Il prezzo del petrolio è tornato sopra gli 80 dollari al barile, mai così alto negli ultimi tre anni; quello del gas ha sfondato i 1000 dollari per 1000 metri cubi, facendo segnare un nuovo record assoluto. Il caro energia delle ultime settimane da un lato preoccupa i consumatori finali europei che si ritroveranno benzina e bollette più care nei prossimi mesi, dall’altro non lascia tranquillo nemmeno il mondo dell’industria continentale, pubblica e privata, che dovrà trovare nuove strategie per far tornare i bilanci. In Italia il caro bollette si farà presto sentire nelle tasche dei cittadini e nel quarto trimestre dell’anno la bolletta dell’elettricità aumenterà del 29,8 per cento per la famiglia tipo in tutela e quella del gas del 14,4 per cento. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha affermato che dopo il primo trimestre del 2022 saranno aperte nuove pipeline e si tornerà a prezzi più ragionevoli, ma per ora si tratta di mere speranze.
Aumento dei prezzi dell’energia: chi ci guadagna è la Russia
C’è però anche chi sorride di fronte a questa ascesa dei prezzi dell’energia, in parte prevedibile dopo lo stallo dell’economia durante la pandemia. È la Russia di Vladimir Putin, da cui l’Europa importa gas e petrolio per soddisfare circa il 60 per cento del proprio fabbisogno energetico, tendenza crescente. L’Italia importa al momento quasi il 30 per cento del gas dalla Russia, da dove arriva anche circa il 14 per cento del petrolio. I prezzi alti piacciono poco a chi compra, molto a chi vende, per ovvie ragioni. Mosca sta ritornando sulla retta via dopo il crollo dovuto al Covid, con il prodotto interno loro caduto del 3 per cento nel 2020; l’export di petrolio e gas a queste condizioni è un toccasana per il Paese che può dare un’accelerazione alla ripresa, ritornando già il prossimo anno agli standard pre-crisi. Inoltre il Cremlino è ormai abituato, già dal 2008 con l’introduzione del primo fondo di riserva, a sfruttare i rialzi per mettere i rubli nelle casse da cui attingere poi nei momenti difficili, come accaduto ad esempio dopo l’avvio della guerra in Ucraina e le sanzioni occidentali. Putin sa bene che il saliscendi è continuo e adesso è l’ora di sfruttare l’onda, anche per tranquillizzare l’elettorato russo sempre desideroso di stabilità.

Gazprom e Rosneft: i giganti alleati di Putin
A dargli una bella mano sono quindi i due colossi energetici di casa, Gazprom per il gas e Rosneft per il petrolio, ai vertici dei quali ci sono due fedelissimi del presidente, Alexei Miller e Igor Sechin. Il primo è esattamente da 20 anni al vertice del gigante russo, nominato nel 2001 da Putin che da un anno si era insidiato al Cremlino. I due si conoscono sin dai tempi di San Pietroburgo, quando all’inizio degli Anni 90 lavorano per Anatoli Sobchack, il primo sindaco postcomunista della metropoli sulla Neva. A Leningrado, prima ancora che cambiasse nome, Sechin aveva studiato all’università e seguito lo stesso percorso di Putin nell’intelligence, che non lo aveva portato però nella Ddr, ma in Mozambico e Angola. Dopo essere passato tra l’altro nell’amministrazione presidenziale, dal 2004 è alla guida di Rosneft e per la sua notoria aria malmostosa gli è stato affibbiato il soprannome di Darth Vader.

Alexei Miller e Igor Sechin, i simboli del sistema putinano
Miller e Sechin sono i prototipi delle due più forti correnti all’interno del sistema putiniano: se Miller appartiene a quella più liberal dei pietroburghesi, Sechin è il simbolo dei siloviki, di coloro cioè che arrivano dall’apparato militare o dai servizi. Nel corso degli anni sono rimasti fedeli al presidente e hanno sviluppato la loro rete, con prospettive differenti per quel riguarda la concorrenza interna, ma uniti nel grande gioco geopolitico dell’energia che vede la Russia protagonista sulla scacchiera euroasiatica. Gazprom e Rosneft sono due strumenti fondamentali per Mosca da un lato perché l’export di materie prime rimane giocoforza uno dei punti centrali, e dolenti vista la poca diversificazione, dell’economia russa; dall’altro perché attraverso le entrate, anche se altalenanti vista la dipendenza dai mercati, Putin ha potuto cementificare il proprio potere con una lauta redistribuzione sia alle élite che, almeno in parte, alla popolazione. Miller e Sechin sono finiti sulla lista nera degli Stati Uniti, sanzionati in seguito alle tensioni tra Mosca e Washington a causa della crisi ucraina. Gazprom e Rosneft continuano a giocare un ruolo decisivo nelle strategie del Cremlino, sia sul versante europeo, dove la prima ha sostanzialmente vinto il duello per l’apertura di Nordtstream, il gasdotto sotto il Baltico che bypassa l’Ucraina, sia su quello asiatico, con il petrolio che prende sempre più la via dell’assetata Cina. Nel 2020 la Russia è stato il più grande esportatore del mondo di gas, il terzo di petrolio. Putin e suoi due vecchi amici, nonostante tutto, possono essere soddisfatti.