sì che mi sentissi finalmente parte integrante della società, una sensazione ancora oggi condivisa dagli altri atleti». Dopo quel trionfo, Walton ha continuato a gareggiare per oltre quarant’anni, vincendo altre 10 medaglie d’oro e arrischiandosi in svariate discipline. Fino al 1992 quando, ritiratasi dalle scene, è stata nominata Ufficiale dell’Impero Britannico e, successivamente, ha ottenuto un incarico nell’amministrazione della squadra nazionale. Oggi, all’età di 74 anni, è di nuovo a Tokyo a respirare l’aria olimpica. A lei tocca, la gestione dei problemi organizzativi del team e il rispetto dei protocolli di sicurezza anti-Covid. «Era molto più semplice fare l’atleta che l’amministratore», ha concluso, «In quel ruolo, non dovevo preoccuparmi di nessuno se non di me stessa».

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