I giovani protestano pacificamente, accampati con le tende di fronte alle università, mentre la spinta dei social rievoca la narrazione dei choosy, i ragazzi scansafatiche e frignoni. E che quindi chiedono tutte le comodità, non vogliono fare sacrifici, mentre «noi ai nostri tempi…». Il risultato? Viene sviato il discorso, allontanandosi dal fulcro di un problema cresciuto dopo decenni di disinteresse e immobilismo bipartisan. L’Unione degli universitari (Udu) ha sollevato la questione, avviando una campagna di informazione e di mobilitazione. Il caro affitti è una piaga per chi deve pagare il canone all’inizio di ogni mese, senza adeguati introiti e con famiglie che non riescono più a dare una mano. Così, in una logica propositiva, è stato predisposto un pacchetto di richieste rivolto al governo Meloni, che ha però fatto un bel po’ di confusione di fronte alla vicenda.

La genialata di Salvini: istituire una direzione dedicata che… c’è già
Il vicepremier Matteo Salvini ha infatti proposto un doppione al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, con un’apposita direzione dedicata all’edilizia pubblica. Una struttura che si occupasse di questo tema era già prevista al Mit. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha invece rincarato la dose, scaricando le colpe sulle amministrazioni di centrosinistra: «Evidenzio come nelle città dove ci sono gli accampamenti degli studenti non sono state attivate dalle giunte comunali politiche a favore dei giovani e degli studenti per offrire loro un panorama abitativo decoroso», ha affermato, buttandola in polemica.

Le promesse: censimento degli immobili inutilizzati e sblocco di 660 milioni
Alla ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, non è andato giù l’affondo del collega. E ha quindi rilanciato la necessità a individuare una soluzione concreta: «Abbiamo chiesto un censimento degli immobili inutilizzati affinché vengano messi a disposizione per gli studenti». Così per mettere una prima toppa, l’esecutivo ha dato il via libera, in Consiglio dei ministri, alla presentazione di un emendamento (al decreto assunzioni) per sbloccare 660 milioni di euro. Le risorse, spiegano da Palazzo Chigi, possono essere destinate «all’acquisizione della disponibilità di nuovi posti letto presso alloggi o residenze per studenti delle istituzioni della formazione superiore».

Intanto si punta il dito contro gli studenti che non vogliono fare i pendolari
Una serie di reazioni disorganiche che consegnano un quadro di caos, nella stessa squadra governativa, in cui diventa difficile orientarsi. Immancabile poi è arrivata la colpevolizzazione di chi ha sollevato il problema. Nel dibattito social-mediatico ora la (vecchia) nuova moda è puntare il dito verso gli studenti, che si lamentano degli affitti alti. Tra battutine e allusioni sul fatto che potrebbero fare i pendolari, senza pretendere per forza una casa a pochi chilometri dagli atenei. Insomma, il ritorno dello schema narrativo dei “bamboccioni”, usato in passato dall’ex ministro Renato Brunetta, o dei choosy, nell’infelice declinazione di un’altra ex ministra, Elsa Fornero.

Dopo la pandemia, sugli affitti pesa il terrore delle morosità
Andando oltre l’analisi semplicistica, il problema-casa è reale. Basta fare un giro per le strade delle grandi città per capire quanti appartamenti siano attualmente sfitti. «Dopo la pandemia», spiega chi conosce il settore, «c’è il terrore di affittare gli appartamenti, perché con il Covid sono aumentati esponenzialmente i casi di morosità e di difficoltà a sfrattare gli affittuari». Meglio vuoti, dunque. L’alternativa preferita è quella di mettere a disposizione le case per gli affitti brevi, rispondendo alla crescente domanda turistica. La conseguenza? Prezzi alti a causa della scarsa disponibilità di “materia prima”, ossia degli alloggi.

Oggi ci sono 12,2 milioni di edifici: il 74,1 per cento costruito prima del 1981
La carenza non è un mistero: è stata certificata da Federcasa, secondo cui ci sarebbe bisogno di almeno 300 mila nuove case popolari. Anche perché occorre rinnovare il patrimonio abitativo italiano che «conta oggi 12,2 milioni di edifici» e «il 74,1 per cento è stato costruito prima del 1981». Da oltre 40 anni, dunque, manca un piano edilizio. Nello specifico del diritto allo studio e dell’offerta di edilizia universitaria, infine, i problemi sono sedimentati negli anni. L’Italia non si è mai dotata di uno strumento di sostegno effettivo, scaricando sulle famiglie i costi per i figli che decidono di studiare lontano dal luogo natio, che sia per necessità o per una scelta di vita. Non ci sono prestiti d’onore, né sgravi fiscali, solo la possibilità di conseguire una borsa di studio. Così la possibilità di andare all’università diventa, come per tanti altri casi, un lusso per ricchi.