La versione di Castellucci

Redazione
28/06/2021

Dopo il rinvio a giudizio per il crollo del ponte Morandi, l'ex ad di Autostrade rompe un silenzio di tre anni. E nell'intervista al Corriere chiama in causa la precedente proprietà, ovvero lo Stato, i Benetton e i loro manager.

La versione di Castellucci

Tre anni di silenzio, in attesa delle conclusioni dell’inchiesta della Procura di Genova, che venerdì 25 giugno ha chiesto il suo rinvio a giudizio insieme a quello di altri 58 indagati per il crollo del ponte Morandi con l’accusa di accuse sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo doloso, omissione d’atto d’ufficio, e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sul lavoro. Poi Giovanni Catellucci, ex ad di Autostrade, ha parlato. E lo ha fatto con una intervista al Corriere della sera pubblicata lunedì 28 giugno. Due i temi forti: la chiamata in causa dello Stato, che attraverso l’Iri era proprietario della rete poi privatizzata nel 2000 quando a Palazzo Chigi c’era Romano Prodi. E quella dei Benetton, in particolare dell’ex ad di Edizione Gianni Mion e dell’allora direttore generale Carlo Bertazzo.

Sul ponte Morandi c’era un difetto di costruzione occulto 

«Prima di ogni altra cosa esprimo ancora il dolore per quanto è successo, una tragedia immane che mi, e ci, ha segnato tutti profondamente: ai familiari delle vittime rinnovo tutta la mia sincera vicinanza. A indagini concluse e atti depositati emerge anche un’altra verità rispetto a quanto fin qui rappresentato: gli incidenti probatori hanno evidenziato che già nel 2000, quando la società fu privatizzata, il margine di sicurezza dello strallo del pilone 9 nel punto di rottura si era ridotto dell’80%, nonostante l’importante ciclo di manutenzione del 1993 eseguito dallo Stato prima di consegnarci il Ponte. Perché il difetto di costruzione era occulto. Ma anche prima della tragedia i lavori sul ponte erano continui: il giorno dopo la caduta II Secolo XIX titolò “Crolla il ponte dei cantieri infiniti”. Erano interventi di miglioramento della struttura e non correttivi perché nessuno dei tecnici ipotizzava la presenza del difetto di costruzione, per questo figurano alla voce investimenti e non manutenzioni».

Situazione gravemente compromessa già prima della privatizzazione di Autostrade

Sul tema della scarsa manutenzione Castellucci ha proseguito: «Per me non c’è nulla di pacifico. Ma lo stesso incidente probatorio ha evidenziato che i cavi degli stralli avevano una ossidazione superficiale o al massimo modesta, tanto è vero che non sono stati nemmeno analizzati nel dettaglio; sul reperto 132, invece, la corrosione profonda era stata provocata da una serie di errori di costruzione: cavi portanti affastellati, bolla d’aria nel getto di calcestruzzo, guaine di protezione troppo corte, materiali estranei, fessurazioni diffuse. Il tutto sotto quasi mezzo metro di cemento armato. Un difetto occulto, ma viene da chiedersi se non sia stato addirittura occultato, dato che quello fu l’unico pilone a non essere mai stata sottoposto alla prova di carico obbligatoria per legge. Tecnici qualificati nel 1993, e cioè in occasione della precedente ristrutturazione, decisero per il pilone 9 solo l’impermeabilizzazione, con una prognosi di rivalutazione al 2030. Impostarono anche un sistema di monitoraggio attraverso una tecnologia elettrica che però non identificò il difetto, perché, come riportato dai periti, il modo più sicuro per individuare il problema sarebbe stato di demolire tutto il cemento armato e mettere a nudo i cavi profondi. Ma si sarebbe dovuto sapere dove e cosa cercare».

castellucci parla del crollo del ponte morandi
Il Ponte Morandi crollò il 14 agosto 2018 (Getty Images).

I Benetton e il loro manager Gianni Mion non hanno mai criticato la mia gestione

L’ex ad di Aspi ha proseguito la sua difesa evidenziando lo snodo cruciale dei lavori di manutenzione eseguiti negli Anni 90: «È un fatto che nella consulenza tecnica di una delle parti offese viene riportata un’affermazione forte: nel 1993 fu “decretata la sorte” del ponte. E a sovrintendere quei lavori c’erano un collega di Morandi e l’ordinario del Politecnico di Milano. Quella stessa relazione dice anche che nessun tecnico ha mai preso in considerazione un crollo per la corrosione dei cavi primari: quelli più profondi e protetti che tenevano in piedi il ponte». E poi la parte che coinvolge l’azionista invocandone la piena corresponsabilità sulla gestione e le scelte fatte. In particolare sulle telefonate fatte da Mion, storico amministratore delegato fino al 2016 della holding dei Benetton, che, intercettato, avrebbe parlato di riduzione delle manutenzioni ha ribadito: «Non è vero e i numeri, pubblici, lo dimostrano. Tenga conto che le migliaia di intercettazioni fatte dopo la tragedia, su persone indagate o che potevano diventarlo, erano anche suscettibili di strumentalità per scagionarsi, accusare, compiacere, senza rispondere di quanto dichiarato. Prese complessivamente vi si legge tutto e il contrario di tutto. Più in generale vorrei ricordare che i rapporti miei e dei miei manager con Edizione Holding, con Gilberto Benetton, l’ad Mion, il dg Bertazzo e con il cda erano continui: mai una tensione o divergenza su dividendi o manutenzioni». Quindi non solo a Ponzano sapevano tutto, ma hanno condiviso pienamente l’operato di Castellucci. Si aspetta, a questo punto, la risposta dei Benetton che col fantasma del Ponte Morandi, nonostante si siano liberati di Aspi vendendo al società a Cdp in cordata con alcuni fondi esteri, saranno costretti anche dal corso dei processi a convivere a lungo.

Rammarico per quanto è successo, ma nessuna autocritica

Difesa su tutta la linea, dunque, per il manager che fu padre padrone di Aspi. Rammarico per quanto successo, ma nessuna autocritica. Anzi, il rifiuto a essere additato come ”il mostro” che a insaputa di tutti ha risparmiato sulla manutenzione per ingrassare i profitti. «Certo che mi domando se nel mio ruolo avrei potuto fare qualcosa di diverso, però tutti i giornalisti bene informati sanno che negli atti depositati ci sono i miei continui inviti ad affrontare il tema delle manutenzioni e del controllo del ponte in maniera organica e risolutiva nonostante le rassicurazioni dei tecnici interni ed esterni. Ma questo purtroppo non ha evitato la tragedia. E la documentazione raccolta dagli inquirenti solleva tanti legittimi interrogativi sulla gestione degli ultimi 50 anni che dovranno essere chiariti anche nel mio interesse. Il processo dirà qual è la verità, a cui tutti hanno diritto e per rispetto di coloro che della tragedia hanno tanto sofferto».