Tra il 1616 e il 1622 la Catalogna è stata teatro di una spietata caccia alle streghe. Furono più di 400 le persone, per la maggior parte donne, accusate di stregoneria e sottoposte a torture indicibili. Oggi, a distanza di millenni, la comunità spagnola ha proposto di rivendicare e nobilitare la memoria delle vittime di quella terribile persecuzione. Un desiderio concretizzatosi attraverso manifestazioni popolari, ricerche accademiche e, in particolare, un progetto presentato in Parlamento dai deputati di ERC (Sinistra Repubblicana di Catalogna), Junts per Catalunya, CUP (Candidatura di Unità Popolare) e diverse amministrazioni locali: rinominare alcune strade dei comuni coinvolti, intitolandole a chi ha perso la vita in seguito a quei fatti.
Un progetto per restituire giustizia e dignità a vittime innocenti
L’iniziativa parlamentare è parte di un piano d’azione ampio e dettagliato definito dalla rivista storica Sapiens. «La campagna No eran brujas, eran mujeres vuole far conoscere la realtà a un pubblico quanto più ampio possibile», ha spiegato a El País Pau Castell, storico dell’Università di Barcellona e autore di una tesi sull’argomento. «È necessario riparare l’errore che è stato fatto ai danni di quella povera gente, fatta morire per un sospetto». Grande sostenitore della revisione dei processi per stregoneria, Castell reputa sia una mossa necessaria per restituire a volti e nomi dimenticati uno spessore e garantire giustizia: «Correggere le sbavature della memoria storica di un Paese è una misura diffusa nei paesi del Nord Europa, dove la persecuzione ha travolto le comunità con un’intensità quasi senza pari», ha sottolineato, «Buona parte delle sentenze erano prive delle garanzie legali per essere valide e venivano emesse senza alcuna attenzione alle norme del diritto».

Le donne accusate di stregoneria erano impiccate nelle strade più trafficate
L’interesse del mondo accademico catalano nei confronti del fenomeno è recente. Fino a oggi, infatti, buona parte del materiale raccolto in merito arrivava direttamente dal patrimonio folcloristico locale. «Molta gente non ha idea di cosa succedesse al tempo», ha ribadito lo studioso, «Da noi l’oppressione ai danni delle supposte streghe è iniziata presto e, sin da subito, con una violenza inaudita». Effettivamente, i tribunali catalani ricorrevano a metodi decisamente brutali: le imputate venivano impiccate, perseguite e punite al pari di assassini e criminali comuni. E le esecuzioni avvenivano in pubblica piazza o in punti ben visibili, lungo strade frequentate, dove erano state installate le forche. Come confermato da Castell, le donne prese di mira non erano fattucchiere, sciamane, guaritrici in possesso di poteri straordinari e rimedi miracolosi, al contrario di quanto si tramanda nelle leggende, ma figure che si trovavano a vivere ai margini della società perché straniere, emigrate o invise ai concittadini per un comportamento considerato fuori dai canoni comuni. Ad accurarle era una comunità che, in un momento di isteria dovuto una pandemia o a una crisi, «sentiva il bisogno di trovare dei responsabili. Anche senza prove e appigliandosi solo alla fantasia».

Le accuse di stregonerie rivolte anche agli uomini
Ovviamente, non tutte le condannate meritano di essere ricordate. È il caso della celebre María Pujol, colta in flagrante con in mano il fegato di una bambina che aveva appena ucciso. «Bisogna selezionare bene i nomi da prendere in considerazione perché, nel gruppo delle perseguitate, capitava venissero coinvolti soggetti realmente colpevoli di azioni criminali gravi come mogli che avevano avvelenato i mariti o assassine». Ma non è tutto. È opportuno, a detta di Castell, anche evitare di ridurre la caccia alle streghe a una declinazione del femminicidio. Tra i processati, infatti, non sono mancati uomini come l’indovino Malet o il pastore Pere Torrent: «Parlarne solo al femminile è sbagliato. L’accusa di stregoneria non era vincolata al sesso, chiunque poteva essere considerato parte di un complotto diabolico». I numeri e le statistiche attestano un accanimento maggiore nei confronti delle donne (si parla dell’80 per cento delle malcapitate), elemento che legittima il discorso sul sessismo ma non corrobora quello sulla violenza di genere: «In base a questo dato, è legittimo parlare di misoginia. «È errato farlo passare come un crimine di genere perché, a dirla tutta, molte delle accuse arrivavano proprio da altre donne».