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Il Morisi che è in noi

L’eloquio è stato forse più profumato, il fine esattamente identico. La bestialità virale si è trasferita in fretta nei cosiddetti “buoni”, che non hanno perso tempo per raccontare i dettagli privati sul caso. Aspetti irrilevanti sul piano politico e giudiziario.

9 Ottobre 2021 15:569 Ottobre 2021 16:00 Giulio Cavalli

È un confine sottile, che risulta stretto perché richiede onestà intellettuale, lealtà e educazione alla complessità. Tutta roba che già va pochissimo di moda nella vita quotidiana, figurarsi nella politica, dove l’iperbole è l’unico strumento per posizionarsi e esistere. Il caso Morisi (meglio, il caso di come questi hanno forgiato il caso Morisi) è la fotografia perfetta della tossicità del dibattito politico italiano. Dentro c’è tutto, una ratatouille di guardoni, garantisti pelosi, benpensanti bencattolici, minimizzatori per convenienza, carnefici che vorrebbero fare le vittime e vittime che diventano di carnefici (e questo ci starebbe pure, perché la vendetta è la reazione più onesta in questo marasma di ipocrisia).

Punto iniziale: il signor Luca Morisi non era un tecnico che lavorava per Salvini, ma era un consigliere che lavorava con Salvini, portandosi dietro la delega sulla comunicazione. La sua ipocrisia svelata è un fatto politico, con buona pace del leader leghista che è laureato in sputtanamento all’università della vita. Chi è venuto a dirci che non avremmo dovuto scrivere che il padre della Bestia fosse nel privato l’esatto obiettivo della sua bile social e che abbracciasse gli stessi comportamenti che così disumanamente additava è semplicemente qualcuno che vorrebbe convincerci che esista il diritto di fare i moralisti senza avere morale. Una cagata pazzesca, direbbe Fantozzi. Se Morisi fosse stato collegabile alla sinistra (e per la Bestia sono di sinistra tutti quelli che non sbavano sulle scarpe di Salvini) oggi il web sarebbe invaso di neologismi aguzzi sulle sue abitudini sessuali, sulle sue dipendenze e sulla nazionalità dei suoi amanti. Capiamoci bene: questi sono gli stessi che hanno portato una bambola gonfiabile sul palco presentandola come Laura Boldrini. Sono gli stessi che hanno dato in pasto minorenni sui social (ve lo ricordate il figlio di Selvaggia Lucarelli?). Sono gli stessi che hanno trasformato gente comune (senza nessun ruolo pubblico) in nemici pubblici per settimane. Se esistesse un dio del senso del limite, a Salvini che parla di diritto alla privacy avrebbe seccato la lingua, avrebbe incendiato il dito attaccato al citofono mentre stanava presunti spacciatori in diretta nazionale.

L'errore più grande che è stato fatto nel giudicare il caso Morisi è aver usato gli stessi toni e metodi che avrebbe utilizzato lui
Luca Morisi e Matteo Salvini (Facebook)

Credere di demolire un partito usando un presunto reato significa non avere il senso delle proporzioni

Però il tema è che Morisi (e la Lega a strascico) aveva quest’insana abitudine di infilarsi nel letto degli altri, non è ciò che accadeva nel suo letto. E qui passiamo alla bestialità virale di questi giorni: credere di poter demolire politicamente un partito, usando un presunto reato come una presunta cessione di droga significa non avere il senso delle proporzioni. Che una boccetta di droga liquida sia un buon motivo per chiedere le dimissioni di Salvini è esattamente la sineddoche cretina che l’algoritmo della Bestia ha utilizzato per anni: se un nero infastidisce una vecchietta allora cacciamo tutti i neri. Se un islamico ruba un pollo allora arrestiamo tutti gli islamici. Se un Morisi si lascia andare a una serata al di fuori della nostra morale, allora cacciamo tutti i leghisti. La sentite come suona inefficace e stupida?


Mentre si srotolava la cronaca, diventando una lingua di voyeurismo mi sono anche detto che no, non saremmo stati capaci di scendere così in basso e invece è accaduto: la Bestia si è trasferita nei cosiddetti buoni che non hanno perso occasione di raccontarci particolari, che nulla avevano a che vedere né con il punto politico né con l’aspetto giudiziario. Le chat in cui Morisi e i suoi compagni di serata si raccontano le proprie preferenze sessuali sono uno stigma appiccicato alla notizie per solleticare gli stessi istinti che così bene ha sgrillettato Morisi. Questi l’hanno fatto con un eloquio più profumato, ma l’intento è esattamente identico. Entrare nelle mutande di Morisi per punirlo di essere entrato nelle nostre mutande è una legge del taglione. Ha quella consistenza lì, è il ladro lasciato in giro senza mano, è bestiale, appunto.

Quando il dibattito si fa basso, si creano fazioni estreme che riescono ad avere specularmente torto

E così stare in mezzo diventa difficile. Quando il dibattito si fa basso quasi sempre si creano due fazioni estreme che riescono nella mirabile impresa di avere specularmente torto. Quindi ci si prova a sgolare che no, che il caso Morisi non è un fatto che deve stare fuori dalla politica. Ma anche che no, che la descrizione pelosa delle sue azioni, che svelano la sua ipocrisia, non sono di interesse per il dibattito. In questo momento provare a dire una cosa del genere ovviamente riesce a renderti antipatico a entrambi. Non è una gran mossa di marketing giornalistico, insomma: i garantisti pelosi dicono che sei troppo poco garantista e i vendicatori della notte dicono che sei troppo molle. Poi ci sarebbe il presunto reato, che probabilmente non esiste nemmeno. E tutto si complica di più.

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